Voto: 
6.4 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Genere: 
Etichetta: 
Lizard Records
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Francesco Chiapperini – alto, soprano sax, EWI, clarinet, flute
- Andrea Illuminati – piano, melodica, bombarda
- Claudio Milano – voice
- Andrea Murada – percussion instruments, noise effects, didjeridoo, rhythmic vocals, flute
- Max Pierini – electric upright bass, ocarina
- Luca Pissavini – electrified viola, synth, toy instruments, noise machinery, field recordings, duduk, no-input mixer, theremin
- Lorenzo Sempio – electric guitar, baritone guitar, guitar synth & effects

Tracklist: 

1. Fame
2. Fabia
3. Claustrofilia
4. Malamore e la Luna
5. Amanti in guerra
6. Ombre cinesi
7. Apnea
8. Il Giardino degli altri
9. La corsa dei trattori
10. Se
11. Lana di vetro
12. Ciò che rimane

Nichelodeon

Il gioco del silenzio

Viviamo in una società che si è evoluta, in un posto che si è modernizzato, viviamo in un mondo che non è più lo stesso ed i Nichelodeon ce lo ricordano con la propria musica. Non tanto per i testi, introspettivi e filosofici, ma proprio per il concetto musicale che sta dietro alla loro personale proposta.
Com’erano affascinanti i tempi del cantautorato italiano, dei grandi nomi che hanno fatto scuola e che ancora oggi vengono imitati o presi da esempio: i Nicheleodeon non sono altro che una band che attinge a grandi dosi da quella tradizione portandola però ad una modernità (non solo tecnologica/sonora ma anche come insieme combinato di musiche e generi differenti) che questa non potè permettersi ai tempi e mischiando il tutto con un forte approccio da “teatro sperimentale”, atto a rendere la musica una vera e propria creazione d’arte e come tale soggetta alle opinioni più discordanti.

La modernità nel loro album Il gioco del silenzio è percepibile in più parti ma è sempre in secondo piano rispetto a delle note che intendono mantenere genuina la propria esistenza e mostrarsi alla luce del sole con gli strumenti più classici che una band pseudo-acustica più produrre.
Diverso è il concetto di sperimentazione proposto, dato dall’utilizzo stesso di strumenti molto diversi tra loro ed al tempo stesso lontani dal concetto canonico di band: paradossalmente c’è spazio per una chitarra elettrica ma non per una batteria, alta è l’attenzione verso le melodie di piano e le sonorità acustiche ma solo un orecchio più attento può trovarci synth ed effetti elettronici a dovere. Un miscuglio che trova proprio nella voce il punto più acuto di questo distacco dalla normalità, o quantomeno dall’attendibilità: si tratta di recitazione cantata oppure di canto teatrale, chiamatela come volete, eppure ciò che riescono a conferire le parti vocali alle restanti melodie sono accostabili alle ambientazioni tetre e malinconiche di un quadro in bianco e nero, due esistenze che solo in simbiosi possono trasferire la propria ragion d’essere. Non a caso spesso il timbro vocale muta in funzione della durezza della musica, lasciando che lo stupore prenda vita dopo aver apprezzato l’estensione spaziosissima delle note di entrambi.

Si toccano terre molto diverse, l’ambient si sposa con parti molto più jazzate o sezioni operistiche, ma ciò che colpisce è l’attenzione per i dettagli visto che molti degli strumenti non esplodono mai sulla scena ma sono lì dietro, come fossero delle comparse che però risultano essenziali per rendere più ricca la scena. Ed in questo miscuglio di influenze e di idee c’è ovviamente margine per brani più lunghi fino ai nove minuti (come Malamore e la Luna), nei quali si apprezza il dosaggio dei vari “rumori” intesi come produttori di suoni, addirittura persino il sospiro è utilizzato in una sequenza sincopata, e ciò che è bene è che difficilmente ci si perde in parti prolisse o inutili. D’altro canto risulta davvero sfidante immedesimarsi nelle creazioni della band anche se bisogna ammettere che la resa audio lascia molto spazio all’immaginazione (e questo in termini artistici è un elemento di notevole importanza).
A parte alcuni brani che stonano in una sperimentazione esagerata, sia timbrica che melodica, come Ombre cinesi, dietro la quale è davvero difficile distinguere il “senso canzone”, l’album scorre abbastanza omogeneo e seppur complesso lascia profondi segni per i significati tutt’altro che positivi dei propri testi (ma nessuno si sarebbe atteso dalla band frivolezza né positività gratuita).

Un lavoro molto coraggioso quello dei Nichelodeon, un lavoro che molto facilmente potrebbe essere non capito perché spesso (anche nella musica) si ragiona per stereotipi mentre loro ci strappano via quelle poche conferme che abbiamo per renderci ancora più caotica la realtà. Troppo difficile etichettarli o definirli, come un quadro lo si può apprezzare o meno prima ancora di capirlo.
Noi apprezziamo l’anima più “musicale” della band, costruttrice di sonorità parlanti vicendevolmente; apprezziamo meno le sperimentazioni estreme e la teatralità fine a se stessa (e non ad una migliore resa sonora).

NUOVE USCITE
Filastine & Nova
Post World Industries
Montauk
Labellascheggia
Paolo Spaccamonti & Ramon Moro
Dunque - Superbudda
Brucianuvole
Autoprod.
Crampo Eighteen
Autoprod..
BeWider
Autoprod..
Disemballerina
Minotauro
Accesso utente