Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
RoadRunner Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

:
- Corey Taylor – lead vocals, piano
- Jim Root – lead guitar, keyboard, backing vocals
- Josh Rand – rhythm guitar
- Shawn Economaki – bass guitar
- Roy Mayorga – drums, percussion

Tracklist: 

:
1. Audio Secrecy (1:43)
2. Mission Statement (3:50)
3. Digital (Did You Tell) (4:00)
4. Say You’ll Haunt Me (4:24)
5. Dying (3:01)
6. Let’s Be Honest (3:44)
7. Unfinished (3:10)
8. Hesitate (4:16)
9. Nylon 6/6 (3:40)
10. Miracles (4:07)
11. Pieces (4:30)
12. The Bitter End (3:33)
13. Imperfect (4:22)
14. Threadbare (5:44)

Stone Sour

Audio Secrecy

La nuova uscita discografica ad opera degli Stone Sour, progetto non (più) soltanto parallelo di Corey Taylor e l’amico Jim Root, rispettivamente vocalist e lead guitarist dei leggendari Slipknot, ha assunto ulteriore importanza alla luce degli eventi che hanno sconvolto la loro main band, minandone alla fondamenta la sua eventuale prosecuzione: la tragica e prematura scomparsa di Paul Gray, una delle figure umanamente più preziose e decisive del combo originario di Des Moines, Iowa, ha messo fortemente in discussione il futuro prossimo venturo degli Slipknot, costringendoci a porre il serio interrogativo se gli Stone Sour, per Corey Taylor e Jim Root, al pari dei Murderdolls per Joey Jordison, non siano più soltanto una “distrazione” temporanea dalla quotidianità dei 9 operai nordamericani ma, di fatto, costituiscano le loro nuove prospettive di carriera. Per quanto il nostro più sincero augurio sia che gli storici artefici di Iowa, Subliminal Verses e All Hope Is Gone possano trovare nuove motivazioni e superare al più presto questo crudele momento di difficoltà e sconforto, prima di tutto umano poi anche professionale, è chiaro che l’importanza assunta dalle loro ultime fatiche non può che aumentare esponenzialmente, e non è più secondo la prospettiva benevola del dolce passatempo (mai stati, a dire il vero) che quest’ultime potranno essere lette e interpretate.

A prescindere dalle precedenti considerazioni, non c’è dubbio che Audio Secrecy – questo il titolo del terzo capitolo discografico a firma Stone Sour – fosse una delle uscite in assoluto più attese di questo lungo autunno 2010, tanto più in ragione dei suoi predecessori, lavori magari altalenanti o peggio incoerenti ma sicuramente di grande impatto e rara sostanza, Come (Whatever) May ancor più dell’omonimo debutto. Che questo progetto stesse progressivamente guadagnandosi i gradi di assoluta priorità, dal punto di vista di Corey Taylor, lo si era iniziato a sospettare già all’epoca dell’uscita di All Hope Is Gone, ultima pubblicazione targata Slipknot, le cui numerose e inattese ballads costituivano un sorprendente arricchimento, frutto di un complessivo e auspicabile ammorbidimento del sound generale, che accorciava di conseguenza - e sensibilmente - la distanza fin’allora incolmabile fra main e side project (per quanto, è sempre bene ricordarlo, gli Stone Sour siano temporalmente antecedenti agli ‘knot). Se l’assoluta imprevedibilità del destino umano ha sicuramente accelerato quel tipo di evoluzione, è anche vero che Audio Secrecy va persino al di là delle più logiche aspettative, manifestando il chiaro intento di semplificare al massimo le forme musicali, affondare il colpo sul lato debole della melodia intensa eppure affabile, dare prova in questi stessi risicati spazi di manovra di aver raggiunto un’identità precisa, scolpita, finalmente univoca.

Per quanto possa sembrare sbrigativo o semplicistico, gli Stone Sour non sono altro che la personalità scissa e trasfigurata di Corey Taylor, generata e non creata a sua immagine e somiglianza; in quanto tale, specchio e riflesso dei moti d’animo del suo benevolo fautore. Sotto questo profilo, Audio Secrecy si inserisce perfettamente nella solco tracciato dai precedenti capitoli discografici, potendovi inquadrare addirittura parte di quello stesso All Hope Is Gone che tanti – chi con disprezzo, chi con soddisfazione - avevano attribuito all’anima stonesouriana molto più che a quella tuttora residente nell’Iowa. Tuttavia, se l’intenzione principale pare essere quella di dar libero sfogo a una rinnovata e ispirata vena neomelodica, di addolcire le originarie spigolosità ritmiche di lavori a tratti furiosi quale Stone Sour e Come (Whatever) May, di penetrare con crescente convinzione i territori dell’alt rock tipicamente americano allontanandosi senza rimpianti dall’amata madrepatria (nu) metal, questa stessa è però inficiata da un’esasperazione di fondo che, per quanto non priva di naturalezza e buone intenzioni, ne limita fortemente impatto, efficacia e trasporto. Se da un lato le scelte melodiche sono innegabilmente rotonde e piacevoli, in grado di cullare e cullarsi con leggerezza e disinvoltura, è altrettanto vero che mancano di quell’esplosività trascinante e quell’innata ruvidità allo stesso modo necessarie a qualunque opera propriamente rock, rendendosi quindi concause di un effetto a lungo andare soporifero e tendenzialmente indisponente, come qualcuno che voglia affabularci in maniera garbata e seducente ma finisca poi per eccedere in moine e false adulazioni, svelando i suoi scopi e rendendosi irrimediabilmente ridicolo.

Audio Secrecy
non tocca certamente simili livelli, che sarebbero del tutto inaccettabili per un compositore di comprovata bravura qual è Corey Taylor, nè certamente può ascriversi all'interminabile elenco di lavori spudoratamente venali e per questo macchiettistici che infestano la discografia internazionale, ma ciò non toglie che, fra gli inevitabili alti e bassi, il suo predecessore fosse certamente più ricco di ardore, di pathos, di agonismo e di carisma, quasi che l’averne privilegiato quasi solamente un singolo aspetto – quello più tenero e docile – abbia fatto di Audio Secrecy appunto un album complessivamente monocorde e a tratti vagamente sterile, di una qualità media forse più alta, nel complesso, ma privo di quei picchi di totale assuefazione che trasformano un buon album in un grande disco.


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