Voto: 
8.6 / 10
Autore: 
Iacopo Fonte
Genere: 
Etichetta: 
Asthmatic Kitty/Promorama
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Shara Worden - voce, chitarra, Wurlitzer, vibrafono, celesta, music boxes, percussioni
- Earl Harvin - batteria
- Chris Bruce - basso
- Marla Hansen - viola
- Maria Jeffers - violoncello
- David Stith - piano, background vocals
- Zac Rae - organo, tastiera
- Barry Wright - tromba

Tracklist: 

1. Something of an End
2. Golden Star
3. Gone Away
4. Dragonfly
5. Freak Out
6. We Were Sparkling
7. Disappear
8. The Robbin’s Jar
9. Magic Rabbit
10. The Good & Bad Guy
11. Workhorse

My Brightest Diamond

Bring Me the Workhorse

A giudicare dalle esperienze musicali della famiglia, la si potrebbe musicalmente definire una “ragazza di Dio”. Ma Shara Worden, alias My Brightest Diamond, è molto di più. E’ innegabile da un lato che il suo amore per la musica sia nato grazie a un nonno chitarrista evangelista, a un padre campione nazionale di fisarmonica e una madre organista in chiesa, però d’altra parte i suoi gusti si raffinarono velocemente. Così, dopo aver collaborato con niente meno che Whitney Houston e Maria Carey e aver terminato il collage in Texas, si trasferisce nella Grande Mela, dove si innamora delle sonorità da piccolo club jazz-post rock. Di qui abbandona gradualmente l’attenzione per la musica classica, sua materia di studio, e si concentra sempre più sulla sua reale passione, un pop gotico, stile Portishead, colorato con l’appariscenza teatrale di vestiti da ballo e corsetti. Nasce dunque il progetto My Brightest Diamond: una band che è forse più un’idea, un’occasione per ricordare momenti della vita, sensazioni.
Così nel 2005 Shara lavora con lo stesso marchio su due fronti: un primo disco, contenente brani con accompagnamento di quartetto d’archi, e questo Bring Me The Workhorse, effettivo debut album, che si presenta più tradizionale in quanto full band (batteria, basso, chitarra, vibrafono, violino, violoncello, tastiere, archi).

L’opera, composta da undici tracce, si presenta compatta stilisticamente e sovrintesa magistralmente dalla voce calda e rilassante della vocalist americana. Tutti i brani raccontano situazioni struggenti, ma davvero diverse come possono essere una telefonata, un cavallo ferito o una libellula intrappolata nella tela di un ragno. Ogni nota si carica del peso di un’immagine, di un’emozione. Il complesso sonoro è caratterizzato spesso dalle linee di basso che creano situazioni misteriose e affascinanti, evocando scenari da piccola strada metropolitana. Così i toni più melodrammatici vengono toccati nella marmorea The Good & The Bad Guy e nella cupa We Were Sparkling. Addirittura Magic Rabbit sfiora sonorità darkwave, per la sua scansione ritmica lenta ma accentuata, con toni melodici soffusi e una voce sussurrata malinconicamente. La grande varietà strumentale accresce l’imprevedibilità dello stile e garantisce improvvisi cambi sonori e ritmici. Non vengono perciò lesinate emozioni, in un album che è una perla di raffinatezza e malinconia.

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