Voto: 
8.3 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
WAR Music
Anno: 
1998
Line-Up: 

- Jens Rydén - Voce
- Kristoffer "Wrath" Olivius - Basso
- Marcus "Vargher" E. Norman - Chitarra
- Andreas Nilsson - Chitarra
- Mattias Grahn - Batteria

Tracklist: 

1. Horncrowned Majesty
2. Embracing The Apocalypse
3. 12th Rising
4. Into The Cold Voids Of Eternity
5. The Brimstone Gate
6. Blades
7. When Autumn Storms Come
8. A Departure In Solitude
9. Diabolical - The Devils Child

Naglfar

Diabolical

Non fatevi trarre in inganno dal verdastro della copertina: questo disco è nero come la pece e rosso come il fuoco - un bollente, indiavolato, tormentato percorso in discesa negli abissi più reconditi dell'Inferno.
Diabolical, creazione seconda dei Naglfar, è da annoverare fra i più riusciti esempi di quel black svedese che troppo spesso si rifugia in cliché tradizionalisti e ripetitivi, cercando di emulare i maestri Marduk e Dark Funeral. I Naglfar si collocano invece a metà fra la brutalità e la velocità del classico swedish black e i riffs più melodici (tanto da venire sovente –e a ragione– catalogati come Black Melodico) che hanno reso grandi i Dissection.
Confermata la line-up dello splendido debut album Vittra, (ad eccezione del batterista), un disco meno rabbioso e con più parti melodiche, il gruppo imbraccia le armi e si slancia in una corsa demoniaca, calda e distruttiva.
Si sentono tutti, i tre anni che interocorrono fra le due pubblicazioni; ma in Diabolical, a differenza degli ultimi due platter (Sheol e Pariah) il gruppo mostrava ancora una spiccata propensione per un riffing capace di creare melodie di livello altissimo, e non utilizzava solo ciechi assalti all’arma bianca.

Accanto agli attacchi comunque distruttivi delle chitarre troviamo la classicissima batteria-tritacarne con tanto di doppia cassa a velocità massacranti, e soprattutto la voce strepitosa del vocalist Jens Ryden, una delle voci più intense ed interpretative del panorama black scandinavo, che ora purtroppo ha lasciato il mondo musicale per terminare i suoi studi universitari. Un vero demone traboccante ira, che si erge dalle fumose lande infernali per gracchiare le sue maledizioni, terrorizzarci con i suoi racconti, angosciarci con le sue descrizioni: una voce da brividi – ascoltare per credere.
Musicalmente, il disco gode di canzoni sinceramente micidiali, e i tre quarti d’ora scarsi di Diabolical passano velocissimi grazie a brani di spessore assoluto: nessun episodio è inferiore agli altri e, anzi, segnalarne uno che si elevi maggiormente rispetto al livello generale già altissimo è impresa davvero ardua.

I “fratellini minori” dei Dissection, come amo definirli, si dimostrano anche più feroci dei loro predecessori fin dal primo brano, la clamorosa Horncrowned Majesty, in cui la dichiarazione d’intenti (a livello sia musicale che lirico) del gruppo è chiarissima: mettere a ferro e fuoco gli apparati uditivi degli ascoltatori. La coppia Embracing The Apocalypse e 12th Rising non fa calare l’aggressività nemmeno per un secondo, fra screams mozzafiato e chitarre che attaccano, conquistano e ripartono con un nuovo riff, più terribile e mortale di quello precedente.

Into the Cold Voids of Eternity gode di un potentissimo basso, nonché di parti di chitarra ispirate come non mai: Ryden offre una prestazione vocale con linee melodiche che vi torneranno (e tormenteranno) in mente anche molte ore dopo l’ascolto. L’inserimento di alcuni synth [reminiscenze del debut album Vittra] mostra un lato più maestoso della proposta Naglfar-iana, fino ad arrivare a un break silenziosamente pauroso in cui si sconfina in un abisso, con le sole note del pianoforte a tenerci aggrappati alla realtà. Inutile dire quando devastante sia il momento in cui le chitarre ricominciano a graffiare, tenebrose eppure affascinanti.
Dopo una canzone di simile entità cosa può esserci? Che domanda: un’altra killer-song.
The Brimstone Gate, furiosa e impazzita, mostra nuovamente un basso ispiratissimo e parte fondamentale del suono del gruppo: è sui suoi patterns che si basa questa canzone, un mid-tempo apocalittico dal grande impatto.

In Blades le chitarre sono affilate come lame, eppure lo screaming di Ryden le relega in secondo piano: è davvero una ferocia impressionante quella mostrata dalle corde vocali del singer svedese. Altro centro, così come la successiva When Autumn Storms Come, sulla quale è oramai inutile spendere parole: il massacro (ragionato) continua imperterrito.

Il primo momento di calma arriva mentre il viaggio diabolico è già quasi finito: la penultima A Departure In Solitude è una strumentale di pianoforte, in cui due minuti di musica classica fanno da prologo (il climax è da pelle d’oca) per la title track finale, nove minuti con i quali si ritorna al sound proprio della band. Al termine, [prima del finale vero e proprio, quasi una ghost track] le urla disperate di Jens ci salutano, un saluto orribile, marcio, vuoto, colmo di rabbia: i Naglfar guardano fieri negli occhi il loro pubblico, consapevoli di avere appena forgiato uno di quei lavori per cui saranno ricordati. Torneranno solamente cinque anni dopo, con il terzo disco Sheol, purtroppo meno ispirato rispetto ai primi due lavori del gruppo.

Diabolical, insieme appunto al primo storico full-lenght Vittra, è l’apice creativo degli svedesi, che in futuro sacrificheranno sempre più le parti melodiche, seguendo un’evoluzione che porterà il loro suono ad incattivirsi sempre più, guadagnando in potenza [e derivazione Death] ma irrimediabilmente perdendo quell’aura magica e maledetta [nonché inconfondibilmente di suola Black Nordeuropea] che ogni riff di Diabolical ha marchiato a fuoco dentro di sé.
In ambito Black Svedese, i Naglfar e Diabolical sono un assioma imprescindibile, un acquisto obbligatorio se apprezzate la scena BM di quel paese… Ed è obbligatorio, aggiungo, anche se amate i primi due dischi di un certo signor Jon Nodtveidt…


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