Voto: 
10.0 / 10
Autore: 
Iacopo Fonte
Genere: 
Etichetta: 
Merciful Release
Anno: 
1985
Line-Up: 

- Andrew Eldritch - voce
- Wayne Hussey - chitarra
- Gary Marx - chitarra
- Craig Adams - basso

Tracklist: 

1. Black Planet
2. Walk Away
3. No Time to Cry
4. A Rock and a Hard Place
5. Marian
6. First and Last and Always
7. Possession
8. Nine While Nine
9. Logic
10. Some Kind of Stranger

Sisters of Mercy, The

First and Last and Always

Nel lontano 1985 il mondo dark stava ormai trovando i suoi equilibri e stabililendo i suoi ordini gerarchici. In questo contesto i Sisters of Mercy (nome proveniente da una canzone di Leonard Cohen) di Andrew Eldritch erano un fenomeno esploso fin dal 1983 quando la band inglese aveva debuttato e regalato al mondo una serie di epocali singoli dopo i quali, con First and Last and Always, trovò la sua prima realizzazione completa. E’ un full-length questo che contiene quindi in sé la qualità di tutti i singoli precedenti; in primis il numero delle canzoni che hanno reso famoso il combo britannico, quelle che insomma ogni loro fan si aspetta di sentire ai loro live, è alto. Dal punto di vista storico quindi costituisce un must, che, guardando a posteriori la carriera di Eldritch e compagni, occupa anche una posizione centrale nella loro produzione, considerando Foodland (1987) come l’ apice dello splendore della band e mettendo fra parentesi la riedizione di Temple of Love (1992). Da lì infatti la band cominciò una parabola discendente, con la quale si chiuderà il sipario su tutta la scena dark-wave britannica.

E’ un’opera di conseguenza molto ricca di elementi, di espedienti musicali, che ricamano un album molto intenso il quale può vantare di essere l’emblema di generazioni passate e presenti. Il sound ha appunto mille risvolti e prende forme assolutamente diverse. La qualità principale di questo full-length sta proprio nel conciliare aspetti contrapposti, tutto all’insegna di emozioni contrastanti. Si comprende quindi bene come questo platter sia testimone dello stesso fenomeno sociale dark, in tutte le sue contraddizioni e in tutte le sue qualità. Si possono apprezzare track intrinsecamente oscure, blande, che sono allo stesso tempo ballabili e dinamiche. Sono dipinte atmosfere tetre, ma splendenti, che affascinano l’ascoltatore trasportandolo in un mondo a parte, irreale, lontano dalla banalità e dalla monotonia della vita quotidiana. Le sfumature sono tantissime e multicolori, proprio come testimoniano i variopinti fumi che accompagnano immancabilmente la band in ogni sua esibizione.
Ogni componente strumentale, compresa la drum-machine, incarna alla perfezione queste caratteristiche e sviluppa linee melodiche molto fragili ed evocative.

A cominciare dalla prima Black Planet, si percepisce subito la voce sofferente di Eldritch in lontananza: la tragicità cresce immediatamente e le linee del basso di Craig Adams ammaliano con strutture semplici ma che si imprimono nell’immaginario dell’ascoltatore. Viene poi enunciata proprio a parole, come una sorta di manifesto, la tendenza di questo album: “So still so dark all over Europe..”. I suoni delle chitarre sono acidi proprio come quelle dei Cure di Pornography. L’aspetto strumentale è infatti assimilabile a quello dei loro compatrioti di Londra, con effetti allucinogeni, che possiedono in sé l’oscura luce dei neon da metropolitana. Del resto è questo il contesto da cui è nato tutto il movimento dark e pochi generi musicali sono così influenzati come questo dall’ambiente dal quale hanno preso vita. E proprio per questa caratteristica le canzoni successive illustrano un’esistenza di dolori e difficoltà dalla quale è necessario andare via. No Time no Cry in particolare incalza con un andamento funereo, intriso di malinconia per una vita dove non è rimasto neanche il tempo per guardarsi indietro, per affrontare le proprie paure o speranze. E’ una visione chiaramente molto pessimistica che caratterizza tutto le produzioni di questi anni; le linee vocali a questo proposito sono molto particolari e sono studiate apposta per esprimere al meglio questo senso di disagio sociale. A Rock and a Hard Place, quarta track, è di contenuto molto più personale, non universalizza quindi stati d’animo, ed è molto elegante per i patterns di basso coadiuvati a intermittenza da brillanti parti di chitarra.

La quinta track, Marian, è il capolavoro assoluto e indiscutibile dell’intero album, se non forse di tutta la produzione della band. Non molte song come questa sono capaci di approfondire atmosfere così oscure e deprimenti. E soprattutto nessuna ha il merito di esplicitare così precisamente l’essenza del sound dark, nell’apice del pessimismo e della rovina. Qui l’intreccio strumentale è magistrale e soprattutto la voce del leader del gruppo esprime al meglio di sé le proprie capacità in un lamento d’amore che fa ammalare di dolore l’ascoltatore (“I hear you calling Marian, can you hear me call you to save me, save me, save me from the grave”). Dopo questa tempesta emotiva ecco la title-track che risolleva i toni del disco dalle tenebre più impenetrabili, stabilendo un sound molto fresco, soprattutto nel chorus, in una song che assume l’aspetto quasi da ballata. E’ molto dolce e trasportante anche Possession, grazie a parti di keyboard aggiunte che vanno a rafforzare una linea vocale addirittura piangente nella parte finale. Le chitarre di Hussey e Marx si lanciano poi in riff molto melodici che prendono le redini del sound nell’inquietante Possession, ricollegandosi alle note malinconiche della precedente track.
Dopo questa overdose di emozioni e immagini sfumate, arrivano altri grandi brani, Nine While Nine, che assimila dalle precedenti tracks il sottofondo drammatico, tessuto qui da uno straziante pattern di guitar, e Logic. Quest’ultimo è molto affascinante nell’evoluzione sonora grazie a un andamento cupo del basso, costellato però da risplendenti riff di chitarra che vivacizzano tutta la struttura stilistica. A conclusione di questa lunga, malinconica e inquietante marcia nelle tenebre sta Some Kind of Stranger che lascia più spazio all’intervento di keyboard.

Si potrebbe continuare all’infinito a parlare di questo disco così importante, che di fatto deve essere considerato pietra miliare del dark mondiale. Eldritch e i suoi, a fianco dei Cure di Robert Smith, dominano imperversi la scena di tutti gli ’80 e meritano il riconoscimento di tutto il mondo musicale. First and Last and Always è un quadro della società di quegli anni e trae proprio la sua energia vitale dalle persone che resero possibile il sogno glorioso e decadente che è il goth rock.

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