Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Parlophone
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Thom Yorke - voce, chitarre, tastiere
- Colin Greenwood - basso
- Jonny Greenwood - chitarre, tastiere
- Ed O'Brien - chitarre
- Phil Selway - batteria

Tracklist: 

1. Airbag
2. Paranoid android
3. Subterranean homesick alien
4. Exit music [for a film]
5. Let down
6. Karma police
7. Fitter happier
8. Electioneering
9. Climbing up the walls
10. No surprises
11. Lucky
12. The tourist

Radiohead

Ok Computer

Quasi nessuno si sarebbe immaginato una tale evoluzione dopo soli due album da parte di "quelli di Creep": eppure la differenza fra Pablo Honey e Ok Computer c’è ed è grande. Ma forse nessuno si sarebbe immaginato che questa differenza avrebbe partorito uno degli album più importanti e discussi nella storia del rock inglese e del mondo pop/rock alternativo, andando oltre i consueti canoni del panorama britpop e scardinandone ogni concetto.

Ora, i Radiohead irrompono con un masterpiece raffinato ed innovativo dalla musicalità ricercata abbinata a testi molto intimisti, sporcata da un contorno a suo modo "psichedelico" sia musicale che extra-musicale (i disegni del booklet, i testi scritti con dei caratteri “impazziti”, tutta un'aura di alienazione attorno al disco) e tinta di una componente elettronica non midollare, ma presente, a scapito invece dell'elemento acustico che pur non sparendo è comunque diminuito rispetto al precedente lavoro. Infine, rimane una costante quell'ormai radicato senso di malinconia insito in tutta la loro musica, senza dimenticare il lato più pop melodico del gruppo, ormai proiettato verso una dimensione più "futurista" e spiazzante.
I paragoni che per primi balzano all'orecchio sono con gli U2 di Zoroopa e con i Pink Floyd della seconda parte di carriera, ma i Radiohead svolgono con cura un lavoro di reinterpretazione che rimescola ulteriormente le carte in tavola con riferimenti ora al college rock dei R.E.M., ora ai Talking Heads o a certi momenti più meditati di David Bowie, ora persino al progressive rock più melodico, ma senza suonar debitori in alcun modo e portando avanti un discorso nuovo tutto loro.

Partiamo dunque con Airbag: suoni alieni che si propagano attraverso la fresca pioggia mattutina e conducono attraverso viaggi siderali e scorci dell’automobile di cui il testo parla. L’assolo è un viaggio celestiale, prima dell’ultimo chorus e degli effetti finali che preannunciano la mini-suite progressiva Paranoid Android, singolo atipico che inizia con una seguenza di fraseggi acustici ed elettrici allucinogena, dopodiché sfociante in improvvise schitarrate schizofreniche, lontanamente preannunciate dal basso cupo e secco di sottofondo. La parte centrale è un intermezzo depresso e abbattuto, che si chiude con un breve rientro del basso precedente che fa subito capire che il ritorno delle schitarrate è imminente... è un brano catchy ma molto inquieto e alienato, dalla strutturazione tanto intrigante che traccia un nodo ideale fra il progressive di gruppi come i Genesis, il britpop e raffinatezze melodiche pinkfloydiane, ma senza suonare come qualcosa di accostabile in toto a questi ambiti bensì come qualcosa a sè stante.
Si passa poi a Subterranean Homesick Alien (il titolo è un tributo a Subterranean Homesick Blues di Bob Dylan), in cui entriamo in contatto diretto con tiepide note ed effetti creanti un’atmosfera di beatitudine, di purezza e di candidezza, riposanti e concilianti, prima dei malinconici, solitari chords acustici di Exit music [for a film]. Questa canzone è quasi una marcia funebre, un'introspezione acustica depressiva e abbattuta. L’arrivo dell’organo rende l’atmosfera ancora più angosciante, mentre la partenza della batteria e la raffica elettronica di sottofondo immergono il tutto in una dimensione lisergica e quasi narcotica.
Let Down inizia con note molto più dolci e gioiose che trasmettono ora invece una sensazione di senerità in un risvegliarsi più spensierato dal tormento del brano precedente. In questa canzone il tamburello a sostegno della sezione ritmica risalta più che nelle altre apparizioni dell’album grazie alla vena altamente orecchiabile, e si sposa perfettamente con le sonorità folk-pop suscitate dal resto degli strumenti in uno dei pezzi più melodiosi e godibili del gruppo.
Karma Police è forse il brano più famoso dei Radiohead insieme a Creep. Si tratta di un pezzo rock/pop ben arrangiato e costruito, dalle scelte melodiche azzeccate e dal ritmo coinvolgente, anche se ricorda un po' troppo Harvest  di Neil Young. Comunque una canzone ragionata e dal mood dolente spontaneamente vissuto, ricercata negli arrangiamenti ma veramente orecchiabile, un eccellente esempio di come anche in lidi più pop si possano ottenere risultati caratterizzati e di spessore. Piccola curiosità: il bizzarrissimo effetto finale è una chitarra, opportunatamente distorta e campionata.

Fino a questo punto tutta la materia dell’album è palpabile con mano, ben caratterizzata ed espressiva, ma ancora lungi dal toccare i vertici "sperimentali" dell'album.
La parentesi di Fitter Happier non è propriamente una canzone, è un breve strano intermezzo parlato, con una voce stile “grande fratello” (non il reality, ma il concetto, ben più antico e colto, di un’entità terrena "superiore" che regolamenta ogni cosa dettando cosa è bene e cosa è male) che recita varie frasi su dei comportamenti ovvi che si dovrebbero fare per vivere alla meglio, probabilmente un riferimento ironico a tutti i media quotidiani che ribadiscono la condotta da tenere per avere un tenore di vita egregio sfociando in un meccanico appiattimento mentale verso ideali utopici e "privi di colore".
Fitter Happier funge da giro di boa all'interno del disco, perché le successive canzoni hanno un approccio tendenzialmente più psichedelico delle prime, dove è più marcata una vena maggiormente pop.

Tocca ad Electioneering, un’energica rocker dai riferimenti politici nel testo, in cui risalta subito la chitarra dai suoni metallici mescolata a suoni alienanti ma coinvolgenti. La canzone più briosa e dura probabilmente, in netto contrasto con la stupenda Climbing up the Walls, una tetra camminata solitaria al crepuscolo (o in notte fonda sotto i lampioni). Atmosfere via via sempre più notturne, ma è una notte di desolazione, non una serata fumosa e mesmerizzante. La voce è funerea, la chitarra acustica tetra, l’assolo catapulta tutto in un trip in acido affliggente e distruttivo.
Veniamo ora in chiusura d’album alla “triade finale”: No Surprises, placida nenia folk pop politicizzata che riprende il ruolo che era di Let Down in quanto ad isola sonora di pacatezza e serenità, riacquietando gli animi in maniera più dolce e meditata tranne che per la voce a tratti tremolante di Yorke, mantenendo così in luce la malinconia del gruppo; Lucky, forse la più psichedelica di tutti i brani e che richiama alla mente i Pink Floyd con visceralità e genuiinità più che altrove, un vortice sonoro attorniante mente e spirito; e infine The Tourist, una lenta, lieve e vellutata canzone, strettamente malinconica e sporcata di jazz, che procede in quiete anche quando subentra l’assolo distorto.

All’epoca Ok Computer sbalordì pubblico e critica riscuotendo un enorme successo, soprattutto si rivelò influente e seminale per molti gruppi che dai Radiohead hanno attinto molto a livello musicale, ancor più di The Bends per via del peso concettuale e formale dell'album del 1997 (simbolico pensare che molti hanno provato a trarre ispirazione dal disco nella forma, anche perché nei Radiohead è molto curata e messa in rislato, ma non tutti ne hanno compreso appieno i veri contenuti).
Ogni canzone segna una piccola perla di raffinatezza melodica, introspezione ermetica ed alienazione sonora. L’impianto ritmico edifica impalcature essenziali per dar sfogo alla creatività delle chitarre, Thom Yorke diviene una delle voci storiche degli anni ’90 d'oltre-Manica, grazie soprattutto al suo utilizzare anche linee vocali volutamente leggermente stonate per meglio esprimere le canzoni. La sensazione primaria è che i Radiohead volessero sdoganarsi da quell'immagine di "gruppo adolescenziale" che gli venne affibiata ai tempi di Creep, ma la genuina poliedricità sonora dei radiotesta sembra voler abbattere ogni preconcetto e andare anche più in là - come si vedrà nel resto della loro discografia.
Nonostante a volte siano comunque esaltati in maniera troppo esagerata, la freschezza di Ok Computer viene comunque confermata dalla bontà delle canzoni, ben composte ed eseguite senza stonare neanche nei cambi di registro più netti - che anzi, conferiscono ulteriore spessore caratterizzativo e personalità al disco.

A questo punto ci si rende conto che i Radiohead hanno ormai reinventato il mondo britpop inglese, sdoganandolo da molti suoi cliché e dando una lezione di stile a parecchie next big things che non fanno che ripetere i dindini di decenni addietro, divenendo così dei vati per la scena alternativa britannica e non.
Ma le sorprese non finiranno qui.

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