Voto: 
9.2 / 10
Autore: 
Edoardo Baldini
Etichetta: 
Music For Nations
Anno: 
2002
Line-Up: 

- Mikael Åkerfeldt - chitarra, voce
- Peter Lindgren - chitarra
- Martin Lopez - batteria
- Martin Mendez - basso

Guests:
- Steven Wilson - cori, chitarra, mellotron
 

Tracklist: 

1. Wreath (11:10)
2. Deliverance (13:36)
3. A Fair Judgement (10:24)
4. For Absent Friends (Strumentale) (02:17)
5. Master's Apprentices (10:32)
6. By The Pain I See In Others (13:51)

Opeth

Deliverance

Le copertine degli Opeth riescono sempre ad esprimere attraverso le loro atmosfere decadenti ed il loro squallido e gelido fascino tutte le emozioni che l’ascoltatore andrà provando durante il confronto con ogni singolo platter: il lavoro di Travis Smith come disegnatore di artworks è infallibile anche per Deliverance, sesto album di studio di Åkerfeldt e compagni, nonché opera più violenta ed aggressiva mai concepita dal quartetto svedese.
Dopo l’uscita del meraviglioso Blackwater Park, in un solo anno, gli Opeth riuscirono a confezionare un elevato numero di pezzi, dalle caratteristiche stilistiche alquanto differenti, ma dal mood oscuro e dagli aloni sommessi tipici della formazione: Åkerfeldt decise quindi di separare l’intero materiale disponibile, indirizzando la parte più violenta verso una prima pubblicazione (Deliverance appunto) e quella più distesa ed acustica verso il successivo Damnation.
Numerosi furono i problemi di registrazione ma l’abilità del produttore Andy Sneap permise di superare i primi ostacoli e consentì un ottimo risultato per le sei complesse canzoni che strutturano il full-lenght.

Il velocissimo avvio con Wreath tramortisce l’ascoltatore con le insostenibili ritmiche di batteria e la parvenza maestosa sulle quali emerge il growl di Åkerfeldt: la cavalcata condotta in primis da Martin Lopez alle pelli non si arresta per oltre dieci minuti di riff intricati, passaggi estremi, impetuose scelte stilistiche e geniali combinazioni e garantisce fin da subito con il pubblico un contatto diretto che si conserverà tale per tutta la lunghezza del disco.
Ancora maggiormente elaborata rispetto a Wreath appare la title-track, Deliverance, uno degli episodi migliori scritti dagli Opeth nella loro carriera, capace di far mantenere viva l’attenzione nelle sue alternanze tra devastanti ritmi dispari all’insegna del growl e delle chitarre distorte e le oniriche e spalmate sezioni acustiche, dominate dal clean e da un accompagnamento di batteria alquanto Jazz-oriented.
Gli Opeth sanno essere innovativi in ciascuna composizione, presentando una freschezza di song-writing e un’elevata classe nell’interpretare le complesse parti strumentali che ammaliano gli spettatori, facendo risultare Deliverance il degno successore di Blackwater Park già dopo le prime due tracce; continuando l’esplorazione dell’album, si giunge a A Fair Judgement, pervasa dal mesto clean vocal di Mikael, da pattenrs di batteria e da riff di chitarra di notevole effetto, nonché da un lungo assolo straziante e coinvolgente al tempo stesso. Il combo svedese pone grande attenzione ai particolari di una musica così ricercata e ne consegue il raggiungimento di una qualità di esecuzione altissima, grazie alla quale i pezzi scorrono rapidamente, senza incontrare difficoltà nel loro incedere.

For Absent Friends segna la metà di Deliverance con i suoi motivi di acustica, dolci e suadenti: questo intervallo strumentale ha solo la funzione di calmare momentaneamente l’atmosfera di Deliverance prima dell’improvviso scoppio con la colossale Master’s Apprentices, distruttiva nella sua direzione e provvista al suo interno di radicali cambiamenti di sound, che valorizzano le eccezionali abilità degli Opeth nel costruire architetture timbriche differenti, riconducendole verso una straordinaria omogeneità. Il finale dell’album è riservato a By The Pain I See In Others, la più originale dell’opera, per l’inserimento di una voce estremamente filtrata anche nelle sezioni acustiche e di un passaggio più sospeso in cui intervengono le tastiere.
Si conclude così, in modo tagliente, il sesto capitolo discografico del gruppo scandinavo che dalla pubblicazione del primo Orchid ha saputo plasmare un sound personale e si è distinta come una delle realtà più promettenti del panorama odierno. L’aiuto dell’amico Steven Wilson (Porcupine Tree) in fase studio come back-vocalist, tastierista e chitarrista rappresenta un ulteriore marchio di sicurezza della classe del prodotto: Deliverance non deluderà nessuno degli appassionati della sfera compositiva degli Opeth, proprio perché spontaneo seguito dell’altrettanto valido Blackwater Park.

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