Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Lifeforce Records/Andromeda
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Kasper Thomsen - voce
- Jeppe Christensen - tastiere, voce
- Lars Christensen - chitarra
- Jesper Andreas Tilsted - chitarra, tastiere
- Jesper Kvist - basso
- Morten Toft Hansen - batteria

Guest:
- Lars Vognstrup - voce nel brano 9

Tracklist: 

1. This Blackout Is Your Apocalypse
2. Somewhere Along the Road
3. The Bash
4. Warriors
5. Straight to Hell
6. Welcome the Storm
7. Wasteland Discotheque
8. Somebody's Watching Me
9. A Heavy Burden
10. To the Lighthouse
11. Showdown Recovery
12. The Comfort in Leaving

Raunchy

Wasteland Discotheque

Quarto appuntamento con i danesi Raunchy, fra i principali rappresentanti di un'intera cerchia di "meteore" del metal nonché alfieri di un'attitudine, quella del metal melodico ma patinato e plasticoso, divenuta in breve tempo abusatissima e monotona.

Questa volta i sei con Wasteland Discotheque portano più attenzione nella composizione rispetto al precedente spento album: si nota la maggiore ispirazione nella diversificazione dei riff e delle melodie, come la maggior cura riposta nell'intrecciare il tutto e a dargli una parvenza almeno un po' più personale.
Quel che permane è lo schematismo ultra pedissequo e scontatissimo, che nulla fa per sopperire alla cronica mancanza di originalità del gruppo, alla sua prevedibilità, al suo riscaldare in continuazione la stessa minestra già sfruttata e sfruttata innumerevoli volte da molti altri - in diversi casi anche con maggiore creatività, oltre che, ovviamente, molta più freschezza nel sound.
Non si tratta di un disco dotato di un minimo di ambizione o che tenta di far qualcosa per svecchiare una manieristica riproposizione di stilemi stantii, triti e alle volte quasi laccati. Semplicemente il gruppo, acquisendo sempre più esperienza e maturità col passare degli anni, ha cercato di conferire almeno un po' più vigore e concretezza al proprio stile, senza però snaturarne l'essenza easy listening e "potente ma orecchiabile", che in un modo o nell'altro i Raunchy hanno come propria; da questo punto di vista si può quindi apprezzare la genuinità spontanea e sincera con cui confezionano tutti i ritornelli radio-friendly e i riff martellanti, frutto di un'anima metal thrashy ma dal cuore pop, purtroppo deficitando in idee concrete ed indugiando nel riproporre staticamente stilemi stantii, riciclati.

This Blackout Is Your Apocalypse è un'intro atmosferica di tastiere, chitarra acustica e climax emotivi distorti, che sfocia in Somewhere Along the Road, più o meno la solita salsa a cui i Raunchy ci hanno abituato: riff groove thrash, chorus ultra-orecchiabili, stacchi quasi metalcore, voce aggressiva e ritmi incalzanti con qualche tastierina di sottofondo a fare da riempitivo. Tutto però già strasentito, piatto, blando.
Risultano così trascurabili tutti i pezzi successivi come The Bash (attacchi a la Soilwork, incursioni in territori quasi melodeath, muri sonori dal sapore americano fra Chevelle e Submersed, senza cercare di cavarvi fuori qualcosa di nuovo), Warriors (tastiere più gothic moderno, tappeti di chitarre che ritornano al debutto Velvet Noise, riff che riprendono gli In Flames di Whoracle più thrasheggianti) o Straight to Hell (thrash melodico fritto e rifritto, tranne nel ritornello irresistibile dove c'è maggiore divergenza stilistica).
Peccato perché le melodie in sè sono tutte fortemente canticchiabili e trascinanti, oltre che meno scialbe che nel precedente disco.
Si prosegue con il groove metal/metalcore leggero di Welcome the Storm, la titletrack che in parte rievoca il disco d'esordio con il suo riff fra nu metal e melodeath e con altri tratti più industriali, la riuscita Somebody's Watching Me a cavallo fra atmosfere elettroniche moderne, durezza di fondo e melodicità quasi scanzonata - ma è una cover dell'artista pop ottantiano Rockwell.
Sembra ci possa essere qualche variazione di coordinate con A Heavy Burden, introdotta da una tagliente ma mesta chitarra acustica. Forse una ballata, soluzione banale ma che almeno romperebbe la monotonia; però subito arriva un riff di chitarra elettrica, un po' ricordante il motivo di Ordinary Story degli In Flames, seguito da una noiosa reimmissione nei binari soliti dell'album, questa volta ancora più ripetitivamente e stancamente. Irrilevante il ritorno dell'ex Lars Vognstrup a collaborare dietro al microfono per questa occasione.
Non si migliora la situazione con To the Lighthouse, canzone con qualche spunto più maideniano, refrain pescati dai Soilwork, nè con la ridondante Showdown Recover. Qualche filtro vocale sporadico, ad imitare Anders Fridèn o Bjorn Strid a seconda, non cela la povertà di contenuti dei pezzi. Infine abbiamo la conclusiva The Comfort in Leaving che sembra inizialmente virare verso uno speed-thrash più slayerano per poi ricadere - e annegare - subito nei soliti clichè del metal aggressivo ma ultra-melodico già incontrati, con qualche sprazzo di ascoltabilità giusto nel ritornello con una voce filtrata che rimembra The Raven degli Alan Parson Project. Il tutto viene prolungato con un assolo veloce ed ossessivo sopra dei chords stile Evanescence che fa da preambolo ad un'outro atmosferica ed imponente all'interno della canzone stessa; la seconda parte del lungo pezzo (otto minuti) risulta molto più caratterizzata e godibile.

Un piccolo passo avanti, insomma, dopo la delusione dell'ultimo album, per i Raunchy. Ma non basta.
Disco consigliato solamente agli appassionati di determinate sonorità che ne vogliono un'ennesima riproposizione, senza tener conto della freschezza o dell'originalità.

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