Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Roberto Vitale
Genere: 
Etichetta: 
Rhino
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Geoff Tate - Voce solista
- Michael Wilton - Chitarra
- Mike Stone - Chitarra, voce
- Eddie Jackson - Basso, voce
- Scott Rockenfield - Batteria, percussioni

Tracklist: 

1. Welcome to the machine (Pink Floyd);
2. Heaven on their mind (Jesus Christ Superstar);
3. Almost cut my hair (Crosby, Stills, Nash & Young);
4. For what it's worth (Buffalo Springfield);
5. For the love of money (O'Jays);
6. Innuendo (Queen);
7. Neon knights (Black Sabbath);
8. Synchronicity II (Police);
9. Red rain (Peter Gabriel);
10. Odissea (Carlo Marrale & Cheope);
11. Bullet the blue sky (U2) - live

Queensryche

Take Cover

L'amore per la musica, per tutto ciò che rasenta i limiti della purezza indipendentemente dal genere suonato ha accompagnato per parecchi anni le vicende dei Queensryche, diventati famosissimi grazie a quel capolavoro che risponde al nome di Operation: Mindcrime, vero spartiacque di una discografia e anche di un modo di fare rock, che predilige "l'intelligenza" all'impatto. Quel disco, volenti o nolenti, ha condizionato per sempre le successive releases degli americani, che pur producendo dischi pur sempre di alto spessore hanno convissuto con l'impossibilità a livello di nuove composizioni di ricreare quel pathos, quelle atmosfere, ricorrendo poi, sempre con classe, ad operazioni nostalgiche che permettessero ad un opera d'arte di entrare a pieno titolo nella storia della musica, non solo quella propriamente rock.
Ma l'amore per la musica dà anche la possibilità di provare a giocare le proprie carte anche in un mercato strano come quello odierno, che vede in costante aumento la produzione di cover album, dove con la scusa di suonare brani altrui si ottengono due risultati: primo, intanto si è presenti a livello commerciale, secondo, si tende quanto più possibile a celare eventuali cali di ispirazione rimandando la realizzazione di brani originali a tempi migliori.
Nel caso dei Queensryche, il discorso assume una piega differente, poichè i brani scelti dal gruppo non sono presi da un repertorio ortodosso, nel senso che spaziano in lungo ed in largo tra parecchi generi musicali, dal canonico hard rock dei Black Sabbath, prendendo di petto l'opera italiana e il musical tipicamente Newyorkese.

Take cover, va quindi inteso come un viaggio all'interno dell'arte musicale, e chiaramente si pone come episodio a sè stante nella lunga carriera del gruppo, nonostante si muova abbastanza bene in tutti i fronti, anche se, a volte, la strada intrapresa nel cimentarsi con alcuni brani probabilmente incoverizzabili, tra tutti Innuendo dei Queen, toglie punti al disco, pur manifestando il coraggio di Geoff Tate nell'accettare sfide con maestri inarrivabili come Freddy Mercury.
Ed è proprio il cantante ad essere il vero protagonista dell'album, istrionico come sempre, pronto a tuffarsi nell'interpretazione di un classico metal come Neon Knights, peraltro molto simile all'originale inciso dai Black Sabbath, e accoppiare ciò per il quale è conosciuto con Odissea, cantata nella nostra lingua e facente parte di un repertorio, quello operistico, che non sempre riesce ad essere ben digerito dal rock, troppo diverso, a livello culturale e di impostazione sonora. Bella la cover dei Pink Floyd, quella Welcome to the machine inclusa nello storico Wish You Were Here del 1975, e la versione acustica di un brano dei Buffalo Springfield, For what it's worth, che permettono a Tate di modulare la propria voce in tonalità diverse da quelle cui eravamo abituati, fatto questo messo ancora in evidenza con le altre cover, che abbracciano il repertorio dei Police, di Peter Gabriel, di Crosby, Stills, Nash & Young, degli U2.
Quello che bisogna comunque sottolineare è senz'altro la volontà del gruppo di non essere troppo aderenti all'originale; più volte infatti Geoff Tate ha dichiarato che quelli presenti nel disco sono dei classici che appartengono alla storia dell'artista o delle band che hanno inciso originariamente i pezzi, ma certamente è possibile cercare di dare un tocco personale a quelle canzoni, fare in modo che si riconosca l'impronta dei Queensryche in sonorità non sempre compatibili con quanto proposto dalla band fino a questo momento.
Sulla bravura dei musicisti non c'è molto da aggiungere, anche se a volte fa capolino e si sente la mancanza di Chris De Garmo, vero ex motore musicale del gruppo, che forse avrebbe dato quel tocco in più al materiale proposto; tuttavia le due asce Michael Wilton e Mike Stone se la cavano egregiamente, ben supportati da una sezione ritmica quanto mai varia, fatto necessario e conseguente alla diversa estrazione artistica dei brani proposti, di Eddie Jackson e Scott Rockenfield.

Come tutti i cover album, la valutazione complessiva risulta difficile, perchè lo stato di salute di una band lo si vede nelle composizioni originali. Va comunque dato merito agli statunitensi di non volere essere andati sul sicuro, inserendo nella tracklist brani che in qualche maniera hanno esclusivamente a che fare con il rock ed il metal. Sono dei piccoli graffiti sonori, alcuni di grande effetto, altri che restano limitati ad un livello embrionale, di bozza, che forse potranno essere sviluppati in seguito, quando, si spera presto, i Queensryche daranno vita a nuove composizioni.

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