Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Azra Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Jon Bennett - Voce, Chitarra
- Andy Bennett - Batteria
- Ross Voce - Chitarra
- David Fellows - Basso, Tromba
- Jess Greengrass - Voce

Tracklist: 

1. You Were a Boxer
2. We Are Imperfect
3. Blizzard Love
4. Ghost Stay Dead
5. Tinsel and Lights
6. New Histories
7. Deer Tracks
8. Coal Black Hearts
9. Cactus Bones
10. If There's No Such Thing As Love
11. Dreamt of Unicorns
12. In the Dark of the Loneliest Part of a Borken City

Pacific Ocean Fire

Hibernation Songs

Riemersi da un mondo in cui l'ardore tradizionale del folk, i colori più intimi del cantautorato e il rock nella sua forma più sincera si incontrano e si sorridono l'un l'altro, i Pacific Ocean Fire sono il fiore all'occhiello della versione contemporanea di quella scena patriotticamente definita "Americana", ovvero la musica delle radici, la musica della tradizione e di un passato che continua senza sosta a rivivere in un presente mai come ora nostalgico delle sue remote sembianze.
Nonostante le loro origini britanniche (di Leicester, per la precisione), i Pacific Ocean Fire hanno stabilito il loro repertorio proprio nella roots music a stelle e strisce, combinando in maniera moderna le suggestioni campestri e naturalistiche del country/folk col sound elettrico del rock e dell'r&b. Dimensione elettrica che peraltro prevale nelle scelte compositive del progetto, sovrastando in molti casi le discese acustiche originarie e rendendo di conseguenza la propria musica ancora più lucida e pulita.

Hibernation Songs è il quinto album nella discografia del complesso inglese e segue di tre anni il successo del piacevole Strangers and Deranged Patients e di quattro il toccante lo-fi di From The Station To The Church We Are Under The Same Stars, per metà registrato di notte in una stanza abbandonata sopra la stazione dei treni di Leicester. L'ultimo lavoro dei Pacific Ocean Fire si distacca lievemente dai due precedenti, non sprecando comunque le sue atmosfere più dolci e intime e proiettando l'intero assetto dell'album verso un sound sicuramente più moderno, curato ma come sempre attento nel saper coinvolgere ed emozionare mediante il suo indelebile immaginario folklorico in bianco e nero.

Di questa impostazione modernista a farne le spese sono i momenti dichiaratamente folk e country che nell'ultima fatica del complesso britannico vengono spesso oscurati dalle più 'effettate' scrorribande elettriche (la freschezza indie di We Are Imperfect, le più soavi cornici strumentali della sognante Tinsel and Lights, il travolgente finale di Deer Tracks, la straniante atmosfera di Cactus Bones, il fascino distorto del gioiellino Dreamt of Unicorns); ma non per questo il cuore più naturalistico del gruppo - quello maggiormente legato alla sincerità cantautorale dell'America sessantiana - viene a mancare, riproponendosi sotto nuove spoglie attraverso le lente litanie dylaniane di Ghosts Stay Dead e Coal Black Hearts, i colori agresti di Blizzard Love e il mood nostalgico di In the Dark of the Loneliest Part of a Broken City, lamento folk che chiude malinconicamente le danze del disco, a sua volta aperto da uno dei suoi episodi più sommessi, quella You Were a Boxer toccante nel suo incedere lento e dilatato.
Ed è questo perfetto accostarsi di reminiscenze cantautorali e più scanzonate impennate elettriche a rendere la fortuna di Hibernation Songs, ovvero di un disco fortunatamente senza troppe pretese (la nostalgia della roots music spinge i POF a un tributo/citazione piuttosto che a una sua rielaborazione inutilmente 'rivoluzionaria'), di un lavoro sincero e in grado di richiamare profondamente le radici folk/cantautorali americane in un linguaggio maturo ed emozionante, sia che si tratti di aperture ariose e disimpegnate, sia che si tratti di più profonde malinconie interiori, costantemente espresse mediante uno stile diretto ma sempre in grado di rielaborarne positivamente il passato che tanto ama e a cui tanto si ispira.

Hibernations Songs è per questo un disco che - pur senza strafare e senza presentare nulla di grandioso - può piacere tanto al giovane moderno quanto al nostalgico ascoltatore sessantenne di campagna, ed è per tale motivo che l'arte 'tradizionalista' dei Pacific Ocean Fire, seguendo lo striminzito ma significativo successo dei due precedenti album (apprezzatissimi in patria ma snobbati fuori), continua a portare i frutti sperati e continua a scalfire i nomi di questi giovanotti britannici nella pietra e nel legno più vero e profondo. Piacevole.

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