Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Polydor
Anno: 
1981
Line-Up: 

- Ritchie Blackmore - chitarra
- Roger Glover - basso
- Joe Lynn Turner - voce
- Don Airey - tastiera
- Bobby Rondinelli - batteria

Tracklist: 

1. I Surrender
2. Spotlight Kid
3. No Release
4. Magic
5. Vielleicht Das Nachste Mal (Maybe Next Time)
6. Can't Happen Here
7. Freedom Fighter
8. Midtown Tunnel Vision
9. Difficult to Cure (Beethoven's Ninth)

CURIOSITA':
originariamente, cioè nelle prime uscite del 1981, la traccia cinque aveva "Zeit" al posto di "Mal", ma nelle successive ristampe venne corretto.

Rainbow

Difficult to Cure

Nonostante tutto, anche Bonnett non andava esattamente a genio a Blackmore, e Blackmore non andava a genio a Bonnett. Inizialmente, le cose sembravano funzionare: con la nuova formazione i Rainbow diedero l'impressione di essere in grado di seppellire il passato e proseguire più in forma che mai. Invece, dopo la pubblicazione di Down to Earth, seguì un tour, culminato con la partecipazione al famoso Monsters of Rock, nel quale Cozy Powell pacificamente (uno dei pochi ad aver avuto la fortuna di un approccio tale) lascia il gruppo per entrare nella band di Michael Schenker. Blackmore punta per sostituirlo su Bobby Rondinelli, ma la "testa calda" Bonnett decide di non poterne più della "testa di granito" Blackmore e abbandona i Rainbow per seguire Powell. La cosa non sorprese molti, dato che raramente si videro associazioni tanto fredde e indifferenti fra un cantante e un chitarrista, e Blackmore non si fece pregare rimpiazzandolo subito con Joe Lynn Turner, proveniente dai Fandango. Ma ancora una volta Ritchie si trova in difficoltà, poco sostenuto dai fans e con musicisti che entrano ed escono dal gruppo come per timbrare il cartellino. Di una storica formazione di hard rock si fa praticamente un bordello e mezza Inghilterra arriva ad unirsi a Blackmore, salvo scappare poco dopo per incompatibilità fra i soggetti. Ritchie capisce che bisogna cambiare, e questa volta si fa a modo suo: Turner e Rondinelli sono molto più malleabili e disposti a sottostare alle precise intenzioni del chitarrista, mentre gli altri membri, ormai abituati, si adattano alla situazione. La strada intrapresa con Down to Earth può quindi essere proseguita senza più componenti del gruppo in contrasto con le decisioni di Blackmore, che può così dare libero sfogo alle sue intenzioni senza dover gestire una formazione instabile. Questa volta, i Rainbow cessano definitivamente di essere un gruppo per mostrarsi come progetto personale di Blackmore. Il risultato che ne esce è Difficult to Cure, un inno alla melodia diretta e ai ritornelli facili abbinati ad un riffing roccioso ed intenso, trascinanti tastiere melodiche (il lavoro del buon Airey è ottimo) di supporto e influenze varie dalla musica dei precedenti venticinque anni, per un risultato dove il sound dei Rainbow si tramuta definitivamente in quello che è l'adult oriented rock. Un disco che molti fan del gruppo schifarono del tutto, e che la critica nel corso degli anni commentò in maniera feroce, ma che in realtà lascia spazio ad ampi insiemi di melodia e che possiede sempre alcuni brani orecchiabili e molto piacevoli da ascoltare. I problemi del disco, piuttosto, vanno cercati nel complesso del songwriting, certamente al di sotto degli standard a cui Blackmore ci abituò in passato e povero di carisma, nella mancanza di uniformità nel tessuto intrecciato dall'album (sembra più di ascoltare una raccolta di semplici hit) e nell'instabilità della formazione che porta ad una perdità di identità del gruppo (e di conseguenza delle composizioni). A questo si aggiunge che per i Rainbow il nome sulle copertine ormai è forse troppo pesante da portare: o più che altro è la mancanza di Ronnie James Dio ad incidere sempre più nel corso degli anni, facendo perdere di peso la proposta musicale di Blackmore. E questo contando che Turner è un signor cantante e si dimostra molto abile dietro al microfono, non facendo affato rimpiangere Bonnett e adattandosi perfettamente alle linee melodiche tracciate dalla chitarra e sostenute dalla freschissima tastiera! Ad ulteriore indizio della tesi secondo la quale certi sintomi sono i postumi della dipartita di Dio, questa spirale negativa, spesso e a più riprese menzionata, se nei Black Sabbath si nota di meno, dato che il neo-entrato Ronnie è pur sempre un cantante eccezionale, una volta andatosene l'italo-americano delle meraviglie nel 1982 farà precipitare la formazione di Birmingham in una sorta di baratro. E se due indizi fanno una prova... ma ormai Black Sabbath e Rainbow sono troppo diversi per fare ulteriori paragoni. Forse è anche l'epoca ad incidere: a rivitalizzare l'intero mondo rock, negli anni '80 sarebbero di lì a poco nati generi e correnti come il dark, il crossover, l'industrial, i vari generi metal e così via, mentre già da alcuni anni il post-punk e la new wave stavano salendo alla ribalta... per dischi tanto semplici e convenzionali come quelli che Ritchie ha ora in mente, lo spazio diventa improvvisamente ristretto.

Ad ogni modo, subito I Surrender porta una buona scarica di energia e melodia, centrando perfettamente gli intenti di Ritchie. Un pezzo ampiamente godibile, così come anche l'ottima e divertente Spotlight Kid, che porta una maggiore carica e intensità, quasi heavy. Più "soft" le iniziali tastiere spaziali e i riff hendrixiani di No Release, uno dei migliori pezzi del lotto, nonché una hit molto popolare all'epoca grazie anche al suo irresistibile intermezzo che può darsi che molti avranno già sentito almeno una volta nella loro vita. Magic non ha lo stesso carisma, appare più scontata e prevedibile e le dissolvenze che fino ad ora hanno lasciato leggermente inconclusi i brani non aiutano, per cui la canzone appare più un riempitivo. Migliora la strumentale Vielleicht das Nachste Mal (Maybe Next Time), una densa e sognante ballad sostenuta dalla chitarra malinconica di Ritchie e le splendide tastiere sullo sfondo. Can't Happen Here ritorna sugli schemi consueti dell'album, con però un riffing che riporta alla mente i primi Rainbow. Trascinante, anche se i pezzi migliori rimangono i primi. Difatti con Freedom Fighter rimaniamo nella media: tanto nota all'epoca, è al di sotto di quel che la sua fama farebbe presumere, eppure offre ugualmente uno degli assoli più belli dell'album. Midtown Tunnel Vision è l'ultima canzone, un piacevole blues anni '60, prima della titletrack strumentale finale, una piccola e curiosa chicca: nel brano infatti è stato inserito dell'Inno alla Gioia di Beethoven reinterpretato secondo lo stile del disco. Un'idea il cui intento più probabile era quello di divertire (anche se la risata pazza finale sembra essere stata messa con sarcasmo), e ci riesce: questa conclusione è molto divertente, anche se alla lunga può leggermente stancare.

Un album a volte forse troppo sottovalutato: in fondo ci sono dei bei pezzi, dove lo stile di Blackmore è sempre ampiamente godibile, la voce di Turner è fresca e vitale, le tastiere sono ottime accompagnatrici, la sezione ritmica è intensa e decisa, e si potrebbe pretendere di più invece dalla produzione non immensa. Tuttavia è innegabile che l'apporto dato dai dischi post-Dio alla discografia dei Rainbow non regge il confronto con i primi tre capisaldi, nè con altri albums rock che stavano uscendo in quegli anni. Con Difficult to Cure Blackmore e soci, pur ottenendo un discreto successo in alcune stazioni radiofoniche americane, persero la stima dei propri fan, mentre le vendite globali diminuirono e la critica li bastonò aspramente. Se siete appassionati di hard rock, pop e AOR, prendete pure ad occhi chiusi Difficult to Cure, perché vi troverete sicuramente pezzi memorabili ed un buon esempio di impatto melodico: consigliato a tutti i rocker di vecchia data. Chi si aspetta molto di più, invece, resterà deluso.

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