Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Emanuele Pavia
Etichetta: 
Distraction
Anno: 
2012
Line-Up: 

- AJ Cookson
- Matthew Rozeik

Tracklist: 

1. Imperial
2. Led to the Water
3. Endless Vertex
4. Wretched Hag
5. Arrows
6. Shadows of Reflections of Ghosts Past
7. Theme From Escape
8. Starbeast
9. Insecto!

Necro Deathmort

The Colonial Script

Il duo londinese Necro Deathmort (AJ Cookson e Matthew Rozeik) è riuscito ultimamente a farsi un nome tra i circuiti critici (in particolar modo quelli metal, ricevendo importanti riconoscimenti da magazine quali Terrorizer e Decibel) grazie alla pubblicazione di due tra i dischi più distruttivi di questi anni, vale a dire This Beat Is Necrotronic e, in maniera minore, Music of Bleak Origins, entrambi pubblicati per la Distraction rispettivamente nel 2009 e nel 2011: nonostante il moniker estremamente poco fantasioso, i Necro Deathmort propongono infatti un sorprendente connubio di drum & bass, dark ambient, drone music, industrial e EBM, memori tanto delle atrocità della musica di Foetus e degli Skinny Puppy quanto degli esperimenti che Kevin Martin intraprese con i suoi numerosi progetti sulla musica industriale negli anni Novanta.

Ed è sempre all'insegna di questa innovativa visione della musica industrial che viene pubblicato The Colonial Script (ancora una volta per la Distraction), il terzo capitolo della saga orrorifica firmata Necro Deathmort che non solo conferma le capacità finora dimostrate dal duo, ma che probabilmente ne rappresenta anche l'apice creativo per via di un raggio d'azione ben più ampio rispetto a quanto il gruppo abbia mai mostrato nei capitoli precedenti: per quanto i numeri drum & bass rimangano ancora un elemento fondamentale della loro musica, così come le atmosfere gelide e cupe continuino a dominarne le composizioni, i Necro Deathmort ora adottano maggiormente soluzioni elettroniche che tolgono l'egemonia alla sezioni ritmiche, decomponendole in astratti paesaggi sonori degni dei Dälek e in desolanti distese dark ambient sulla scia di Kreng ed Elegi, contemporaneamente portando in primo piano il ruolo delle chitarre che ora lambiscono territori industrial e drone doom metal (riportando alla mente alternativamente i Neurosis, i Sunn O))) e i Godflesh).
La musica di The Colonial Script si rivela così parente prossima delle sperimentazioni dei Techno Animal, di cui di fatto rappresenta un agghiacciante aggiornamento ai tempi dell'elettronica techno, dell'hip-hop e della dubstep.

L'album è aperto immediatamente da uno dei vertici del viaggio descritto dai Necro Deathmort, l'apocalittica Imperial, che si evolve da desolazioni drone/psichedeliche a ritmiche drum & bass prorompenti sormontate prima da droni cosmici e mesmerizzanti e infine da implosioni al limite del post-metal, in un improbabile ma riuscito incrocio tra i Pink Floyd più austeri di A Saucerful of Secrets, l'Amon Tobin di Out From Out Where e i Godflesh di Pure.
Sono questi ultimi (insieme a Neurosis e Sunn O)))) i numi tutelari del secondo pezzo Led to the Water, un pezzo drone-doom con impennate dissonanti e tessuti tra l'atmosferico e l'alienante che si intrecciano tra loro, celati dagli implacabili accordi di chitarra e dalle esplosioni vocali che bombardano il lento intercedere del brano, arenandosi infine in una lunga coda di giochi di distorsioni e di feedback. E mentre in Endless Vertex vengono recuperate le strutture EBM degli esordi, Wretched Hag raggiunge vertici di devastazione inediti con i suoi drone ambientali che sembrano riprendere al rallentatore una deflagrazione nel vuoto cosmico, prima di cimentarsi nel possente (ma sempre vagamente dissonante) industrial metal in stile Ministry di Arrows.
La successiva Shadows of Reflections of Ghosts Past è invece una elegia cosmica-ambientale che poco ha a che vedere con gli episodi alienanti della prima metà del disco, e pare invece un momento di quiete prima della tempesta decadente di Theme From Escape, che riparte dove Led to the Water si era conclusa, con un'introduzione elettronica in crescendo che spiana il terreno al fragore post-drone metal della seconda parte del brano.
L'esercizio più sperimentale del disco giunge però verso la conclusione dell'album con i sette minuti di Starbeast, che macina e ingloba per tutta la sua durata dissonanze spaziali, subdoli rumorismi galattici, minimalismo e droni opprimenti, in una delle versioni più glaciali e disturbanti della kosmische Musik, prima che l'opera si chiuda con il funereo sludge metal di Insecto!.
In assoluto il disco più ambizioso fra i tre finora pubblicati dai Necro Deathmort, The Colonial Script non solo ne rappresenta il culmine di efferatezza e mostruosità degli arrangiamenti, ma è anche uno degli album più importanti nel panorama industriale attuale, tra i pochissimi che si riveli effettivamente claustrofobico e catastrofico come i lavori cui visibilmente si ispira, senza però perdere di vista la sensibilità musicale odierna. Senza dubbio, tra le migliori uscite dell'anno.

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