Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Genere: 
Etichetta: 
Smog Veil
Anno: 
2011
Line-Up: 

- David Thomas - Voce
- Richard Lloyd - Chitarra
- Cheetah Chrome - Chitarra
- Craig Bell - Basso
- Steven Mehlmann - Batteria

Tracklist: 

1. I Sell Soul
2. Birth Day
3. Anna
4. Butcherhouse 4
5. Romeo & Juliet
6. Sister Love Train
7. Love Train Express
8. Good Times Never Roll
9. Six and Two
10. Maelstrom
11. Pretty

Rocket from the Tombs

Barfly

Nonostante i Pere Ubu e i Dead Boys siano celebrati come due dei gruppi più validi e importanti del panorama punk e new wave di fine anni '70, le origini di queste band rimangono sconosciute anche a gran parte dei loro estimatori.
Per quanto egualmente importanti per la generazione punk, infatti, i Rocket From the Tombs (il primissimo nucleo musicale in cui suonavano David Thomas e Peter Laughner - voce e chitarra della formazione originale dei Pere Ubu -, Cheetah Chrome e Johnny Blitz - chitarra e batteria dei Dead Boys - e il bassista Craig Bell, intorno alla metà degli anni '70) non pubblicarono mai nulla all'infuori di bootleg e varie demo, sciogliendosi nel 1975 dopo soli otto mesi di attività, nella più totale indifferenza del grande pubblico. I Rocket From the Tombs apparivano irrimediabilmente legati allo status di gruppo cult, conosciuto a malapena dai fan più assidui dei loro spin-off.

Quando però la Smog Veils Records mise insieme la maggior parte delle registrazioni amatoriali dei Rocket From the Tombs nei settantaquattro minuti di The Day the Earth Met the Rocket from the Tombs, nel 2002, la situazione sembrò capovolgersi improvvisamente. Lo storico gruppo garage si riunì l'anno successivo nella formazione quasi originale (Peter Laughner, morto nel 1977, viene infatti rimpiazzato dall'altrettanto storico Richard Lloyd dei Television, mentre il ruolo di batterista viene ora coperto da Steve Mehlman, anch'egli membro dei Pere Ubu ), pubblicando Rocket Redux, una esecuzione del repertorio storico dei Rocket From the Tombs con la line-up appena ricostituita). Ma l'interesse verso la band crebbe ulteriormente quando nel 2006 David Thomas annunciò di essere intenzionato a pubblicare il primo full-length ufficiale a nome Rocket From the Tombs.
La creazione del nuovo materiale per il "debut" album ha occupato così il quintetto dal 2006 fino al 2009, anche se l'opera della band non vede la luce prima del settembre 2011, quando la Smog Veil pubblica Barfly, a ormai trentasette anni dagli inizi (e dalla fine) del quintetto originale.

Il disco, nonostante l'anno di pubblicazione, riesce incredibilmente a suonare come un autentico full-length d'esordio di un gruppo garage anni '70: la sua proposta è infatti diretta discendente del mondo proto-punk di quasi quarant'anni prima (recuperando non solo l'atteggiamento barbaro dei MC5 e degli Stooges, ma anche le sonorità hard/glam dei New York Dolls e dei Dictators e soprattutto le influenze del rock n'roll e del garage più trasgressivo degli anni '50 e '60 secondo la lezione dei Ramones), incastonata stilisticamentre tra le immature, classiche sonorità dei Rocket From the Tombs originali della compilation del 2002 e i sound più innovativi che svilupparono in seguito i loro membri nelle loro due costole principali (in particolare i Dead Boys, maggiormente citati attraverso le undici composizioni di Barfly).
Le barbare partiture delle sfuriate di I Sell Soul, Anna, Sister Love Train (con tanto di fiati anni '50 a coronare il garage dei Rocket From the Tombs), Good Times Never Roll o Maelstrom non lasciano dubbi sui referenti stilistici di tutta l'opera, così come le ballate Romeo & Juliet e Pretty sono insindacabilmente figlie di un approccio americano all'hard rock decisamente anni '70. Tra le sregolatezze garage e l'epilessi punk costruite dagli strumenti si erge però la voce di David Thomas - esuberante e teatrale come da tradizione -, che smorza i toni efferati della musica di Barfly, riuscendo anche a dare un connotato più particolare allo stile dei Rocket From the Tombs.
Non per nulla tra gli sfoghi punk che bruciano la durata del disco (anche questo sintomatico dello spirito che aleggia sull'album) i momenti che spiccano sono proprio quelli più vicini alla new wave istrionica e dadaista dei Pere Ubu, ovvero la farsa patetica di Birth Day e soprattutto la tragicommedia di Six and Two, erede della Modern Dance ideologicamente e stilisticamente (visto anche l'approccio più sperimentale e atipico al garage/punk riscontrabile in queste due tracce).

Barfly non contiene nulla di rivoluzionario o innovativo, né si prefigge, d'altronde, un obiettivo simile: i Rocket From the Tombs vogliono semplicemente mostrare al mondo come sarebbe stato un esordio su full-length nel 1975, riprendendo da quel periodo le stesse sonorità, mezzi e idee che animavano le band americane del pre-'77. E considerato quanto lo smalto e l'energia dei cinque musicisti coinvolti siano rimasti intatti a distanza di così tanto tempo, l'operazione non può dirsi che riuscita.

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