Voto: 
8.4 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
XL Recordings
Anno: 
1997
Line-Up: 

- Liam Howlett - musiche, programming, tastiere
- Keith Flint - voce
- Maxim Reality - voce
- Jim Davies - chitarra

Tracklist: 

1. Smack My Bitch Up
2. Breathe
3. Diesel Power
4. Funky Shit
5. Serial Thrilla
6. Mindfields
7. Narayan
8. Firestarter
9. Climbatize
10. Fuel My Fire

Prodigy, The

The Fat of the Land

Dopo The Prodigy Experience (1992) e Music for the Jilted Generation (1994), il Big Beat inglese era un fenomeno sempre più in evoluzione e i Prodigy una realtà ormai espansa a livello internazionale. Prodigy-big beat è in fondo uno dei binomi più consolidati della musica degli anni '90, visto che fu proprio il progetto di Liam Howlett a dettare le formule più convincenti - in maniera ancor più decisiva rispetto a Chemical Brothers, Fatboy Slim e Apollo 440 - di quell'urticante mix di electro, dance-punk e techno che infiammò i nineties sintetici. Due album, quelli sopracitati, che ersero il progetto britannico ad emblematico stendardo della sottocultura rave e che rivoluzionarono profondamente tutto l'emisfero underground della musica elettronica. In ogni caso il canto del cigno non era ancora venuto fuori, sebbene si sentisse nell'aria che i Prodigy stessero preparando un nuovo, violentissimo assalto al buonsenso e al perbenismo della cultura britannica.

Quello che a ragione viene considerato come il più grande album big beat della storia (ma in generale uno dei più rappresentativi lavori dell'intera decade), vide luce ben tre anni dopo l'enorme successo di Music for the Jilted Generation. Nel frattempo l'intero scenario europeo si era trasformato ed evoluto e lo stesso big beat poteva così contare su di una crescente massa di interpreti e, soprattutto, fans: fu così che da semplice fenomeno underground la sottocultura rave diventò uno dei fiori all'occhiello del panorama elettronico europeo, avvicinandosi sempre di più ai mass media e ad un mondo pubblicitario (Mtv) che - visti gli straordinari responsi avuti anche dagli altri esponenti della scena - non esitò a metterlo continuamente sotto la luce dei riflettori. E' ormai piuttosto assodato che quest'impennata di audience e di successo commericale fu stimolata proprio dai Prodigy, e in particolare da quel capolavoro di cui si era incominciato a parlare qualche riga più su: The Fat of the Land uscì il 1 Luglio 1997 e in brevissimo tempo spopolò in tutto il mondo, diventando l'album più venduto e osannato del progetto britannico e dando al big beat le sue sembianze definitive e maggiormente evolute, riassemblando, pulendo e modernizzando il sound dei precedenti dischi.

La goliardia rave di Experience è soltanto un ricordo e anche le invenzioni di Music for the Jilted Generation sono superate e migliorate, sebbene prese ancora come necessario punto di partenza. The Fat of the Land è potenza allo stato puro, è il suono sintetico che si insinua violentemente nei tessuti corporei e lì 'dirige' in una danza sfrenata e compulsiva. The Fat of the Land è cocaina in musica, è il cazzotto in bocca che ti fa sputare sangue. The Fat of the Land è l'ipnosi metropolitana che risale dai bassifondi ed esplode in tutta la sua folgorante forza. I giovani, pazzi, ballano sfrenati. Quello di The Fat of the Land è un fuoco - della ribellione, della rabbia giovanile, del disprezzo verso la quotidianeità - che per l'appunto fa da filo conduttore (anche tematico) per tutto l'album, in special modo in quegli episodi che lo richiamano sin dal titolo, ovvero la celeberrima Firestarter (tra i migliori brani mai composti da Howlett) e la conclusiva Fuel My Fire (dotata di uno slancio melodico semplicemente sensazionale). Ma, come già detto, è tutto The Fat of the Land a risentire di quest'interminabile forza, sprigionata attraverso trascinanti patterns ritmici - tra i più riconoscibili e personali nella storia dell'elettronica - e un'atmosfera dannatamente energica, a volte addirittura tetra e inquietante. E' seguendo queste linee guida che infatti si mostrano quelli che sono i due irraggiungibili capolavori del disco: dapprima Smack My Bitch Up col suo incedere rabbioso (intervallato dall'indimenticabile ipnosi vocale di Shahin Bada), poi Breathe e il suo sapore splendidamente sotterraneo in cui, per la prima volta nel corso dell'album, le chitarre vengono messe in primo piano, arricchendo sensibilmente lo spettro espressivo e l'impatto del sound. Così The Fat of the Land prosegue nel suo travolgente mix di voci straziate (quelle di Maxim Reality e Keith Flint), sample improvvisi (ma mai geniali come quelli di Experience), effetti taglienti, ritmi dall'impressionante groove (Serial Thrilla) e linee melodiche ora più oscure e alienanti (Funky Shit, Narayan e il rap ipnotico di Diesel Power) ora quasi ariose (il retrogusto simil-sinfonico di Climbatize), costruendo passo dopo passo un indistruttibile totem dance-punk attraverso cui ballare, sudare, sfrenarsi al ritmo di una danza sotterranea che, seppur nella sua spesso fredda essenza, risulta essere quasi lisergica.

The Fat of the Land è stata una delle più folgoranti esperienze elettroniche degli anni '90 e anche adesso la sua bellezza - oltre che la sua seminale importanza per tutto l'ambito big beat, electroclash e dance - si può percepire ancora fresca, come se appena creata. Questo è l'effetto dei veri dischi senza tempo, di quei lavori che in un modo o nell'altro segnano indelibilmente un'epoca e finiscono altrettanto intensamente per simboleggiarla nella maniera più emblematica. Ultimo tempio sonoro della grande sottocultura rave e irripetuto capolavoro sintetico, The Fat of the Land è uno di quei dischi. Insensato affermare il contrario.


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