Voto: 
7.3 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
UkDivision Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Paolo Boni - chitarra
- Giovanni de Sanctis - basso, voce
- Flavio Gamboni - batteria, cori
- Jack Serri - chitarra, voce

Tracklist: 

1. Toy
2. Asphalto
3. Money game
4. Dead Dogs
5. Alien On Faces
6. Senseless
7. Piove
8. Girl
9. Cloro
10. Turn to Dust
11. Yellow Glue

Soul of the Cave

Asphalt

Asphalt è il nome dell’esordio discografico targato Soul Of The Cave, band romana che grazie all’appoggio dell’etichetta inglese UkDivision arriva a pubblicare un disco rock a tratti interessante e ricercato, che riflette un lavoro sviluppato attraverso le influenze di ogni singolo membro della band, ma non per questo eterogeneo e frammentato.
Difficile cercare di inscrivere questo gruppo all’interno di un genere in particolare, dal momento che suonano un rock alternativo moderno e lurido di distorsioni con leggere influenze tipicamente ‘70s, aggiungendo al tutto una voce sgraziata e ispida, tipica del post hardcore dei primi anni ’90.

Godibili cambi di tempo e sezioni strumentali durante le quali emerge la creatività ed il talento tecnico dei musicisti sezionano i brani slegando tra loro parti cantate e spesso più melodiche dalle incursioni serrate intavolate da una perfetta simbiosi tra sezione ritmica e solista.
Si creano così versatili diversivi, che spaziano da riff Hard Rock in tempi dispari ad inusuali soli di chitarra ricchi di armoniche lasciate vibrare tra dissonanze ed accordi spezzati da una batteria sempre decisa e consapevole.
Le atmosfere non vengono mai definite a priori, il mood continua a cambiare inseguendo la spinta dello strumento che in quel frangente decide di “trainare” tutta l’orchestra, e questo occorre dirlo anche per evidenziare una caratteristica non immediatamente notabile ma di sicura importanza che contraddistingue i Soul Of the Cave: Non esiste un leader musicale, ognuno viaggia alla pari dei compagni, contribuendo all’equilibrio generale che si viene a creare grazie alla sintonia che lega i componenti.
Anche durante le parti più prettamente soliste, in particolar modo della chitarra, nessuno sembra mollare la presa o alleggerire il suo lavoro, anzi, gli accenti di piatti e tamburi ed il tappeto dinamico del basso si impegnano per caratterizzare attivamente anche il semplice accompagnamento ritmico, dando un senso di rotondità e pienezza convincente.
Tuttavia la band suona molto meno anni ’70 di quanto vorrebbe far credere dalla sua bio, dietro alle sue sperimentazioni infatti sembra quasi di riscoprire realtà di nicchia figlie dell’ Hardcore americano più che della psichedelica settantiana, che in parte è sicuramente presente, ma le scale inusuali, le sequenze di note che sembrano zig-zagare lungo il manico delle chitarre con passo imprevedibile, ed il frequente sferragliare su accordi indecifrabili lasciano intendere che la direzione seguita dal gruppo abbia toccato solo di striscio il periodo dei dinosauri del Rock.
Si potrebbe quasi affermare che i Suol Of The Cave si siano lasciati contagiare da una forma live di Math Rock, sicuramente un genere più affine alle loro soluzioni ed al loro modo di passare da una sezione all’altra del brano con siparietti strumentali sempre molto precisi e particolari.
Occorre ora evidenziare i difetti di cui si macchia questo lavoro, primo fra tutti il suono stesso del disco che risulta debole e moscio, dando un impressione di vuoto sebbene tutti i brani siano farciti di note azzeccate ed idee interessanti che non lasciano troppo spazio all’immaginazione dell’ascoltatore.
Il risultato sembra proprio mancare di spessore, incapace di sostenere il muro sonoro che la band potrebbe erigere con facilità.
L’impressione è che dal vivo questa band debba essere sicuramente meglio che su disco, e questo può essere interpretato come un punto a favore non indifferente.
Secondariamente la personalità dei brani scarseggia ad emergere, un po’ sempre per colpa dei suoni poco aggressivi, un po’ a causa di una voce mai troppo partecipe, che anche nei brani cantati in italiano (2 su 11 totali) non riesce ad abbandonarsi come invece dimostrano di spare fare gli strumenti.
Anche quest’ultimi, ad ogni modo, con fatica riescono a lasciare un impronta che contraddistingua efficacemente ogni singola canzone, pur essendo esse costruite con grande cura.

Insomma le potenzialità ci sono tutte per riuscire a creare qualcosa di maggiormente incisivo, le idee non mancano e i Nostri dimostrano di sapersi difendere egregiamente in più di un’occasione, ma i difetti elencati smorzano davvero troppo l’impatto di quello che avrebbe potuto essere davvero un esordio notevole.

 

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