Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Atlantic Records
Anno: 
1986
Line-Up: 

- Jon Oliva - voce, tastiera
- Criss Oliva - chitarra
- Johnny Lee Middleton - basso
- Steve Wacholz - batteria
 

Tracklist: 

1. Fight for the rock
2. Out on the streets
3. Crying for love
4. Day after love (Peter Ham cover)
5. The edge of midnight
6. Hyde
7. Lady in disguise
8. She's only rock'n'roll
9. Wishing well (Free cover)
10. Red light paradise

Savatage

Fight for the Rock

Chiedete ad un qualsiasi fan di lunga data dei Savatage cosa ne pensa di Fight for the Rock e nove volte su dieci diverrà scuro in volto e risponderà con un nodo in gola. Oppure sbufferà con scherno. Sì, perché quest'album è il più dubbio e controverso della storia della formazione di Tampa, odiato da molti fans, tristemente noto per sentito dire a molti dei più giovani appassionati dei Savatage che se ne sono per questo tenuti alla larga, pesantemente criticato persino dallo stesso Jon al punto da ripudiare questo lavoro. Questo perché dopo un album di abbastanza successo come Power of the night, i gradi alti della Atlantic Records si riunirono e decisero che i Savatage avrebbero dovuto fare un album molto "in voga" ed abbordabile per il mercato di massa. In sostanza fu tutta una grossa manovra commerciale e i Savatage, ancora giovani e insicuri sulla loro carriera, non poterono che accettare per evitare che delle tegole cadessero fin da subito sulla loro carriera. E il risultato infatti fu molto morbido, ma purtroppo alquanto banalotto e privo di grandi ispirazioni se non di sonorità ripescate qua e là e appiccicate con la colla nell'album, fortemente influenzato dal glam più stemperato e dal pop/rock ottantiano più stereotipato; un'ovvia brutta batosta per tutti i fan usciti dalla ruvida energia degli album precedenti, all'epoca. Si può tuttavia salvare qualcosa dal disco, che non è certo l'album più brutto di tutti i tempi. Il motivo è che si tratta di uno di quei casi in cui la buona o cattiva fama di un album supera il valore effettivo di un'opera. È vero, sì, ciascun difetto che è stato detto su quest'album, dagli stilemi rubacchiati al glam, alle melodie spesso troppo pompose. Passando per schitarrate iper-laccate, testi ai limiti dello stereotipo, tastiere usate più per ridondare l'orecchiabilità delle canzoni che per impreziosirle, chorus banali e una grossa trama intessuta sullo sfondo dell'album che rende abbastanza visibile la mancanza di idee proprie sostituite da ricicli e surrogati vari arrangiati in funzione hit. Però il risultato rimane comunque ascoltabile, con diversi spunti godibili, se si chiude un occhio su questi difetti. Gli spunti sono molto melodici e la classe esecutiva dei Savatage rimane, e a meno di pregiudizi non c'è alcun motivo reale che possa giustificare i conati di vomito di alcuni intransigenti sostenitori fin dall'epoca. Certamente però è il loro lavoro peggiore. E certamente si è comunque ampiamente giustificati se si è rimasti delusi da quest'album e se non lo si ritiene degno di essere difeso dagli attacchi di chi l'ha proprio schifato. Il consiglio da dare è di concedere un'altra chance al disco, per magari scoprire anche pochi piccoli punti interessanti che prima erano sfuggiti all'attenzione.

Soprassedendo su tutto, fu durante la tourneé di quest'album che i Savatage conobbero il produttore Paul O'Neill, dando inizio così a una proficua e duratura collaborazione a cominciare dal successivo LP Hall of the mountain king. Parlando dei membri del gruppo, è l'album d'esordio di Johnny Lee Middleton al basso, e anche se non si sente ancora molto non fa rimpiangere Keith (pur se siamo ancora lontani dai suoi futuri lavori, i migliori); Jon ammorbidisce generalmente le linee vocali, soprattutto nelle ballate, ma non mancano interventi più cattivi con la sua voce che domina il palco nei momenti di maggior trascinamento; si potrebbe dire lo stesso anche di Criss in funzione della sua chitarra, con riff energici, rockeggianti, ed altri più morbidi (e a volte a metà strada, ricordando i Treat). Wacholz invece tende a non far sentire più di tanto la sua presenza, ma è un'ovvia conseguenza del filo musicale del disco. Si parte con la titletrack con il suo mitico riff che sembra ancora ricordare il precedente Power of the night, ma il resto del brano è commistionato a note più melodiche e ad un chorus più d'impatto. Ma ecco già tre ballad di fila. Partiamo con la seconda Out on the Streets, la stessa di Sirens, quasi uguale e in effetti per questo al tempo stesso un po' inutile anche se gradevole. Poi c'è la terza Crying for Love, un po' meno ballata, più distorta ed energica, che nel giro di note iniziale autoricalca I believe sempre di Sirens. E infine la quarta Day After Day (cover di Peter Ham), un po' sdolcinata e mielosa rispetto agli altri brani. The Edge of Midnight è più oscura, intrigante ed affascinante, e si rivela infatti un buon brano, probabilmente il migliore. Altrettanto oscura è Hyde, forse anche di più; in entrambi i casi, sfiorando una sorta di hard & heavy sporco e accattivante, i riff appaiono i meno scontati e più genuini del disco, nota ovviamente positiva. Lady in Disguise (che strizza gli occhi ai Queen) non è altrettanto originale, ma si dimostra lo stesso melodica e godibile nella combo synth/chitarra, che ricrea atmosfere puramente ottantiane, e moderne ma romantiche. Non è una riproposizione dell'omonimo brano di Sirens, viene sviluppata diversamente e anche il testo non è del tutto identico. She's Only Rock and Roll invece sembra essere la più ancorata al passato, ma manca di mordente e di vitalità rispetto alle tre canzoni che la precedono. Però è abbastanza dura per chi preferiva i tre album precedenti e quindi non scorre via anonimamente. Altra cover: Wishing Well dei Free, energica ed accattivante, con assoli quasi-metal in stile Queen e sezione ritmica marcata; ma non aggiunge molto di nuovo rispetto al resto dell'album. Chiusura d'album con Red Light Paradise che all'inizio si promette oscura e quasi thrasheggiante nello stile, ma che poi non decolla e anzi si perde in quei soliti pomposismi già sentiti e risentiti, che non precludono però il brano.
In conclusione, non è affatto da buttare il disco, ci sono delle canzoni buone ed ascoltabili, ma valutando con un orecchio più accorto si notano difetti di analisi più obbiettiva che altro.
Il voto finale può risultare quindi flessibile in base ai propri gusti personali: se alcune sonorità di quest'album proprio non vi vanno giù, allora togliete pure dieci punti. Se invece non vi interessano certi discorsi sull'originalità, sul riciclo di idee, sull'innovazione compositiva ecc. i dieci punti invece aggiungeteli e godetevi un album più che sufficiente.

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