Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
D.E.I.M.O.S./ Infrasonic Soun
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Omar Rodriguez-Lopez – Chitarra
- Juan Alderete – Basso
- Money Mark – Tastiera, Synth
- Adrián Terrazas-González – Sax, Clarinetto
- Marcel Rodriguez-Lopez – Batteria, Percussioni

Tracklist: 

1. Melting Chariots
2. Knee Deep in the Loving Hush of Heresy
3. Jacob van Lennepkade II
4. Fuerza de Liberacion
5. Spared from the Insult List
6. Baby Fat
7. The Apocalypse Inside of an Orange
8. Coma Pony

Omar Rodriguez Lopez Quintet

The Apocalypse Inside Of An Orange

Portoricano, riccioluto, un pò scuro di pelle, folle, genio, in poche parole: Omar Rodriguez Lopez. Di personaggi di tale portata ce ne sono pochi nel panorama musicale odierno e chi conosce le sue gesta con gli ormai famosissimi At The Drive In e The Mars Volta può confermare le doti compositive, nonchè strumentali, di questa geniale mente. Certo, i dischi delle band sopracitate hanno notevolmente contribuito ad espandere nel mondo il talento di questo musicista anarchico e ribelle ma, come se non bastassero due gruppi a loro modo estremi e che hanno scardinato le fondamenta del rock moderno, Rodriguez continua a produrre, inventare, scrivere, costruire follie e visioni surreali. Il frutto di questa nuova immersione compositiva è The Apocalypse Inside Of An Orange, ultimo tassello del suo progetto solista iniziato nel 2004 con A Manual Dexterity: Soundtrack vol 1 e che adesso Rodriguez pare stia portando avanti con grande fermento (è prevista per il 2008 anche l'edizione remixata di Calibration del 2007).
Inutile compiere digressioni sul suo passato musicale e sulle sue doti: Rodriguez è un compositore votato al raggiungimento di sonorità ricercate e sperimentali, estremamente versatile, anarchico, ribelle, e The Apocalypse Inside Of An Orange ne è l'ennesima prova. A scandire i cromatismi e le atmosfere di questo disco non ci sono più le sfuriate post hardcore degli At The Drive In, nè le vorticose progressioni in stile The Mars Volta, bensì a fare da padrone c'è uno stile ancora più libero e astratto, una commistione, spesso e volentieri disordinata, di elementi che vanno dal free jazz puro alla fusion, dall'elettronica all'ambient senza contare la solida pavimentazione prog che ne è alla base.

Melting Chariots, opener del disco, fa da apripista a questa enormità di sfumature ed effetti: i vaghi riferimenti funky si adattano qui in maniera perfetta alle rifiniture progressive, col sassofono di Adriàn Gonzalez ad amministrare questo caotico inferno strumentale, stracolmo di particolari e di elementi sperimentali.
Con Knee Deep in the Loving Hush of Heresy si va avanti ma il discorso non cambia, perchè i vorticosi intrecci strumentali jazz continuano a martellare l'ascoltatore con le loro discese disarmoniche e le loro sfuriate che, se da una parte riempiono il brano di sfumature noise, dall'altra ricordano molto le tecniche d'improvvisazione dei maestri Supersilent. Ed è proprio l'improvvisazione a giocare un ruolo fondamentale all'interno del disco; è proprio su di essa che si basa infatti un songwriting mai stabile bensì disconnesso e altalenante, cacofonico e senza una forma ben precisa, con gli strumenti sempre pronti a tessere linee melodiche complesse e fugaci. L'emblema del disco rimane comunque la lunghissima Jacob van Lennepkade II, colosso in cui si legano tecniche esecutive, sperimentazioni e improvvisazioni che però, man mano che il brano si scioglie nei suoi fantasmagorici refrain, finiscono per diventare fini a se stesse, ripetitive, quasi inutili. I giochi strumentali comandati da Rodriguez tendono infatti ad esagerate planate pindariche che se da una parte lasciano di stucco l'ascoltatore per l'immensa gamma tecnica della band, dall'altra risultano tirate fino all'inverosimile, senza pause che favoriscano meditazioni su ciò che si sta ascoltando, senza momenti in cui si possa chiaramente distinguere il suono e l'atmosfera che gli strumenti producono: insomma, una danza spettacolare e ubriacante ma allo stesso tempo leggermente sconclusionata.
In Fuerza De Liberaciòn assistiamo poi ad un altro cambio di passo, con i synth che cominciano qui a ritagliarsi uno spazio proprio, annullando in parte la confusa supremazia chitarristica e costruendo cornici sonore dal sapore vagamente etnico che man mano svaniscono col crescente ritorno in scena di chitarre soliste da guitar hero e ritmiche jazz sempre più insistenti e incalzanti, prima che tutto l'ensamble strumentale esploda in un disordinatissimo canto rumoristico, una danza improvvisata che riprende piede con Baby Fat, brano che, nella sua breve durata, riesce a sguainare un'innumerevole quantità di riff e sfumature che passano dalla fusion al noise, compiendo decise sterzate jazz e lasciando da parte le piattaforme propriamente più prog oriented che verranno invece riprese nella conclusiva Coma Pony.

Esotica e trascinante è invece Spared From The Insult List, brano scorrevole, tecnicamente superbo nonchè egregio a livello atmosferico/stilistico: la disturbante leggerezza con cui le architetture chitarristiche si legano alla possente struttura ritmica e all'effimera consistenza sonora di tastiere e fiati ricorda quasi la Mahavishnu Orchestra di The Inner Mounting Flame con i suoi toni criptici e allo stesso tempo terribilmente avvolgenti. Ma The Apocalypse Inside Of An Orange continua a scorrere senza un filo conduttore (ed è forse quello che Rodriguez davvero voleva), senza un senso ben preciso, senza un riff che rimanga nella testa, senza un passaggio che possa essere ricordato; insomma, prosegue il suo cammino alternando ad una sublime tecnica esecutiva un leggero vuoto compositivo a cui Rodriguez fa fronte mostrando al pubblico la sua follia e la sua versatilità a livello chitarristico. Le lacune del disco difficilmente si distinguono perchè la band riesce a coprirle attraverso un songwriting pomposo e quasi orchestrale che però, se aperto e analizzato da un orecchio più attento e sensibile alle sfumature, finisce per crollare sulle sue stesse basi che a volte si dimostrano lievemente fatiscenti.
La title-track The Apocalypse Inside of an Orange è infine una canzone che fa dell'ariosità strutturale il suo punto di forza, e lo fa senza mostrarci alcun riferimento sonoro, senza "aiutarci" nell'acquisizione interiore del brano; Rodriguez preferisce piuttosto schiaffare su una tela vuota le improvvise pulsioni e i perentori contrasti in maniera diretta e slegata, senza forme precise, amalgamando strumenti e colori all'interno di una struttura in cui jazz, elettronica, ambient e noise si alternano in anarchica maniera, scombussolando e sconvolgendo il nostro senso d'orientamento e lasciandoci completamente stecchiti di fronte a tale fauvismo cromatico.

Che Rodriguez sia un grande musicista nessuno lo mette in dubbio, che sia un compositore eclettico neanche, anche se magari qualche piccola bacchettata al portoricano riccioluto andrebbe data: The Apocalypse Inside Of An Orange può stancare, può annoiare con i suoi barocchismi (a volte veramente di troppo), ma la sua varietà è un qualcosa che abbaglia, che ammalia, che in qualche modo spaventa per le forme in cui si incarna, siano esse morbide ondate prog, miracolose impennate jazz/fusion o ancora caotiche ipnosi a cavallo tra noise ed esplosioni elettroniche.
Tanta tecnica, tanta sperimentazione, tanta improvvisazione, caratteristiche che a ritmi irregolari alternano assoluti esercizi di stile a momenti di puro gusto sonoro, momenti pieni e trascinanti, densi di una carica che colpisce e lascia a terra al primo colpo. Rodriguez ha fedelmente risposto al naturale richiamo musicale che al suo interno ribolliva focosamente, a temperature altissime, fin troppo elevate stando alla violenta eruzione con cui queste asimmetriche pulsioni sono esplose.
Scordatevi i tempi di The Mars Volta e At The Drive In; Rodriguez non ha più limiti oramai, il recinto è stato definitivamente aperto, non esiste più restrizione che possa controllare il suo istinto compositivo, per cui preparatevi (appello rivolto soprattutto a chi non ha ancora sentito nulla del suo progetto solista) per essere travolti da questo mare impazzito: inutile provare a nuotare tra le sue onde, ne verreste violentemente espulsi.

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