Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Etichetta: 
Axiom
Anno: 
1992
Line-Up: 

- Bootsy Collins - space bass, vocals
- Buckethead - guitar, toys
- Brain - drums
- Bernie Worrell - synthesizer, clavinet & vital organ
- AF Next Man Flip (Lord of the Paradox) - turntable, mixer

Tracklist: 


1. Blast/War Machine Dub
2. Interface/Stimulation Loop
3. Crash Victim/Black Science Simulator
4. Animal Behavior
5. Dead Men Walking
6. Seven Laws of Woo
7. The Interworld and the Innocence
8. Giant Robot/Machines in the Modern City/Godzilla
9. After Shock (Chaos Never End)

Praxis

Transmutation (Mutatis Mutandis)

"Chaos is not entropy... chaos is continual creation."

Nel super-gruppo Praxis, ambizioso progetto ideato e costruito dal produttore Bill Laswell (già noto per i numerosi progetti da lui avviati e per le sue sperimentazioni), si riuniscono il misterioso quanto eccezionale chitarrista Buckethead, il batterista Brain dei Limbomaniacs, Bootsy Collins al basso e Bernie Worrell alle tastiere, entrambi provenienti dai P Funk All-Stars di George Clinton, e il missatore Afrika Baby Bam dei Jungle Brothers sotto lo pseudonimo di Af Next Man Flip.
Questa formazione esplode di creatività, eclettismo e anche spavalderia con l'album di debutto Transmutation (Mutation Mutandis). Si tratta di un collage frenetico e giocoso di più stili, come funk, jazz rock, metal e hip hop, tenuto insieme da un'attitudine da jam mascherata con un certosino e pulito collegare fra loro refrain, stacchi, motivi e assoli come in un brano regolare - ad eccezione di quando improvvisamente cambia il tema musicale seguendo un gusto per l'improvvisazione cristallino, soluzione che apparentemente rende i brani disomogenei e privi di organicità ma che in realtà rivela la natura poliedrica, appariscente e priva di redini del gruppo.
Il tutto è contemporaneamente un divertissement spensierato ma eclettico, come un gioco sostenuto però con guizzi estrosi e sapienti, ed una messa in mostra ai limiti dell'esibizionismo di doti compositive minata forse da un'eccessiva auto-indulgenza.
I pezzi sono quasi tutti strumentali, a volte sfiorando la suite, altre sembrando quasi in realtà più canzoni senza la parte vocale, il che tende ad un certo punto a far sembrare alcuni particolari passaggi come se ad essi mancasse qualcosa; ma un successivo cambio di sonorità spesso rimedia a ciò lasciando spiazzati ed un po' incuriositi.
La ventata d'originalità del disco inoltre non fa altro che ridefinire il concetto di crossover, portandolo ad una delle sue forme più avanguardistiche e sperimentali.

Il primo brano è Blast/War Machine Dub, folle strumentale dalle venature progressive fra struttura e arrangiamento che incrocia virtuosismi di chitarra, dissonanze industriali, tecnicismi fusion e aperture quasi thrash/death metal seguite da una distensione elettronica ed in parte rumoristica, con occasionalmente spunti funky. Ma anche in questa parte più "calma" si avverte un'atmosfera tesa e pronta ad esplodere di sottofondo.
La successiva breve Interface/Stimulation Loop è meno "schizzata" e più marcatamente funk rock, se si eccettuano assoli virtuosi che sbucano all'improvviso fra i bassi incalzanti e l'hammond che riprende il blues rock degli anni '60 in una versione più spensierata, briosa e sciolta.
Crash Victim/Black Science Simulator inizia anch'essa come un funk rock più consueto ed ordinario, ma occasionalmente esplodono climax di tecnicismo prog che in conclusione cedono il passo ad un hip hop campionato ed in lo-fi.
La lunga Animal Behavior parte da questo trampolino di lancio mostrandosi come un hip hop suadente ed esotico, in cui le tenui percussioni tribali e l'hammond fanno da sfondo per la scherzosa voce (unico pezzo in cui compare) e accompagnano la decisa sezione ritmica fino a più o meno metà traccia, in cui tutto si tramuta senza preavviso in una melodica e commovente ballad di chitarra.
Dead Men Walking continua a mostrare un gruppo che si diverte ad alternare, sovrapporre, smontare e rimontare schitarrate metal virtuose, bassi funk e dub, samples di varia natura, scratching e tappeti d'hammond di sottofondo; ma il tutto inizia a sembrare un po' monotonamente prevedibile, nonostante questa sorta di funk sperimentale suoni comunque accattivante e divertente.
Con la successiva Seven Laws of Woo (riff hard & heavy su base funk/jazz) si ha un pezzo in sè trascinante, grintoso e carismatico, trascinato dal piglio bruciante di Buckethead, ma senza troppe sorprese stilistiche. Fortunatamente, contro quest'ultimo punto di vista, The Interworld and the Innocence è una parentesi atmosferica impreziosita da sfaccettature psichedeliche ed un corposo crescendo finale fra rock, elettronica e fusion.
Viene ora Giant Robot/Machines in the Modern City/Godzilla, libero gioco citazionistico (il tema iniziale è quello di Giant Robot) a cui si aggiungono aperture fusion coadiuvate da spruzzi di elettronica nevrotica, i consueti spunti funky e da droni rumoristici posti nel finale irrequieto.
Infine a conclusione del disco c'è la lunga suite After Shock (Chaos Never End), inizialmente una summa stilistica dell'album in cui confluiscono le maggiori influenze jazz/fusion e prog del disco, oltre che il punto di maggior contrasto fra lo spirito da jam session e l'incastro di motivi sonori, che comunque viene meno ad un certo punto quando tutta la scena viene occupata dall'hammond che si impegna in un revival dilatato, schizoide e giocoso (ma accompagnato da rumori e chitarre cacofoniche) degli Emerson, Lake & Palmer.

Sotto l'egida di Bill Laswell viene realizzato così un disco particolare e caratterizzato, una sorta di bruciante crossover d'avanguardia che gioca a combinare fra loro stili differenti seguendo una certa logica che viene poi messa al servizio dell'improvvisazione con cui assemblare una jam session esuberante e quasi continua, al punto che non suonerebbe innaturale un unico mega-brano costituito dalle esecuzioni legate fra loro in maniera ininterrotta.

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