Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Steinklang Ind./(Ahnstern Rec)
Anno: 
2005
Line-Up: 



- Mark A. How - Voce, Chitarra, Nyckelharpa, Dalslandspipa, Flamish Bagpipes, Flauti, Batteria e Percussioni

- Steve E. - Chitarra, Flamish Bagpipes, Flauti, Percussioni aggiuntive, Coro su “Bring Back the Old Gods”

- Riharc - Hurdy Gurdy, Flamish Bagpipes su “But Warriors are Marching”, Coro su “Another Friend”, “Bring Back the Old Gods” e “Armageddon is a Sunny Day”



Guests:

- Lady Purple - Voce principale su “When the Wind...”, Coro su “Bring Back the Old Gods” e “Wolven”

- Katrin Gottschlich - Flauto in “Wolven”

- Birgit W. - Didgeridoo, Corni



Tracklist: 

1. The Raven’s Song

2. Another Friend

3. Wolven

4. The Einherjer

5. ThePilgrim

6. Bring Back the Old Gods

7. ...But Warriors Are Marching

8. When the Wind...

9. Several Ways

10. Armageddon is a Sunny Day

Sagentoeter

Prayers to Othinn

“...Bring back the old Gods, and destroy the new
Remember the prayers our forefathers told...”


I Sagentoeter sono un progetto parallelo di alcuni membri dei Riharc Smiles (altra band che spero di portare presto su queste pagine virtuali...), gruppo, quest’ultimo, che ha debuttato nel 2004 con l’ottimo “The Last Green Days of Summer”, un disco di neofolk ispirato e genuino; i Sagentoeter esordiscono invece un anno più tardi, nel 2005, con questo, stupefacente, “Prayers to Othinn”.

Ma andiamo con calma. Il leader del progetto è tale Mark A. How, che si occupa delle voci e di innumerevoli altri strumenti folkloristici, ed è principalmente assistito dal suo grande amico Riharc (leader di quei Riharc Smiles cui prima accennavamo e di cui lo stesso Mark How fa parte) e da Steve E., con piccoli contributi di altri guests sui vari brani.
Il disco, le cui musiche sono state composte e registrate nel 2004, contiene liriche (in inglese, nonostante il gruppo sia austro-tedesco) risalenti al 1998/1999, tutte incentrate, come già si evince dal titolo, sulla mitologia nordica e centro-europea.
Le musiche ricalcano da vicino i testi, proponendo un neo-folk che sa di antico, dal flavour quasi celtico, che sa essere delicato come accattivante, dolce come malinconico, rilassante come commovente; non v’è traccia di influenza post-industriale, folk noir o apocalittico, quanto piuttosto un approccio molto personale, che rende il disco un vero e proprio manifesto di passione per le culture e le musiche dei paesi scandinavi e mitteleuropei, riviste sotto un’ottica Neofolk.
Le basi di ogni canzone sono create dalle percussioni e dalle chitarre acustiche, mentre la voce ottiene il ruolo di protagonista lungo tutto il corso del disco, e il suo strapotere è contrastato solo dalle particolari cornamuse di Mark e Riharc, derivate dal suono dei Riharc Smiles, e dagli altri strumenti etnici, tutti suonati con grande perizia tecnica e gusto.
Il gruppo cui più mi sento di paragonarli, oltre ai pluri-citati e legatissimi Riharc Smiles, sono i grandi Fire & Ice di Ian Read, a cui il gruppo può essere accostato per la carica folk (sebbene ci siano molte differenze, non ultima la presenza di ritmiche più vivaci nei Sagentoeter) nonché per certe liriche (e mi riferisco in particolare a “Runa” dei Fire & Ice).

Da sola, l’opener “Raven’s Song” vale l’acquisto del disco: l’inizio, fra arpeggi, gracchiare di corvi, flauti, e una voce stanca ma suggestiva, è da brividi; dopo i due minuti entrano però in gioco le percussioni e le cornamuse, a movimentare l’andamento della canzone: il refrain, indovinato nelle sue melodie, è devastante nella sua semplicità. Nel finale, uno stacco improvviso ci riporta alla calma iniziale. Trattenendoci dal premere il pulsante per ripetere la canzone, proseguiamo verso la seguente “Another Friend”, triste composizione dal ritornello ossessivo, in cui il narratore ringrazia i presenti per essere venuti ad onorare il guerriero e l’amico che li ha lasciati.
La terza “Wolven” è altrettanto ispirata, anche se inizialmente colpisce meno, forse per via di un approccio più lento, intimo e sussurrato, e per l’assenza di un ritornello che si stampi subito nella mente come invece accadeva nei brani d’apertura. Sicuramente si fa ascoltare più piacevolmente solo dopo che si ha metabolizzato le evoluzioni di flauti e voci (buono il duetto fra voce maschile e femminile), anche se rimane la sensazione che il brano potesse durare un po’ di meno.
“The Einherjer”, suggerisce un richiamo alla mitologia scandinava, in cui gli Einherjer sono i guerrieri morti con onore sul campo di battaglia, scelti dalle Valchirie per andare a formare l’esercito al servizio degli dei. Fra i migliori momenti del disco, “The Einherjer” è musicalmente accostabile alla seguente “The Pilgrim”, anch’essa fra le più indovinate. Particolarmente azzeccato e sognante, il chorus di “The Pilgrim” è micidiale nel suo fascino, e il suo andamento altalenante la rende peculiare quanto apprezzata.
La sesta “Bring Back the Old Gods”, vera e propria dichiarazione d’intenti, è forse il pezzo che più colpisce, a un primo ascolto, per merito di un giro di chitarra semplice e stupendo, e del ritornello meglio composto di tutto il disco, il cui ritmo vi conquisterà in pochi secondi. Come in molti altri artisti della scena, anche qui la “musa ispiratrice” è la voglia di ritorno a uno stile di vita e a tradizioni antiche, per una canzone dal grande significato spirituale, pur nella ingenua e riduttiva forma lirica in cui è presentata.

Desolante, “...But Warriors Are Marching”, mostra la marcia di un esercito di uomini che sa di andare incontro alla sconfitta perché abbandonati dalla loro divinità, ma che instancabilmente continua il proprio cammino (“Fire in our hearts has frozen, but here, we come – There’s no sense for us in praying, ‘cause God, he’s gone”): ottimo l’accompagnamento dei flauti e degli strumenti folk, per un pezzo che si vivacizza proprio nei momenti in cui ci si aspetterebbe una totale rassegnazione.

L’atmosferica “When the Wind...” è forse la più atipica, perché cantata interamente dalla delicatissima voce femminile di Lady Purple, che si muove leggiadra sul tappeto atmosferico costituito dal fischiare del vento e dal suono di un didgeridoo (parecchio utilizzato anche dai finnici Gjallrhorn, ad esempio); con lei, un flauto melodioso cavalca le grandi brezze che la voce descrive, conducendoci infine alla nona “Several Ways”, la cui apertura percussiva fa cambiare immediatamente l’atmosfera idilliaca che s’era creata, riportandoci con le gambe ben piantate nel terreno, ad ascoltare le cornamuse, quasi piangenti, duettare fra loro.
Manca un ultimo capitolo, quello che farà terminare il nostro viaggio fra le “preghiere ad Odino”: un finale triste eppure affrontato senza paura ed anzi con una rassegnata gioia, mostrando una concezione ciclica della vita e della morte prettamente pagana, in cui il Ragnarok viene visto come nuovo e necessario punto di partenza - “Armageddon is a Sunny Day”, già presente sul disco dei Riharc Smiles, viene qui riportata nello stile dei Sagentoeter, in una versione leggermente più veloce nella fase centrale, ma sempre caratterizzata dalla presenza delle due voci, una narrante e sussurrata, l’altra più lamentosa che segue la melodia del brano. Rese meno preponderanti le cornamuse e meno marziali le percussioni, i Sagentoeter dipingono più dolcemente il brano e vincono il “confronto a distanza” su questo pezzo condiviso dai due gruppi.

Dopo averli scoperti fortunosamente, girovagando su un forum Folk, e essermi innamorato della dolcissima e amorevole ballata “Lullaby” sulla compilation “Mia Runa”, sono stato veramente folgorato da quello che è stato uno dei dischi del 2005 che più ho apprezzato, in ambito neofolk.
“Prayers to Othinn” può interessare solo una ristretta cerchia d’ascoltatori data la sua estrema peculiarità, ma, da parte di questi, merita sicuramente un ascolto. E’ un disco che ha ricevuto pochissima attenzione (forse anche perché pubblicato solo in edizione limitata a 500 copie,in un cd dal box in legno...), ma che avrebbe dovuto ricevere ben altra accoglienza. Intimista nelle musiche quanto esplicito nelle intenzioni, Mark A. How ha tirato fuori un disco ricco di spunti e atmosfere che faranno la felicità di chi apprezza questi sentimenti paganeggianti e odinisti in musica, nonché di chi apprezza un NeoFolk solare e appassionato ma nostalgico, legato alle antiche tradizioni e dal grande feeling “devozionale”.
Consigliato, ma con un ascolto preventivo per orientarsi.

“...No need for us to sigh – today is a good day to die
No need to run away – Armageddon is a Sunny Day...”


LINKS PER L’ASCOLTO:
Samples, di circa 2 minuti ciascuno, di 3 canzoni di questo cd:
The Raven’s Song
Wolven
Bring Back the Old Gods


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