Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Atlantic
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Matthew Bellamy - voce, chitarra, tastiera
- Chris Wolstenholme - basso, cori
- Dominic Howard - batteria, percussioni

Tracklist: 

1. Take a Bow
2. Starlight
3. Supermassive Black Hole
4. Map of the Problematique
5. Soldier's Poem
6. Invincible
7. Assasin
8. Exo-Politics
9. City of delusion
10. Hoodoo
11. Knights of Cydonia

Muse

Black Holes and Revelations

Se con Absolution i Muse ci regalarono un album di scarsa rilevanza per la scena seppur melodico ed energico, i dubbi su cosa ci possono riserbare con il nuovo Black Holes and Revelations iniziano ad emergere fitti a più riprese. Infatti con il terzo disco sembrava che la ventata fresca del trio inglese iniziasse ad esaurirsi, nonostante qualche bel pezzo a disposizione. Ma ovviamente non si può stabilire a priori una sentenza simile senza dare la possibilità a Bellamy e soci di mostrare quante frecce siano rimaste nella loro faretra.
Eppure dalle premesse la maggior parte della critica è rimasta a lungo scettica sulle possibilità in mano ai Muse; e quando è stato rilasciato il primo singolo, Supermassive Black Hole, in maggio 2006 sono subito piovute numerose critiche, ancora più feroci di quelle ricevute per Absolution (e in alcuni casi estremi anche per i due precedenti). Un brano che mescolava il tipico britpop melodico inglese con sonorità Dance/Pop di parvenze ottantiane, con falsetti che seguono linee vocali che gridano ad alta voce l'amore per gli '80, brano a tratti banale e riciclatore, ad altri tratti accattivante e rivitalizzante. Le stesse dichiarazioni di Bellamy facevano presupporre un album sulla dance-rock; sembrerebbe che l'ispirazione sia venuta a Matthew dopo aver frequentato diversi locali americani, mentre più forti richiami arrivano dai lavori più ballabili dei Franz Ferdinand e in generale dalle divagazioni particolari dell'odierna Wave inglese. C'è abbastanza per un potenziale album fantastico che fonde uno spirito di revival ai gusti odierni, così come per un flop che ricopia vecchi stilemi.

Ad ogni modo il tanto discusso elemento disco è abbastanza sporadico in Black Holes and Revelations, che viaggia invece su sonorità più convenzionali per il Pop/Rock inglese moderno, agghindandole con esuberanza molto kitsch (ma questo è sempre spontaneo per Bellamy) e attacchi riffocentrici incalzanti. Purtroppo proprio questo rappresenta una limitazione in quanto alla fine del full-lenght le melodie iniziano a diventare comuni, ripetitive, e si percepisce un generale appiattimento nella progressione musicale di album in album dei Muse, come se con quest'album si assistesse ad una parentesi di assestamento per mettere un po' d'ordine dopo Absolution. Certamente per i fan più devoti del gruppo c'è molto di buono e apprezzabile in quest'album, a meno che non cerchino a tutti i costi un album capace di sfidare a testa alta le pietre miliari del genere in qualità compositiva e originalità.

Ma andiamo con ordine: l'iniziale Take a Bow promette bene con quei giri elettronici canonici ma gradevoli e quell'atmosfera in crescendo, e dopo un po', arrivati al chorus, si inizia ad aspettare la tanto attesa esplosione. Purtroppo, arrivati a quel punto, non ci si rende inizialmente conto che è quello il climax del brano, sembra quasi un ulteriore preludio prima della vera ciliegina sul fondo del drink, il che porta il brano a chiudersi con una sensazione di incompletezza.
La successiva Starlight parte invece con un chord elettrico e ripetuto, intervallato da uno splendido giro di note sulla tastiera. L'esecuzione è gradevole, ma nel complesso manca quel qualcosa che rende un brano una vera e propria perla.
Con Supermassive Black Hole si giunge infine al singolo rilasciato in anteprima, dove alcuni piccoli spruzzi noise si mescolano a riff robotici ma orecchiabili e ad un Bellamy che sfodera un falsetto potente per l'elevazione, ma al tempo stesso delicatissimo per il timbro; ogni tanto si aggiungono dei piccoli cori di sottofondo che richiamano le influenze dei Queen nei Muse.
Map of the Problematique sembra per davvero un brano di vecchia disco dance implementato su una struttura electro/rock (anche se forse è sempre meglio citare prima certi esperimenti moderni), e il risultato se non si guarda con troppa puzza sotto al naso è davvero buono, con i giochi di melodie che riportano indietro di venti anni pur lasciando intrasentire la matrice post-anni '90 del gruppo.
Giunge ora Soldier's Poem che fa verso alle ballate dei Queen e anche dei Radiohead più dolci, un risultato gradevole se non pretendete maggiore originalità e lo stesso carisma di classici simili dei Muse, ma sembra essere più un riempitivo nel percorso dell'album.
Anche Invisible ricorda molto i Radiohead, in una versione "rivoltata" con più dolcezza e meno irrequietezza psicologica, soprattutto nella prima soffusa parte, che non esclude parti più decise e incalzanti sul finire, e il brano si piazza fra i migliori del repertorio.
Assassin inizia in maniera irruenta, con riff e pedale duri e martellanti, e tende poi ad alternare questi passi aggressivi ad un chorus spensierato ed orecchiabile.
Exo-Politics sfodera quella serie di riff suonati stoppati ed effettati a cui già ci abituarono i Muse ai tempi di Citizen Erased, ma senza la stessa carica e lo stesso coinvolgimento, sfociando anzi in un solito chorus che fin troppo assomiglia a quanto fatto in precedenza.
City of Delusion è nel suo amalgamare stilemi già sentiti originale all'interno dell'album per gli standard fino ad ora imposti; unisce schitarrate acustiche e ritmiche folkloristiche ad innesti particolari come archi e trombe iberiche; nel complesso allegra anche se non inventa nulla di nuovo.
Hoodoo riparte proprio dal timbro mediterraneo della precedente, rendendolo ancora più spagnolo nelle sonorità acustiche, creando però una ballata malinconica, ballata che poi raggiunge un apice di intensità poco dopo la metà della canzone con l'intervento di pianoforte, batteria e violino a sostegno della voce di Bellamy. Molto godibile anche se, ancora una volta, nulla di nuovo o particolare.
Knights of Cydonia rimescola alcuni degli spunti spagnoleggianti di prima con qualche atmosfera più psichedelica ed un impianto sonoro intenso e vivace; non mancano il solito coro e trova spazio anche una parte più energica, quasi strizzante l'occhiolino al metal nell'impatto del riff.

In definitiva Black Holes and Revelations non è un disco brutto e ci sono pezzi validi, quel che viene a mancare è, oltre alla freschezza compositiva e all'originalità, una certa omogeneità del full lenght, mancanza che tende a rendere frammentarie e spesso ripetitive le canzoni, facendolo posizionare anche alle spalle di Absolution. Mancano idee nuove per rinnovare il proprio stile e creare un album che in questo mercato inflazionato possa dire la sua con solidità e determinazione.
La sensazione alla fine dell'album è che si tratti di una parentesi, attuata per consolidare un certo approccio orecchiabile e provare ad implementare qualche spunto già usato nel resto della musica, in preparazione di un probabile disco successivo che osi più a fondo e in maggiore quantità. I fan dei Muse, tranne forse quelli che hanno poco apprezzato Absolution, avranno una nuova dose di brani di sano Rock in fin dei conti godibili, senza lode e senza infamia, in attesa del prossimo album. Chi si aspetta invece un album che segni marcatamente l'elenco delle uscite musicale e che pretende un'opera maggiore rimarrà invece deluso.
La maggior parte di chi si aspettava molto di più (magari qualcosa che realmente si sbilanciasse verso il Neo-Prog) probabilmente schifati, soprattutto contando che sia nell'anima che nel rivestimento Black Holes and Revelations non è neanche più tanto definibile come musica "alternativa", anche se lo stesso "alternative" è un termine fra i più vaghi.

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