Voto: 
6.3 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Sub Pop / Rock Action
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Stuart Braithwaite - chitarra, voce
- Dominic Aitchison - basso
- Martin Bulloch - batteria
- John Cummings - chitarra, programming, synth
- Barry Burns - tastiera, programming
 

Tracklist: 

1. White Noise
2. Mexican Grand Prix
3. Rano Pano
4. Death Rays
5. San Pedro
6. Letters to the Metro
7. George Square Thatcher Death Party
8. How to Be a Werewolf
9. Too Raging to Cheers
10. You're Lionel Richie

Mogwai

Hardcore Will Never Die, But You Will

Rimanere per quindici anni ai vertici di un genere (peraltro proprio da te codificato e portato al suo paradigma più riconosciuto) è una cosa che riesce a pochissimi gruppi, a prescindere da quale sia lo scenario stilistico che si affronta. I Mogwai è dal 1997, anno di pubblicazione dell'indimenticata pietra miliare Young Team, che calcano le superfici e scalano le pareti del post-rock a suon di capolavori o dischi pseudo-tali, legittimando un dominio storico sulla scena contemporanea che nessun altro act (fatta esclusione per i Godspeed You! Black Emperor) è riuscito a consolidare. Il problema più attuale - e con attuale mi riferisco a "urgente" - degli scozzesi è che ormai non si tratta più di una giovane banda allo sbaraglio come potevano esserlo ai tempi delle prime sperimentazioni tutte slintiane. Ma il fatto che una cosa invecchi non necessariamente sta a significare che il suo valore sia ormai compromesso; il problema principale è che quando gli anni avanzano bisogna trovare rimedi, nuove soluzioni e nuove idee attraverso cui riproporsi senza il rischio di ripetersi e la paura di fallire. Hardcore Will Never Die, But You Will è tutto questo, gentilmente firmato da dei Mogwai come non mai sobri, sereni, quasi distaccati.
Il disco, che (oltre al ritorno dietro il mixer di Paul Savage: Young Team) segna il passaggio parziale della band scozzese sotto l'egidia della Sub Pop, è esattamente tutto ciò che - da una parte - non ci si sarebbe mai aspettati dai Mogwai e - dall'altra - tutto quello che in molti (denigratori petulanti in primis) desideravano accadesse nel calderone creativo di Braithwaite e soci: cambiamento, improvviso e profondo cambiamento.

Nelle idee di base, negli arrangiamenti, nelle forme e nel sound, Hardcore Will Never Die si separa - con uno strappo un pò dolce, un pò brusco - da tutto ciò che l'ha preceduto, ed è un discorso che riguarda ogni singolo aspetto creativo del complesso scozzese. A livello stilistico il salto tentato dai Mogwai funziona, solo che le nuove forme (più distese e luminose) di cui il disco è pervaso mancano quasi completamente di coinvolgimento emotivo, sono prive dell'incanto e della tensione che hanno caratterizzato finora tutti (e ribadisco tutti) i dischi precedenti. Anche The Hawk Is Howling - per quanto fosse un disco decisamente meno interessante e abbastanza ripetitivo - poteva contare su una forza atmosferica tutt'altro che trascurabile: Hardcore Will Never Die invece capovolge il tutto, fissando come coordinate generali un approccio molto più morbido e un insieme strumentale decisamente più fluttuante e leggiadro.

Di feedback e sound lacerante nemmeno l'ombra, i fraseggi distorti sono pochi e un pò timidi, i ritmi più sostenuti ma al contempo leggeri, gli arrangiamenti fantasiosi ma a tratti un pò deboli. E i crescendo? I vecchi contrasti atmosferici? Il sali e scendi continuo tra pause introspettive ed esplosioni noise? Scomparsi, tutti scomparsi, cancellati con mano sapiente ma forse un pò troppo convinta: insomma, parlare di post-rock è diventato ormai obsoleto pure con i Mogwai, anche se c'è da dire che un cambiamento semi-radicale era nell'aria già dai tempi dell'indimenticato Mr. Beast.
Hardcore Will Never Die si muove piuttosto lungo sentieri indie/alt-rock (George Square Thatcher Death Party) con innesti sintetici che viaggiano spediti da una canzone all'altra, non senza cadere nei fascinosi tranelli di un citazionismo anche un pò "auto-", a cui va però ad affiancarsi anche uno slancio melodico fin troppo fragile e insicuro. Mexican Grand Prix sembra infatti rinfrescare in un sol colpo l'intera discografia dei Mogwai ma si rivela ben presto un episodio ripetitivo a cavallo tra la lucidità di Happy Songs for Happy People e gli Air di Moon Safari in salsa indie; l'atmosfera onirica di White Noise è cullante ma, nelle sue solari aperture, manca di presa emotiva; How to Be A Werewolf sembra promettente ma finisce per autoannullarsi in una stasi sonora non poco noiosa e la conclusiva You're Lionel Richie, se non fosse stato per l'emozionante scossa di distorsioni finale, avrebbe fatto una fine piuttosto triste.
Fortuna che i Mogwai, anche se un pò troppo a spezzoni, si ricordano ancora come si scrivono le belle canzoni, anche se in un habitat stilistico diverso: su tutte brillano San Pedro (una delle poche vette melodiche dell'album che sancisce quasi definitivamente l'approdo dei Mogwai all'indie/alt rock e al formato canzone più standard, nonostanta rimanga un brano strumentale), Too Raging To Cheers (che quasi riporta alla mente le malinconie desertiche dei Crippled Black Phoenix), il mesto ma prevedibile fluire di Letters to the Metro e il climax atmosferico della seconda metà di Death Rays.

Al di là dei buoni spunti stilistici e di un'atmosfera molto più lucida e meno tesa delle precedenti release, nel disco persiste comunque un'evidente penuria di attimi realmente emozionanti, c'è una struttura che si presenta interessante ma che finisce per mostrare le sue lacune nel momento in cui non viene supportata da buone melodie (ed è una cosa che accade per buona metà dell'album). Ci sono brani che funzionano e trascinano, il sapore di queste nuove atmosfere in un modo o nell'altro cattura, ma - anche se è fin troppo facile dirlo adesso - la mancanza dei vecchi Mogwai (ma anche quelli più recenti) è già stranamente forte.
Di sicuro adesso tutte le accuse di ripetitività, autocitazionismo e incapacità di evolversi cadranno l'una dopo l'altra con velocità shockante: i Mogwai di Hardcore Will Never Die, But You Will sono un pò tutto ciò che non sono mai stati, e la loro musica è a tratti l'evoluzione naturale, a tratti la negazione della loro stessa indole rock.
 

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