Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Marco Lorenzi
Genere: 
Etichetta: 
B-Unique/Polydor
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Samuel Preston – voce, chitarra
- William J. Brown – chitarra, voce
- Simon Goldring – batteria
- James Gregory – basso


Tracklist: 

1. Introducing the Brand (0:37)
2. Lonely at the Top (03:10)
3. Great Big Rip Off (03:00)
4. Club Chez Moi (03:05)
5. I Luv U (03:14)
6. Nine2Five (03:02)
7. Commercial Breakdown (01:18)
8. Ballad of an Unrequited Self-Love Affair (03:57)
9. The Higher the Highs (02:57)
10. Shut Your Mouth (03:12)
11. We've Got the Best Job Ever (03:23)
12. Walking on the Faultlines (The Ultimate Step) (03:24)
13. Thank You and Goodnight (05:52)
14. Who's That Boy? (02:41)
15. Boys Will Be Boys" (Bonus Track) (02:42)

Ordinary Boys, The

How to Get Everything You Ever Wanted in Ten Easy Steps

Avete presente quelle band che, nel disperato tentativo di affermarsi, imitano alla meno peggio formazioni che sulla cresta dell’onda ci sono sul serio? L'empio è a portata di mano. Puntualizziamo: a noi queste spudoratezze non piacciono manco un pò. I The Ordinary Boys sembrano incanalarsi proprio verso questo binario, con un disco uscito tra tappeti rossi stesi prematuramente al loro cospetto. How to Get Everything You Ever Wanted in Ten Easy Steps è il titolo; chilometrico come le sue tracce. Sono ben 14, più una bonus track; è davvero troppo, per un disco che si propone nel mercato Indie Rock con le prerogative di voler mischiare dell’altro in un’unica soluzione.
Questa band inglese non inventa nulla, anzi; il loro scimmiottare sonorità Indie macchiate di elettronica (The Killers?) incute un senso di fastidio a dispetto della presentazione in pompa magna di un disco additato come “rivoluzionario”. Qualche buono spunto qua e là c’è, ma per il resto è un calderone di ritornelli riciclati, triti e ritriti in mille salse, innesti elettronici non sempre accattivanti e… un senso di noia che soltanto la musica impersonale e priva di fantasia come questa sa regalare all’orecchio dell’ascoltatore più esigente.

Prendete il singolo di lancio, ad esempio. Lonely The Top ce la mette tutta, per porsi dinanzi a noi con l’aria della canzoncina trascinante ed aggressiva. Ci sembra, invece, il sottofondo ideale per l’happy hour domenicale. Non resistiamo alla tentazione di passare alla traccia successiva: Great Big Rip Off è leggermente migliore. Non di molto, sia chiaro. Ci sono le solite peripezie elettroniche che conferiscono al pezzo un’aria famigliare, quasi da cartone animato mattutino. Atmosfera che si mantiene per tutta la traccia, finendo per contagiare anche la successiva Club Chez Moi. E’ effimera e illusoria la speranza di sentire davvero qualche cosa di intelligente in queste prime battute di How to Get Everything You Ever Wanted in Ten Easy Steps.
I Luv U sembra cambiare rotta. La traccia è piacevole, con un motivetto orecchiabile e di facile impatto (anche se puzza terribilmente di già sentito). La traccia si insedia nella dimensione di una ballata semi acustica in cui la sezione ritmica appena accennata è incalzata dal basso.

Fuoco di paglia o inizio di un “nuovo” corso? Buona la prima, ahinoi. Il resto è un crogiolo di presunzione e di tentativi non riusciti. Ci provano, i The Ordinary Boys, ma non è sufficiente la buona volontà a mettere in piedi un disco valido nella sostanza. Salviamo giusto Ballad of an Unrequited Self-Love Affair, nella sua scanzonata dimensione easy Pop, ma non riusciamo davvero a salvare la faccia a questi quattro ragazzi d’oltre Manica. Menzione finale anche per Thank You and Goodnight, una sorta di saluto acustico che sembra confezionato meglio di quant’altro presenta questo terzo full-lenght dei The Ordinary Boys.

Il loro è un tentativo, riuscito davvero male, di innovare la scena musicale attuale. How to Get Everything You Ever Wanted in Ten Easy Steps è un disco troppo lungo (vi sfidiamo davvero ad ascoltarlo per intero, tutto d’un fiato), con canzoni che si somigliano terribilmente e in cui sono davvero merce rara i loop capaci di farvi ricredere sulla loro evanescenza.C’è poca fantasia, motivo per cui questi The Ordinary Boys non innovano un bel niente; lasciate perdere le chiacchiere, quindi. L’ultimo nostro pensiero è attraversato da una punta di ironia. Questi ragazzi hanno azzeccato il nome della band, per lo meno. Ragazzi ordinari, si, per musica altrettanto ordinaria. Non ci siamo proprio, insomma.

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