Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Genere: 
Etichetta: 
Roadrunner Records
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Chad Kroeger - voce, chitarra
- Ryan Peake - chitarra, cori
- Mike Kroeger - basso, produzione
- Daniel Adair - batteria, cori

Tracklist: 

1. Something in Your Mouth (3:38)
2. Burn It to the Ground (03:30)
3. Gotta Be Somebody (04:13)
4. I'd Come for You (04:22)
5. Next Go Round (03:45)
6. Just to Get High (04:02)
7. Never Gonna Be Alone (03:47)
8. Shakin' Hands (03:39)
9. S.E.X. (03:55)
10. If Today Was Your Last Day (04:08)
11. This Afternoon (04:34)

Nickelback

Dark Horse

Per chi sappia destreggiarsi abilmente sul periglioso crinale che separa l’idolatria dei giovinetti dall’apprezzamento della critica, il successo è a dir poco garantito: nonostante gli inevitabili rischi di precipitare a valle dello snobismo o dell’insipienza, infatti, è proprio questa insolita capacità a costruire, nel moderno panorama musicale, i più solidi ed inarrestabili successi discografici. Uno dei più recenti esempi, nonché probabilmente in assoluto il più devastante degli ultimi anni, sono i Nickelback del biondo-chiomato Chad Kroeger, i quali, reduci dal tanto inatteso quanto incontrastato trionfo di All The Right Reasons, ritentano di cavalcare l’onda anomala del rock contemporaneo con Dark Horse, quarto atto della loro campagna di conquista internazionale.

Dark Horse
, tuttavia, si presenta come un prodotto decisamente disomogeneo, non tanto nelle sonorità o nella bontà dei pezzi, quanto piuttosto nell’atmosfera che sembra avvolgerli e, per molti versi, nelle intenzioni che sembrano averli guidati: se, infatti, nel complesso prevale un più che volenteroso gusto per l’hard rock più acido e ruvido (Something In Your Mouth e S.E.X. su tutti) con qualche nitido approccio southern (Burn it to the ground, Shakin’ Hands), è nelle più consolidate (o ritrite: ai posteri l’ardua sentenza) ballad che si respira qualche maleodorante boccata di stantio o, quel che è peggio, artefatto. E’ il caso di brani quali I’d Come For You o Never Gonna Be Alone: al di là di un’indiscutibile orecchiabilità, infatti, che certamente saprà riscuotere il consenso dei palati più facilmente saziabili, è una scialba e prevedibile piattezza generale a dominare incontrastata su quelle poche idee che, sebbene tutt’altro che originali, di per sé potrebbero essere più che valide. Per quelle affezionate orecchie nelle quali ancora riecheggiano le riuscitissime note di successi (meritati o no, la discussione è aperta) quali Photograph, How you remind me o If everyone cared, tracce come le precedenti o la discreta ma soporifera If Today Was Your Last Day non possono che essere fonte inesauribile di delusione, in quanto, pur facendosi benevolmente accogliere per l’estrema immediatezza delle melodie, lasciano la pessima impressione di essere un puro esercizio di stile, frutto velenoso di un improbabile appagamento artistico o, più realisticamente, di quello sciagurato narcisismo creativo che colpisce ed imprigiona tutti coloro i quali sanno di guadagnarsi il plauso generale a prescindere dal prodotto pubblicato.

Tuttavia, Dark Horse è un lavoro estremamente coriaceo e dopo ogni più o meno grave caduta di stile trova sempre la forza di rialzarsi: dopo la decorosa malinconia di I’d Come For You, infatti, la rocciosa cavalcata di Next Go Round riaccende la miccia del più esplosivo modern rock, facendo della semplicità di una poderosa linea di batteria il proprio punto di forza, cui si aggiunge provvidenzialmente un desueto ma sempre graffiante effetto megafono alla naturale e inconfondibile abrasività vocale del frontman; allo stesso modo, dopo la scontatissima, ma al contempo sufficientemente pregevole, ballad semi-acustica Never Gonna Be Alone, i ruggenti echi folk/southern (con tanto di giri di chitarra tipicamente country) di Shakin’ Hands colpiscono dritto ai timpani anche l’ascoltatore più scettico ed immusonito, giacché con (apparentemente) banali ed energici riff riescono ad evocare atmosfere pseudo-western del tutto inattese e, pertanto, ancor più piacevoli. A seguito della più che valida Shakin’ Hands giunge il miglior momento di tutto Dark Horse: S.E.X. è, infatti, un concentrato di energia e potenza, nel quale l’incedere cadenzato imposto da Adair dietro le pelli accompagna un accenno di headbanging che perfettamente si sposa con il cantato svelto, preciso e non eccessivamente graffiato di Kroeger, senza dimenticare l’ottima interazione fra le due chitarre, mai come in questa occasione poderose ed affiatate. Tuttavia, a controprova della convivenza, alquanto tumultuosa per chi ascolta, di due diverse anime compositive, ecco la presenza di If Today Was Your Last Day alla traccia 10: un vero peccato.

Diventa evidente, allora, intuire di quale contraddizione si macchino “rimediabilmente” i Nickelback: pur esprimendo le migliori potenzialità nelle sonorità più acide e grezze (nel senso acustico del termine, non certo sinonimo d’imperizia tecnica), i 4 musicisti di Hanna si ostinano a concentrarsi sui brani più lenti e melodici, per i quali sembrano ormai aver esaurito ogni stimolo creativo. E’ proprio da questo punto di vista che non esito a definire Dark Horse un lavoro, se non in parte pilotato, quantomeno dai risvolti ambigui e qualitativamente opposti: la spontanea creatività del combo americano, che si esplica fragorosa nei pezzi più ruggenti e meno easy-listening (nonostante una sensibile musicalità pervada comunque ogni traccia), cozza vigorosamente contro esigenze commerciali che, dati i precedenti successi della band, probabilmente non rinunciano a considerare l’affermato quartetto canadese un’incalcolabile macchina da soldi. Ciò non significa, naturalmente, che quest’ultimo debba a tutti i costi rinunciare alla composizioni di brani più lenti e più dolci, tutt’altro; è evidente, però, che gli episodi a loro riservati in quest’ultimo lavoro, pur facendosi limitatamente apprezzare, sono per lo più privi di quella leggerezza e soprattutto di quella freschezza che così incautamente faceva gridare al miracolo il pubblico anglosassone (e, in parte, anche quello mitteleuropeo).

A metà tra questi due inconciliabili sentimenti si colloca stranamente il primo singolo estratto dall’album, quella Gotta Be Somebody che ha immediatamente scalato le classifiche internazionali: un mid-tempo assolutamente orecchiabile, dal messaggio pragmatico ed ineccepibile, che, se nelle linee melodiche cede maldestramente al pop, negli accenni più vagamente noise si riconduce ad un sound non ancora del tutto esplorato nei precedenti album. Infine, da sottolineare con assoluta sorpresa e discreto godimento, la traccia di chiusura This Afternoon: al di là di un riuscitissimo campionamento festaiolo in sottofondo, le chitarre acustiche al confine fra rock e indie, unite ad un chorus corale del tutto spensierato, mostrano un’allegria e una brillantezza del tutto inattese.

In conclusione, quindi, Dark Horse si presenta con un album tutt’altro che inascoltabile ma, al di là di qualche buon momento, piuttosto derivativo e scontato; ciò che più irrita è il fatto che, in molti e troppi tratti, il lavoro sembra viziato da una ripetitività sonora studiata apposta per fare (o mantenere) proseliti. L’augurio definitivo è che i fratelli Kroeger, Ryan Peake e Daniel Adair sappiano valersi delle proprie necessità artistiche per pubblicare un capitolo, il prossimo, più personale e meno prevedibile, che sappia stupire chi non li ha mai apprezzati e quasi deludere chi da sempre li segue, perché se è di molti la capacità (e la buona sorte) di sapersi imporre, è di pochi la qualità di sapersi rinnovare.

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente