Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Polydor
Anno: 
1979
Line-Up: 

- Ritchie Blackmore - chitarra
- Cozy Powell - batteria
- Roger Glover - basso
- Don Airey - tastiera
- Graham Bonnet - voce


Tracklist: 

1. All Night Long
2. Eyes of the World
3. No Time to Lose
4. Makin' Love
5. Since You Been Gone
6. Love's No Friend
7. Danger Zone
8. Lost in Hollywood

Rainbow

Down to Earth

Dopo la terna composta dal debut omonimo, Rising e Long Live Rock’n’Roll, fra gli album hard rock più belli e importanti di sempre, e l'acclamatissimo live On Stage, a causa di dissidi interni i Rainbow in teoria cessano di esistere come gruppo e proseguono solo come progetto personale di Ritchie Blackmore. In teoria, perché ufficialmente anche agli esordi sarebbero stati il solo progetto personale di Ritchie, che ha chiamato musicisti e riformato la formazione in continuazione a seconda di come si evolvevano i rapporti fra di loro e di cosa aveva in mente di fare. Nonostante tutto, se non come gruppo vero e proprio, il nome Rainbow veniva associato dalla maggior parte dei fan e dalla critica al binomio Ronnie James Dio/Ritchie Blackmore. Venendo a mancare Dio, molti si sono trovati a ritenere che i Rainbow fossero finiti. Parzialmente vero e vedremo perché nei successivi album; non ancora invece in Down to Earth, il primo dopo il cambio di line-up, che però possiamo intendere come un preludio al futuro prossimo di Blackmore. Comunque, abbiamo detto "venendo a mancare Dio", questo perché dopo Long Live Rock’n’Roll il rapporto fra il frontman italo-americano e il chitarrista ex-Purple si era parecchio incrinato, in principio per divergenze musicali: Ritchie voleva sfondare il mercato americano con un sound più orecchiabile, di influenze hard blues e dall'approccio più easy listening (anche nei testi), mentre RJ non era affatto entusiasta di questa direzione e intendeva portare avanti l'hard rock dalle tinte fantastiche dei primi tre capolavori, e magari espandere un sound anche più epico. Se questa discordanza era già da considerarsi come una mina vagante all'interno della band, il caratteraccio di Ritchie complicava le cose (soprattutto con gli altri membri) e si sfociava spesso in litigi con scambi di parole pesanti, come per esempio durante un tour in Giappone in cui i due diedero spettacolo davanti a molteplici fan confusi dal litigio. Alla fine RJ, stufatosi di Ritchie, lo manda apertamente a quel paese sbattendo la porta, trascinandosi anche gli altri membri insoddisfatti della situazione tanto tesa. In sostanza, "tanti saluti e a mai più rivederci". Ritchie Blackmore risponde mettendo alla lettera il concetto di "progetto da lui voluto e creato" chiamando Graham Bonnet dei Marbles alla voce, mentre per tastiere e basso riesce a convincere a suonare Don Airey dai Colosseum II e addirittura Roger Glover (suo ex-compagno nei Purple). Soltanto Cozy Powell, il batterista, rimane pacatamente in silenzio fra le vivaci discussioni e non abbandona la barca. La scelta di Bonnet si rivela soddisfacente, in quanto, pur non avendo affatto l'aria e l'aspetto del carismatico frontman rocker, in studio rivela una buona personalità e una voce calda e abile nel destreggiarsi fra le varie linee vocali, sia nei brani più d'impatto che in quelli più leggeri. Purtroppo, l'ombra di Ronnie James Dio incombe e la sua eredità (o meglio, quella di tutta la musica dei Rainbow nel suo periodo) è pesante, e questo inciderà di molto su quasi tutti i giudizi riguardo Down To Earth. Difatti l'album è stato spesso troppo sottovalutato e pesantemente criticato. Mettendo da parte il passato, pensando ora ai Rainbow come un gruppo nuovo, si scopre invece un album molto buono, certo, inferiore ai precedenti, e senza nulla di nuovo apportato alla scena (quando molti altri gruppi stavano invece esplorando il neonato metal o il post-punk), ma complessivamente ascoltabile, ben arrangiato, ricco di buoni riff come è garanzia di Blackmore, solidamente impostato e con una produzione precisa. Questi ultimi due attributi grazie a Glover, che effettivamente è sempre rimasto in buoni rapporti con Blackmore anche dopo la sua partenza dai Deep Purple e che porta con sè una grande esperienza di sicuro affidamento.

All Night Long è sano Hard Rock in puro stile Blackmore, con la sua solita energia e il solito estro che gli permettono di creare riff sempre di gran effetto; l'esordio di Bonnet è molto buono e il brano in questione diviene uno dei più acclamati nei live, che avrebbe aperto al posto di Kill The King, precedente opening track nei tour. Eyes of the World con il suo spaziale giro di synth e i riff decisi è un brano che ricorda fortemente i Rainbow dell'era Dio, oltre che uno dei migliori del pezzo. Blackmore è in gran spolvero e lo dimostra con un ottimo assolo come suo trademark. Viene ora No Time to Lose, un brano molto orecchiabile con un riff deciso e dalla sezione ritmica ben energica, che riporta in lontananza l'epoca Dio e fa capire maggiormente il sentiero imboccato dalla band. Makin' Love è più leggera e morbida, praticamente una ballata con tendenze quasi blueseggianti ma anche una vena pop rock davvero interessante. Since You Been Gone è il singolo che ha reso famoso l'album negli States, una semi-ballad hard rock in stile AC/DC dal ritornello fortemente orecchiabile che ancora oggi figura fra le canzoni più note dei Rainbow, divertente e spensierata. Love's no Friend è un pezzo di forte impostazione blues, dove Bonnet tira fuori le sue carte migliori nella sua prestazione vocale. Il solito grande assolo di Ritchie, che sa essere anche denso ed emozionante, e il brano entra di diritto fra i pezzi migliori dell'album. Danger Zone irrompe sulla scena con il suo riff secco e bruciante e il ritmo incalzante la rendono energica, vivace, e davvero divertente. Al solito, un Bonnet che si destreggia bene nelle sue vocals e un Blackmore davvero in vena con gli assoli. Infine c'è Lost in Hollywood, canzone irruente e frenetica che mette in particolare evidenzia la parte ritmica e che sfodera un altra grandiosa sequenza di riff di chitarra. Ottimo il resto del gruppo, soprattutto nel momento degli assoli alternati di tastiera e chitarra, quest'ultima ancora più bruciante degli standard dell'album che porta grande velocità ed energia per una chiusura di classe.

Down To Earth è sicuramente un album di transizione. Con questo disco, Blackmore ha la possibilità di reinventare i Rainbow; messe da parte le sonorità epiche dell'era Dio, assistiamo ad un tramutamento del sound verso un approccio più diretto, un hard rock più semplice ma sporcato di tendenze blues e altre più rock melodiche, ciò nonostante Blackmore rende il suo stile chitarristico a volte anche più duro e con assoli più veloci e taglienti. In generale c'è qualità e solidità compositiva, mentre manca ancora la coesione fra i singoli membri, che genererà problemi a partire dal tour seguente e avrà ripercussioni sull'album successivo, Difficult to cure, e che in questo disco tende a far sembrare le prestazioni come troppo generiche, rendendo le canzoni, pur se molto buone, mai di grande charme come lo potevano essere Man on the Silver Mountain o Gates of Babylon. Nulla di unico, ma un buon album, consigliato a tutti i fan dell'hard rock settantiano e in particolar modo ai fan di Blackmore.
E Ronnie James Dio? Passò a sorpresa nei Black Sabbath, con cui registrò l'ottimo Heaven and Hell, un masterpiece dell'hard rock dai molti spunti anche heavy su cui però pesava lo stesso giudizio dei Rainbow post-Dio: i Black Sabbath senza Ozzy, anche se sostituendolo con quello che era probabilmente il miglior cantante in circolazione, non erano gli stessi. Dopo quest'album, sentendo quest'aria di estraneità conferitagli dal pubblico e litigando anche con i Black Sabbath, RJ registrò il meno riuscito Mob Rules, e poi passò al proprio progetto personale e omonimo, i Dio, con cui entrò di prepotenza nel mondo metal.

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