Voto: 
9.5 / 10
Autore: 
Corrado Penasso
Genere: 
Etichetta: 
American Recording
Anno: 
1986
Line-Up: 

- Tom Araya - basso e voce
- Jeff Hanneman - chitarre
- Kerry King - chitarre
- Dave Lombardo - batteria e percussioni

Tracklist: 

1. Angel of Death (4.51)
2. Pieces by Pieces (2.03)
3. Necrophobic (1.40)
4. Altar of Sacrifice (2.50)
5. Jesus Saves (2.55)
6. Criminally Insane (2.23)
7. Reborn (2.12)
8. Epidemic (2.23)
9. Postmortem (2.45)
10. Raining Blood (4.58)

Slayer

Reign in Blood

Quale introduzione sarebbe più consona per questa recensione del terzo album degli Slayer, dal nome Reign in Blood? Un’idea sarebbe quella di dire che si tratta di uno degli album più violenti della storia del Thrash e del Metal in generale oppure un’altra sarebbe citare l’importanza rivestita dal presente album al fine di creare una scena musicale sempre più votata all’estremismo musicale durante la decade d’oro per eccellenza del metal.

Disquisizioni corrette e testimoniate da tutti i musicisti che ancora oggi attingono costantemente da questo serbatoio ricolmo di bieca violenza, velocità ed irruenza; tuttavia, ciò non sembra abbastanza.

Per poter spiegare il vero valore che quest’album rivestì in un periodo di piena crescita del metal più estremo, non bastano le parole. Bisogna far parlare la musica del combo Californiano. Una musica che non ammette concessioni, tanto da far faticare il gruppo stesso a trovare un’etichetta col coraggio di pubblicare qualcosa di simile, dopo lo split con la Metal Blade.

Le parole rilasciate da Tom Araya in un’intervista erano chiare: l’album suonava troppo estremo e nessuno si voleva accollare un tale rischio, sopratutto dopo che Tipper Gore della P.M.R.C (Parents Music Resource Center) fece loro una cattiva pubblicità a causa dell’immagine violenta e perversa che trasmettevano ai più giovani.

La band previde la pubblicazione dell’album nel luglio del 1986, anno cardine del genere in tutto il mondo, tuttavia non avevano fatto i conti anche con l’etichetta di distribuzione CBS (fortemente influenzata dalla succitata P.M.R.C.). I quattro thrashers vennero lasciati a piedi, ma non si scoraggiarono. La Geffen corse in aiuto dei baldi giovani e così il 7 ottobre dello stesso anno, l’album poté invadere il mercato musicale, cambiandolo radicalmente.

La nuova etichetta che si prese l’incarico di produrre una simile diavoleria fu la Def Jam di Rick Rubin, una label che al tempo produceva quasi esclusivamente hip-hop. Il suo proprietario in seguito continuò a produrre i quattro macellai di Huntington Park (sodalizio tuttora attivo) e ciò gli aprì le porte ad altri gruppi più orientati al Rock ed al Metal (System of a Down e i Metallica di Death Magnetic).

Tra i riconoscimenti che l’album ricevette possiamo ricordare i seguenti: fu certificato disco d'oro negli Stati Uniti (il primo per la band); secondo il critico Steve Huey di All Music Guide, Reign in Blood ha ispirato l'intero genere death metal mentre Metal Hammer nel 2006 lo definì il più grande album metal degli ultimi 20 anni, quando Kerrang! lo pubblicizzò con il titolo N°1 Thrash Metal Album of All Time (scritta che ora si può ritrovare sulla custodia del re-master).

La notevolmente aumentata velocità di esecuzione già riscontrata nello storico EP Haunting the Chapel aveva lasciato leggermente il posto all’oscurità del successivo Hell Awaits, per poi ritornare a due anni di distanza con questo masterpiece.

L’incipit è sintomatico di un’esplosione di violenza che tutt’ora ha pochi pari. Angel of Death ha inizio col suo riff ormai marchiato a fuoco nel cuore di ogni thrasher, ed è subito un macello. Tante critiche sono state mosse verso questa canzone, causa un testo ispirato alle gesta del famoso Mengele (le lyrics possono essere lette come un elenco di torture operate dell’Angelo della Morte), testo che da molti è sempre stato reputato come una sorta di elogio a tali gesta ma che per il gruppo tutt’ora rappresenta una semplice “cronaca” di ciò che successe. Musicalmente parlando, la canzone si apre con il celeberrimo riff seguito dall’altrettanto conosciuto urlo di Tom per seguire binari diretti, con un Lombardo sempre a cavallo tra uptempo e doppio pedale. La sezione centrale si arricchisce di tempi medi per dare il risalto giusto all’intrecciarsi ritmico (e successivamente solistico) delle chitarre prima che queste ultime lascino spazio ad un break entrato nella storia del metal per l’uso sfrenato che Dave fa della sua doppia cassa. La successiva Piece by Piece inaugura la serie di canzoni che non arrivano ai tre minuti di durata per un risultato minimale, di puro impatto ma con un tocco catchy che solo in questo album ho trovato. Il ritornello è perfettamente incastonato tra stop, ripartenze e selvaggi assoli.

Il duo Hanneman – King, in particolare, è più indiavolato che mai e le corde sembrano essere strappate dalle loro chitarre, specialmente durante fasi soliste più simili a sfochi rabbiosi che altro. Anche ciò è parte del trademark di questa band immortale. In Necrophobic, possiamo notare delle ottime cadute in brevissimi tempi medi per poi ripartire alla velocità della luce. Segue a ruota l’asfissiante Altar of Sacrifice, dal ritornello memorabile seguito dal puro shredding delle due asce; il tutto sostenuto da una valanga di riffs, persino durante i catacombali, spettrali tempi medi che vanno ad introdurre la bieca brutalità di Jesus Saves. Dal testo chiaramente anti-Cristiano, la canzone si snoda attraverso due-tre riffs ormai memorabili, assoli lancinanti ed una velocità che sembra quasi aumentare man mano che si procede all’ascolto di questo inferno. La batteria lenta, ossessiva in un crescendo di perversione e brutalità musicale ci introducono a Criminally Insane, uno dei primi episodi degli Slayer (insieme a Kill Again contenuto in Hell Awaits) a trattare i comportamenti dei serial-killers. Successivamente, l’argomento sarebbe poi stato trattato con maggior cura, appoggiandosi a fatti realmente accaduti.

Quando si arriva a Reborn la sensazione di stordimento ed assuefazione ormai è al culmine. Tom continua a riversare parole di disgusto, violenza e sciagure future alla velocità della luce mentre le rullate di Dave non mollano, introducendoci all’epica (per violenza, ancora una volta) Epidemic. Testi deliranti su malattie, morte e Satanismo rivestono (allora, nel 1986) basi importantissime per fondare il death metal.

Arrivati alla nona canzone, troviamo Postmortem, dal suo riff talmente celebre da poter essere ascoltato ancora oggi in TV (da ricordare la pubblicità di MTV di qualche anno fa, ove l’entrata dei tempi veloci era stata ben immortalata, dopo il tappeto in mid-tempo iniziale della canzone). Le urla di Tom donano quel tocco in più ad una composizione di per sé già tetra e violenta, specialmente in concomitanza della sezione veloce succitata, compendio di punk e thrash che ha pochi paragoni tutt’ora.

Il rumore di una pioggia di sangue immaginaria ci introduce ad un altro grande pezzo di storia del thrash metal, Raining Blood. Il riff iniziale anch’esso non potrà mai essere scordato da un thrasher che si rispetti, in un crescendo di violenza apocalittico, tra up tempo eterni, viramenti a livello di riffing ed un tappeto quasi continuo di doppia cassa. Un olocausto sonoro di immani proporzioni, con il culmine raggiunto durante l’urlo in occasione del ritornello. Il ritorno della pioggia ci saluta dopo i fischi debordanti delle due asce ed in questo modo il disco volge al termine.

Dalla copertina raffigurante il Demonio portato trionfalmente tra gli Inferi, in un lago di sangue, Reign in Blood ormai rappresenta uno dei picchi massimi che il thrash metal raggiunse durante la sua decade di splendore, nonché uno degli esempi migliori di pura malvagità musicale. Impossibile non innamorarsi di un album che ancora oggi fa parlare di sé e della sua violenza sonora e che deve onoratamente sedersi sul trono dell’immortalità.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente