Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
Sleeping Star
Anno: 
2009
Line-Up: 

- Attilio Bruzzone - Chitarra, Tastiera, Programming, Basso, Voce
- Ettore Di Roberto - Piano, Tastiera, Programming
- Emiliano Pozzolini - Campionatore
- Sieva Diamantakos - Visuals, Video

Tracklist: 

1. Hva (Failed Revolutions)
2. Nights In Kiev
3. Anna Ustinova
4. Exhausted Muse/Europe
5. I Used To Be Sad
6. Susy: Blue East Fading
7. The Photoshopped Prince
8. Balding Generation (Losing Hair As We Lose Hope)
9. Hermitage pt. 1
10. Hermitage pt. 2
11. Hermitage pt. 3

port-royal

Dying in Time

Nell'attuale scenario musicale alternativo succede spesso di essere costretti a scavare nei paesi più remoti e insoliti del mondo pur di trovare buoni prodotti e proposte musicali soddisfacenti. Ma altrettante volte finisce invece che il gioiello te lo ritrovi in casa, dietro l'angolo: il mercato italiano è alla deriva, si sa, ma i suoi piccoli talenti è ancora in grado di sfornarli e i port-royal ne sono una più che piacevole (oltre che nota) conferma. Con ormai sette anni di carriera alle spalle, l'act genovese si è imposto in breve tempo non solo in Italia ma su tutto il fronte alternativo internazionale (i due precedenti full lenght sono stati prodotti dalla britannica Resonant), rimasto ammaliato dalle peculiari invenzioni di un gruppo che, sin dall'Ep d'esordio (Kraken) del 2002, si è sempre dimostrato in condizioni ottimali.

Abili e innovatori nell'aver saputo creare un punto di contatto tra sperimentazione elettronica e geometrie post-rock in maniera addirittura migliore rispetto alle ultime uscite di band dello stesso scenario ma di tutt'altra caratura commerciale (65daysofstatic, The Album Leaf e This Will Destroy You, tanto per fare qualche nome), i port-royal sono giustamente da considerarsi come uno dei più pregiati fiori all'occhiello della musica alternativa italiana. Riaggiornando le più moderne lezioni post-rock a suon di synth cosmici, ritmiche elettroniche e di un mood sognante (che a tratti ricorda la poesia dei Sigur Rós) dall'inequivocabile spessore atmosferico, il complesso ligure ha compiuto con gli anni un'evoluzione silenziosa e graduale ma sempre più all'insegna di una maturità che con Dying In Time sembra essere definitivamente giunta.

Nell'ultima release dei port-royal a cambiare non è tanto il contenuto quanto il modo con cui il materiale ci viene presentato: ben più lontano dal post-rock ancora troppo derivativo dell'esordio Flares di quanto non lo fosse il precedente e acclamatissimo Afraid To Dance, Dying In Time si esprime splendidamente in una dimensione ancora più intima, eterea e atmosferica che, una volta per tutte, sottolinea le capacità del combo genovese, ispirato in egual modo tanto nella ricerca melodica - ancora una volta guidata da un piglio fortemente malinconico - quanto negli arrangiamenti. A pagare questa trasformazione sempre più proiettata verso l'elettronica è innanzitutto la chitarra, strumento già apparentemente "marginale" nei precedenti dischi e che qui subisce il definitivo esilio dalle gerarchie compositive del gruppo: a riempire tale vuoto vi è però un registro elettronico in grado di spaziare liberamente tra dilatazioni kosmische (i synth di Susy: Blue East Fading), intime riflessioni ambientali (la prima parte di I Used To Be Sad) e trascinanti evoluzioni all'insegna di una techno sinuosa e sognante (il gioiello Anna Ustinova, nel suo contrasto di ritmi martellanti e mood malinconico, ne è l'esempio più toccante).

Sebbene anche loro "vittime" predestinate degli indelebili paradigmi elettronici dei Kraftwerk e di certa techno europea di quest'ultimo periodo (il riferimento al progetto svedese The Field è più calzante che mai), i port-royal di Dying In Time si dimostrano estremamente maturi nel saper comporre buone trame melodiche e fascinosi paesaggi emozionali senza necessariamente scadere nel plagio e, soprattutto, senza mostrare eccessivi cali d'ispirazione: tutti i brani del disco, dall'opener Hva (Failed Revolutions) fino a Balding Generation (Losing Hair As We Lose Hope) e Nights In Kiev (episodi di più dichiarata impronta dance), si crogiolano nei malinconici sapori di una danza sintetica completamente immersa - tralasciando le uniche e isolate eco post-rock della splendida Exhausted Muse/Europe - in un'avvolgente atmosfera di suoni iper-dilatati e immagini tristemente sbiadite. Sempre più raffinata nelle sue costruzioni ambient-techno, sempre più toccante nelle sue catarsi melodiche (il trittico finale Hermitage pt. 1-2-3 è purissima magia emotiva), la spirale onirica di Dying In Time finisce per travolgere dall'inizio alla fine senza soluzioni di continuità, dimostrando inoltre un afflato poetico che, sotto i colpi dei synth e delle ballabili ritmiche campionate, nasconde un'intensità emotiva fuori dal comune.

Dying In Time doveva essere il disco della maturità e lo è stato, doveva essere il passo in avanti del rinnovamento stilistico e lo è stato; doveva rappresentare un ulteriore miglioramento creativo ed espressivo dei precedenti album e ha mantenuto le promesse con pochissime, quasi invisibili sbavature: chiedere di più ai port-royal (ormai alle calcagna dei più blasonati colleghi americani ed europei) non si poteva.
 

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