Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
Atlantic
Anno: 
1991
Line-Up: 


- Sebastian Bach - voce
- Scott Hill - chitarra
- Dave Sabo - chitarra
- Rachel Bolan - basso 
- Rob Affuso - batteria

Tracklist: 

1. Monkey Business
2. Slave To The Grind
3. The Threat
4. Quicksand Jesus
5. Psycho Love
6. Beggars Day
7. Livin' On A Chain Gang
8. Creepshow
9. In A Darkened Room
10. Riot Act
11. Mudkicker
12. Wasted Time

Skid Row

Slave to the Grind

Appena due anni dopo il gran successo del debut self-titled, gli Skid Row danno alle stampe un secondo grande album, pur se in un clima totalmente diverso, che irrimediabilmente portava tutte quelle band che stazionavano in questo specifico settore a fare i conti con il mutamento dei gusti ormai in atto, tanto che Slave To The Grind può annoverarsi all'interno di quella (più o meno ristretta) cerchia di capolavori dell'hard ottantiano che hanno chiuso un'epoca.
Il secondo album degli Skid Row non vive sugli allori del successo ottenuto dal suo predecessore ed anzi ne prende in parte le distanze, presentando un sound ancor più aggressivo e duro, che abbandona quasi del tutto le venature glam per intingersi invece in un veloce e furente sleaze/street, sfociando talvolta addirittura in parti più pesanti e tirate che rasentavano il tradizionale heavy metal. Così il guitar-work della coppia Sabo - Hill si fa più rovente ed aggressivo, le ritmiche più potenti e spesso più veloci, ed anche il cantato di Bach diventa più raschiante, ruggente e talvolta angosciato, ma sempre di grande personalità e di un'innata verve da non temere paragone alcuno, specie nelle parti più melodiche. E sta proprio qua però il rovescio della medaglia, infatti ciò che Slave To The Grind acquista in termini di aggressività e grinta rispetto al suo predecessore lo perde in termini di melodicità, risultando quindi un po' meno spregiudicato e purtroppo più inquadrato.
 
L'arpeggio ed il sommesso canto iniziali di Monkey Business vengono squarciati dall'urlo di Bach, che apre ad un pezzo tirato e travolgente, con riff potenti e ritmiche veloci, un chorus esplosivo e rabbioso che ne innalza il tasso adrenalinico, mentre il singer sembra abbandonare il suo stile pulito per lanciare ruggiti graffianti così da rendere i brani ancor più grintosi e trascinanti, proprio come avviene anche con la title-track Slave To The Grind, in cui si assiste a ritmiche che sembrano prese in prestito dalla tradizione thrash e da quella punk, e sulla stessa scia va ad inquadrarsi il veloce assolo di chitarra, mentre a completare un trittico d'apertura trascinante ed elettrizzante ci pensa The Threat, caratterizzata anche da un azzeccato uso di backing vocals.
Un arpeggio di chitarra introduce in maniera lenta e soave Quicksand Jesus, un lento malinconico e cupo che sfocia nello struggente refrain, in cui non sarà possibile non rimanere attoniti ed ammirati di fronte alle immense doti vocali del singer, che dona così massima emotività ad un pezzo già di per sé emozionante,  invece Psycho Love, introdotta dal basso di Bolan, riporta tutto sui binari iniziali con riff potenti e chitarre distorte, oltre a numerosi cambi di tempo che vedono alternare parti più tirate ad altre più lente che ricreano atmosfere angoscianti, mentre la veloce e festante Beggars Day sostituisce quella Get The Fuck Out contenuta nella versione censurata.
Livin' On A Chain Gang e Creepshow ci mostrano la faccia più cattiva e decisamente sleaze/street degli Skid Row, ma i due episodi non riescono a mantenersi sugli stessi livelli del resto, penalizzati anche dal fatto di essere seguiti in scaletta da una vera gemma come In A Darkened Room, bellissima ballad dalle atmosfere scure, in cui la voce di Bach nei bridge è graffiante ed incisiva, gli acuti e le urla stridenti dei refrains ancora una volta mettono in piena luce il suo talento fuori dal normale, mentre l'apice emotivo si raggiunge in quel sovrapporsi ed accavallarsi di urlo e chitarra che termina nell'intenso assolo finale; il brano in questione contiene impegnate liriche di denuncia contro gli abusi sui minori, ma in realtà l'intero lavoro seguiva temi scottanti ed impegnati, come aspre critiche alla moderna condotta di vita e alle istituzioni politiche e religiose.
Riot Act è un altro buon brano veloce, un pò punkettaro ed un pò rock n' roll, mentre Mudkicker è un mid-tempo piuttosto piatto e prevedibile, che poco aggiunge al platter, infine la closer Wasted Time che, al pari di Quicksand Jesus e In A Darkened Room, è un altro dei pezzi migliori nella discografia dell'act americano, una tipica rock ballad strappalacrime, struggente ed emozionante, con bellissimi arpeggi e la straordinaria ed emozionale interpretazione di Bach.

Slave To The Grind fu per tutti la conferma di trovarsi di fronte ad una grande band, l'album infatti balzò al numero 1 delle charts americane, impresa che prima di loro in ambito hard n' heavy era riuscita solo ai Motley Crue con Dr. Feelgood, e nemmeno le critiche di una parte minoritaria della stampa specializzata d'oltreoceano, ormai sempre più indirizzata verso le nuove tendenze, riuscirono a scalfire il meritato successo dei cinque del New Jersey. Al gran successo di Slave To The Grind seguì un lungo tour che li vide a fianco anche di Pantera e Guns N' Roses, ma nel frattempo si iniziava già a pensare ad un possibile scioglimento.


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