Voto: 
9.1 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Napalm Records/Audioglobe
Anno: 
1998
Line-Up: 

Samuel Norberg : Mouth harp

Daniel Fredriksson : Basso, chitarra acustica

Mattias Marklund : Chitarre

Vintersorg : Voce, Chitarre, chitarra acustica

Cia Hedmark : Violino, voce

Stefan Strömberg : Batteria

Guest musicians:

Linda Björkman - Flauto

Marianne Folkedotter – Flauto su Fjälldrottningens Slott


Tracklist: 

1. Huldran

2. I Trollberg Och Skog

3. Älvadimmans Omdaning

4. Ulvskrede

5. Fjällstorm

6. I Höstlig Dräkt

7. Myrdingar - Martyrium

8. Allfader Vise

9. Fjälldrottningens Slott

10. Trollpiskat Ödemarksblod

11. Draugen

12. Skymningsdans

Otyg

Älvefärd

Otyg: un semplice nome, nel tempo divenuto per i cultori quasi un sinonimo di un genere: il folk metal nordico. Perché ciò? Perché questo gruppo ha composto due dischi di grande valore, due piccoli gioielli che rappresentano il loro amore per la loro madrepatria e le sue tradizioni, come fu nel 1995 il grandissimo Nordavind dei norvegesi Storm.
Due dischi di purissimo Folk Metal, in cui nessuna delle due componenti prevalica l’altra, riuscendo a combinare questi due generi senza scadere nel pacchiano o nel noioso.

I loro brani sono un concentrato di atmosfere perdute, sono poesie immerse nella natura e nel passato, racconti e leggende che si nascondono dietro gli alberi e nei ruscelli. Vi sono però alcuni ostacoli che rendono l’assorbimento dei loro lavori un po’ difficoltoso per gli ascoltatori non avvezzi a queste sonorità. Prima di andarle a vedere, tracciamo una breve storia del gruppo.

La band fu formata in Svezia, nel 1995, dal cantante e leader Vintersorg (futuro mastermind del progetto omonimo e singer dei Borknagar), Mattias Marklund (chitarra) e Stefan Stromberg (batteria), che avevano precedentemente suonato insieme nei BlackBurning Evening (Technical Death Metal) e nei Vargatron (Black/Viking).
L’idea base su cui è centrata l’intera produzione del gruppo è chiara ai suoi fondatori fin dagli inizi: mescolare la musica folkloristica della loro terra con i suoni duri del Metal.
Assoldato il bassista Daniel Fredriksson fra le proprie fila, questi mette in contatto gli Otyg con la violinista Cia Hedmark: anche lei si dichiara affascinata dal progetto, e la line-up di base è così completata. Al gruppo si unirà poco prima delle registrazioni dei demos anche Samuel Norberg, che oltre a scrivere parte delle lyrics si occupa dei suoni del Munnharpe, uno strumento scandinavo in qualche modo imparentato con lo scacciapensieri diffuso nel Sud della nostra penisola.

Vintersorg guida quindi la band attraverso le registrazioni di tre demos : il grezzo Bergtagen, 1995, il più evoluto I Troldskogens Drömmande Mörker, 1996, e l’ultimo Galdersång till Bergfadern, che procurò al gruppo un contratto con la Napalm Records. Nell’ inverno del 97, dunque, gli Otyg entrano nei Ballerina Studios per incidere il loro debut album, “Älvefärd” – Il Viaggio delle Fate.
Le dodici, brevi, canzoni che compongono il disco sono per la maggior parte riprese dai loro demo, ma prodotte decisamente meglio e più rifinite nei particolari. La struttura di ogni brano è simile, in quanto formata da un riff di chitarra - le cui melodie richiamano ovviamente la musica folk-, su cui il violino di Cia duetta con la peculiare voce di Vintersorg.
E l’ostacolo maggiore all’immediata fruibilità del disco è proprio la voce del singer: la voce è potente, calda, profonda, ma potreste non apprezzarla, trovandola quasi caricaturale per i suoi toni originali. Difficile da descrivere ma immediata da riconoscere, l’unico modo per capire di cosa sto parlando è ascoltare l’interpretazione che questo ragazzo da ai suoi testi.
Inoltre l’intero disco è concepito per essere un omaggio alla propria terra e pertanto è cantato nella loro lingua madre: lo svedese. Ciò potrebbe essere d’intralcio alla comprensione del disco, tuttavia musicalmente il risultato è comunque apprezzabile in quanto tutti i testi sono scritti in rima e quindi non impossibili da seguire.
Ad ogni modo, il disco è suonato e prodotto con cognizione di causa: buone le parti prettamente strumentali (il livello tecnico sarà leggermente innalzato dal disco successivo), adatti i suoni, che mettono in luce tutti gli strumenti, anche se l’attenzione è focalizzato su voce e violino.
Anche la parte visiva è molto curata: la copertina è un dipinto dell’artista norvegese Theodore Kittelsen, i cui lavori sono stati spesso utilizzati da band scandinave nei loro artworks (Burzum, Wongraven ecc...) e il booklet si divide fra foto naturalistiche con i ragazzi della band e altre opere di Kittelsen.

Il disco parte subito splendidamente con la magnifica Huldran: il brano racconta per l’appunto di una Huldra, ovvero una mitologica creatura femminile di sembianze umane e grande bellezza, ma dotata di una coda di animale.
Per l’occasione assistiamo ad un emozionante duetto fra Vintersorg e Cia: infatti la brava violinista è anche una buona cantante, in possesso di una voce dolce ed eterea, che fa da contrasto a quella forte e pomposa del buon Vintersorg. Sapientemente gli Otyg non utilizzano eccessivamente le doti canore della ragazza: I suoi interventi risultano così preziosi e non invadenti, e non ammorbidiscono eccessivamente il sound del disco.

La sognante introduzione di violino e chitarra acustica ci porta a I Trollberg och Skog, un vecchio brano in cui il titolo viene ripetuto spesso come intervallo fra un verso e l’altro, tracciando una linea melodica che sarà utilizzata più volte nel corso della loro storia dagli Otyg (Mossfrun Kölnar, Allfader Vise).
Älvadimmans Omdaning, è nuovamente avvantaggiata da una bella opening di violino e munnharpe, la cui melodia viene però seguita anche nelle strofe. Il violino non smette mai d’accompagnarci, fino a giungere a un bel solo centrale.
La quarta traccia è anche una delle migliori: nella splendida Ulvskrede, Vintersorg canta i suoi versi senza un attimo di pausa, quasi discorrendo con l’ascoltatore, fino a un evocativo refrain in cui un bel coro sostiene la voce del cantante.
Fjällstorm (la tempesta della montagna) inizia fra soffi di vento e rintocchi acustici, salvo poi continuare con veloci strofe e un chorus accattivante. Come epilogo, nuovamente vento e chitarra acustica, su cui il violino dipinge poche malinconiche note prima dell’inizio della seguente, I Höstlig Dräkt.

Proprio durante il ritornello di I Höstlig Dräkt torna a farsi sentire la voce di Cia, che inoltre conclude con dei bei vocalizzi il brano. Lo stile dei brani non viene modificato, e al successiva Myrdingar non fa eccezione.
Forse il pezzo che meno colpisce all’ascolto, ma costituisce comunque un buon antipasto prima del finale; un brano piacevole nel suo breve solo di flauto a metà canzone.
L’ottava traccia, Allfader Vise, è un pezzo in linea con gli altri del lotto, e senza discostarsi particolarmente dal livello medio del disco offre comunque buoni spunti.
Altro highlight però con la successiva Fjälldrottningens Slott –il palazzo della regina della montagna-, aperta dall’acuto suono del flauto di Marianne Folkedotter, e da una batteria molto vivace: il pezzo è molto vario, e raggiunge il suo apice quando la sussurrata voce femminile interviene a verso il finale spezzando un solo di violino, che ricomincerà di lì a poco, coadiuvato da un altro bel intervento del flauto.
Ancora un Vintersorg ispiratissimo nella breve Trollpiskat Ödemarksblod, a cui un bellissimo e triste assolo del violino ruba la scena a metà brano. Vintersorg torna re incontrastato nel ritornello in cui tutti gli strumenti lo seguono a ruota.
Draugen inizia con chitarre acustica e batteria salvo poi diventare un mid-tempo piacevole, che aumenta i propri battiti con il ritornello. L’arpa a bocca è sempre presente e fa da buon tappeto sonoro durante le intromissioni virtuose del violino.
Skymningsdans, brano di chiusura nonché mio brano preferito dell’intera produzione dei ragazzi di Skellefteå, gioca attorno alle lente note del violino, in una danza crepuscolare in cui l’elemento nostalgico/malinconico, già presente nelle precedenti tracce, raggiunge il suo naturale climax. Niente chitarre elettriche durante le strofe: queste compaiono solo nel refrain, di un impatto emotivo notevole, in cui i cori e le chitarre stesse fanno da sfondo ai malinconici vocalizzi di Vintersorg.

E così si conclude questa passeggiata fra i ricordi, una piacevole escursione in un mondo di fate e folletti, un’immersione nella natura, una sincera dichiarazione di amore per la Svezia e le sue leggende.

This album is dedicated to the Scandinavian Folk-Music, tales, art & traditions (Otyg).

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