Voto: 
7.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
ASCAP
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Jeff Sanders - Voce, Chitarra

Guests:
- Peter Yttergren - Batteria
- Peter Generous - Batteria
- Phil Rohr - Basso
- Guy Bartor - Basso
- Claire Fitch - Violino
- Oren Selas - Tastiere

Tracklist: 

1. Born Deranged
2. Field Of Grass
3. I Don't Belong
4. End Of Days
5. The Elemental
6. Your Dirge
7. Riot Within
8. Birds In A Rat Race
9. Better Days
10. A Spell To Block The Sun
11. Angelic

Mountain Mirrors

Dreadnought

Jeff Sanders è un personaggio (aggiungo un molto sentito "purtroppo") poco conosciuto, nonostante l'omonima perla datata 2006 che, anche se in scala relativamente bassa, ha scagliato il monicker dietro cui si cela, Mountain Mirrors, tra i più affascinanti del panorama acustico-alternativo statunitense degli ultimi anni.
A due anni di distanza, però, il buon Sanders ha ancora molto da dire, grazie agli inesauribili stimoli compositivi e a quella sempre crescente voglia di incantare un pubblico che col precedente gioiello si ritrovò tra le mani una musica quasi commovente per la purezza della sua natura e del suo contesto di origine, stando soprattutto a come l'universo musicale si sia brutalmente diretto verso il business più disperato, stendendo un velo di indifferenza all'escalation della miriade di proposte provenienti dall'underground più di nicchia. Ma se da una parte il mainstream diventa una macchina selettiva sempre più cinica e avara, dall'altra, come in questo caso per i Mountain Mirrors, cresce a dismisura quell'arma ancora più potente e "libera", ovvero il web, che, nella schizofrenia delle merci, del denaro e della presunzione pubblicitaria, si è ormai sinceramente tramutato nell'unico, sebbene astratto, appoggio per i musicisti del "suolo sotterraneo".

Sanders ha fatto i conti con tutto questo, ma è andato avanti, senza troppi patemi d'animo, anche perchè proprio grazie al web la sua musica è riuscita a diffondersi e a concretizzarsi, bussando alla porta di tutti anche se in pochi hanno, ovviamente, risposto all'invito. Dreadnought, terza fatica per il compositore americano, allarga e in qualche modo indurisce le candide foreste e gli spazi romanticamente desolati che sovrastavano completamente l'atmosfera del precedente Mountain Mirrors, indurendo le soffici armonie acustiche delle chitarre e proiettando lo stile generale del disco verso una dimensione più varia e modellata. Le tinte progressive che regnavano sul precedente full lenght vengono qui leggermente distorte e irruvidite grazie alle influenze stoner (celebrate nella seconda Field Of Grass) e a fraseggi più contorti e ricercati che, sebbene offuscano in parte la poesia naturalistica di Mountain Mirrors, dall'altra riempiono il disco di profumi e sfumature.
Ciò che ovviamente non cambia in Dreadnought è il suond folk-acustico velato di malinconia a cui Sanders ci ha ormai abituati: a partire dalla toccante I Don't Belong, fino alle morbide schitarrate di Riot Within e ai rintocchi atmosferici quasi Opethiani di Birds In A Rat Race (tra le migliori del lotto), Dreadnought si apre e lascia scorrere senza sosta e senza troppi fronzoli la sua essenza più profonda, fatta di suoni e melodie pure, direttamente ricavate dal legno, dagli alberi del Massachusetts in cui Sanders ritrova ogni volta la sua poetica romantica, la sua ode ala natura e all'uomo che vi passa innamorato attraverso.
Ma nonostante Dreadnought brilli per la precisione con cui le parti elettriche si fanno spazio tra le interminabili cascate acustiche, esso manca, anche se non in maniera drastica, della melodia abbagliante, del refrain commovente, del riff che si riascolta affacciati alla finestra quando si ripensa alla propria vita e ai propri dolori; aspetto che soltanto la conclusiva, splendida Angelic riesce a rievocare, avvolgendo l'ascoltatore con il suo lento e triste giro pianistico che accompagna drammaticamente la voce di Sanders.

Per gli appassionati del folk rock e delle svariate commistioni stilistiche inerenti al genere, Dreadnought risulterà come un ascolto piacevole e diretto, mentre chi cercava un successore simile, per tematiche e mood, al precedente Mountain Mirrors rimarrà probabilmente deluso, visto il notevole cambio di rotta intrapreso dal musicista statunitense.
Avrà anche messo da parte il suo alter ego più malinconico e riflessivo, avrà forse messo in secondo piano l'emotività e quella filosofia musicale dal retrogusto romantico, fatto sta che Jeff Sanders ha dimostrato ancora una volta di saperci fare, confermando le sue qualità di cantautore a metà strada tra la dimensione naturale e quella urbana, confezionando un altro bel lavoro, da ascoltare con la mente sgombra al fine di assorbire efficacemente l'universo naturale che risplende in ogni sua nota.

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