Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Atlantic/Wea
Anno: 
1994
Line-Up: 

(accreditata):
- Zak Stevens - voce
- Alex Skolnick - chitarra
- Johnny Lee Middleton - basso
- Steve Wacholz - batteria

LINE UP (reale):
- Jon Oliva - pianoforte, tastiere, chitarra, batteria, basso
- Zachary Stevens - voce
- Alex Scolnick - chitarra
 

Tracklist: 

1. Taunting Cobras
2. Handful of Rain
3. Chance
4. Stare into the Sun
5. Castles Burning
6. Visions
7. Watching You Fall
8. Nothing's Going on
9. Symmetry
10. Alone You Breathe

Savatage

Handful of Rain

La morte di Criss Oliva è un grave colpo per i Savatage, che si ritrovano ormai prossimi allo scioglimento. Jon però, dopo averne parlato con gli altri e soprattutto con il collaboratore e amico Paul O ‘Neill, al funerale decide che il modo migliore per onorare la sua memoria è continuare a suonare e mantenere vivo il nome Savatage; si rinchiude così in solitudine in uno studio, sfogando la sua tristezza e i suoi sentimenti nella musica, anziché tornando nel mondo delle droghe come avrebbe sicuramente fatto tanti anni prima. Il Mountain King scrive di proprio pugno undici intere canzoni, suonando praticamente di tutto, cosa che ovviamente non può fare per le registrazioni in cui Zachary Stevens decide di aiutarlo. Va però segnalato l’abbandono dello storico batterista Steve “killdrum” Wacholz, che non vuole più suonare ormai nel gruppo perché percepisce che lo spirito del gruppo se ne è andato con Criss e che la direzione stilistica che i Savatage stanno intraprendendo non lo soddisfa (cita invece i Dr. Butcher, side-project di Jon, come "il vero sound ed essenza dei Savatage"), mentre Johnny Lee Middleton non se la sente di registrare un album ma non abbandona il gruppo. Per il ruolo di chitarrista viene invece contattato un talento affermato come Alex Scolnick dei Testament, che fra l’altro ci mette del suo nella stesura degli assoli. Nasce così Handful of Rain, nono album della discografia savatiana ma che in realtà potremmo, in teoria, considerare ufficiosamente il primo disco solista di Jon per quanto accennato sopra (e tecnicamente è così; paradossalmente però, per motivi contrattuali non potrà comparire nelle foto del booklet, in cui invece c’è Wacholz nonostante non suoni, e addirittura non può nemmeno figurare nella line-up ufficiale).

Non è difficile immaginare che il dolore, come quello per la perdita di una persona cara, porti alla rabbia, ed è per questo che il primo brano, Taunting Cobras, è una sfuriata di puro thrash metal martellante e pestato. Alex si trova perfettamente a suo agio, dato che il genere è il suo pane quotidiano, ma Zac, pur mostrandosi in forma vocalmente con una voce potente e scorrevole, ha forse un timbro meno adatto alle sonorità del brano di quanto la voce maggiormente acida e tagliente di Jon sarebbero probabilmente state, ma è troppo presto perché possa tornare a cantare dopo i problemi alle corde vocali avuti solo un anno e mezzo prima. La seconda canzone, Handful of Rain, viene introdotta da una cupa chitarra acustica tinta di country e folk-blues, ma dopo un minuto si trasforma con l'incedere della chitarra elettrica e della batteria diventando molto più rocker, in maniera simile ai Metallica del Black Album in quei brani che alternavano parti più meditate ad altre distorte lente e imponenti. Chance (inizialmente pensata per Streets, poi ripresa) è un piccolo gioiellino di metal sinfonico, il primo brano dei Savatage che può essere definito così in maniera propria ed il primo a figurare una sovrapposizione vocale (nel finale), per cui leggenda dice ci volle ben una settimana in studio di registrazione e missaggio. Atmosferico, evocativo, intenso, un brano unico. Una piccola perla geniale da assaporare nota per nota. Interessante poi il testo, incentrato sulla figura Chiume Sugihara, diplomatico giapponese che aiutò a far fuggire 6000 ebrei dalla Lituania nonostante lo odiassero perché alleato dei nazisti, e sul dilemma se fare ciò che si sente la cosa giusta disobbedendo agli ordini per qualcuno che ti teme e disprezza. Stare into the Sun, che racconta il punto di vista di un veterano nei confronti del mondo che cambia incessabilmente intorno a lui, inizia come una ballata blues rock come tradizione degli ultimi decenni, di per sé è un pezzo piacevole ma convince in parte, non tanto perché fuori dai consueti canoni stilistici della compagine floridiana, quanto più perché troppo derivativa da uno stile non del tutto loro. Ci sono anche alcuni brevi refrain di chords distorti a completare il tutto, ad ogni modo. Castles Burning, che parla di Giovanni Falcone e della sua lotta contro la mafia, è un'evoluzione dello stile Savatage degli ultimi anni con una maggiore atmosfericità, anche se lontana dall'eterogeneità di Chance. Visions è una breve strumentale sinfonica beffarda ma cupa, offre un sacco di spunti interessanti ma la sua scarsa durata lascia come la sensazione che l'idea sia stata lasciata a metà. Watching You Fall è una ballata che alterna momenti blueseggianti soffusi e leggeri con gli ormai consueti refrain possenti ed emozionanti, un brano di maniera che scorre via con leggerezza e fluidità; fra l'altro, parla della guerra in Bosnia, tematica che reincontreremo presto a livello maggiore nei Savatage. Nothing Going on è un metal veloce e tagliente, sulla scia dei Judas Priest di brani come Leather Rebel e Metal Meltdown e sporcato leggermente e con le dovute proporzioni, in alcuni punti, di thrash panteriano. Jon Oliva ci mette il suo personale gusto melodico come sempre nel songwriting ma la canzone è più monotona del solito. Symmetry (che parla del suicidio fra i musicisti) rievoca l'arpeggio di He Carves His Stones e si articola fra melodia e durezza, risulta però un po' spenta, rispetto alle migliori prove del gruppo. Alone You Breathe è l'ultimo brano del disco, un saluto commovente alla memoria di Criss Oliva (seppur non direttamente riferito alla sua morte) di tastiere, pianoforte e consueti riffoni toccanti (riprendendo fra l'altro il ritornello di Believe), di sicuro effetto per tutti i fan del gruppo che erano ancora scossi dalla morte del chitarrista; potrebbe però risultare tediosa a chi cerca un cambio di registro consistente, ma tenendo conto della situazione dell'album sarebbe un giudizio insensato, fraintendendo le intenzioni compositive di Jon e quello che voleva comunicare quando pensò e scrisse questa canzone.

Si conclude così questo disco profondo ed emotivamente vissuto, fra heavy metal, hard/blues, thrash ed elementi sinfonici, che alterna luci e ombre. Insomma, è un album da un certo punto di vista controverso, alterna pezzi bellissimi ad altri più spenti e ad alcuni forse troppo impersonali, è in pratica un full-lenght discontinuo la cui identità è quella del disco di transizione, dal passato ormai consolidato ma inevitabilmente da abbandonare verso un futuro incerto e che certamente navigherà su coordinate nuove e da scoprire. Forse per questo motivo possiamo anche dire che i Savatage che erano sono finiti, per lasciare spazio a dei nuovi Savatage: non più quel gruppo il cui cuore e la cui mente erano Jon Oliva e Criss Oliva insieme, spalleggiati dai fidi Wacholz e Middleton. Ora i Savatage si identificano con Jon stesso, e con tutti coloro che lo seguiranno nel suo nuovo percorso musicale, a partire dal fidato produttore Paul O’ Neill che più che mai diventa ora il “membro fantasma” del gruppo poiché da questo momento il suo aiuto nella scrittura dei testi e dei concept musicali diverrà sempre più influente. Per loro si è chiusa un’era, ma ora ne inizia un’altra. È l’inizio di un nuovo capitolo.
 

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