Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Marcello Zinno
Etichetta: 
Lion Music/Frontiers
Anno: 
2009
Line-Up: 

:
- Erik Skoglund - voce
- Henrik von Harten - chitarra
- Mårten Bergkvist - chitarra, synth
- Mattias Axelsson - batteria
- Mikael Mangs Edwardsson - basso


Tracklist: 

:
1. State of Lacuna
2. Once Divine
3. Our Floods
4. Benandanti
5. Flow
6. The Lucid
7. Red

Miosis

Albedo Adaptation

Colpo secco per la Lion Music che intende presenziare la scena alternative/prog e si accaparra questa ottima uscita dei Miosis, giovane band svedese musicalmente distante anni luce dal proprio Paese natale. Infatti l’album Albedo Adaptation è sicuramente controverso in quanto a genere: come una macchia di vino lascia un alone di Prog Metal che è davvero duro a mandar via, se non fosse per un’intesa vocale ed armonica che strizza l’occhio all’alternative più concettualistico e dark; ma se dovessimo dare retta al suono, alla cadenza del rullante nonché al suo attraversare stadi di autocontemplazione che lasciano la sei corde in balia del suo destino, dovremo essere ben allerta nel non catalogare il sound dei Moisis al pari di una innovativa Prog Metal band (Pain Of Salvation). In realtà si nota che la “mezza” etichetta rock sta ai Miosis come una bestemmia in un luogo sacro, ma la natura alternative (così come quella avant-garde) è sicuramente prevalente ed al pari di una membrana degli Ephrat imbizzarrita, si agita e saltella tra una definizione e l’altra prendendo possesso della propria anima lungo i minuti d’ascolto che scorrono. Meno heavy dei Bokor, meno estremi degli Opeth pur al pari di entrambi per carisma creativo, è innegabile il loro accostamento a Tool/A Perfect Circle in quanto ad idee ed arrangiamenti benché in alcune scelte sonore (effetti in primis) sono accostabili al “Petrucci & Portnoy sound” dell’epoca recente (si legga Six Degrees of Inner Turbulence), ma pur sempre con una verve del tutto propria. 

Come una creatura intricata e complessa di meshugghiana memoria ma cupa ed arida come gli Isis insegnano, l’album scorre coeso ed oscuro, difficile immaginare una dimensione, sia spaziale che temporale, separatrice tra un brano e l’altro. Our Floods mantiene una carica groove con quel suo riff portante che non riesce a stancare (e che ricorda quello finale di Seabeast dei Mastodon pur arricchito da mille attenzioni sperimentali), mentre Benandanti finalmente mette in mostra la coesione di suoni e tempi tra la parte ritmica e quella melodica rischiando di sfiorare le opere dei Tool di Keenan. Flour è l’ennesima conferma che siamo lontani anni luce dal “Gothenburg sound” delle band conterranee e pur non aggiungendo nulla favorisce quel pathos che solo con The Lucid emerge grazie ad un Erik Skoglund davvero ispirato, talvolta secco e diretto, altre volte intimista e seducente, mentre il basso sembra strizzare gli occhi a Ryan Martinie (Mudvayne).  

L’andatura cadenzata regala un forte senso di appartenenza ad Albedo Adaptation, sicuramente un album culto per il genere e per gli adepti delle band suddette, nonché una goccia di profumo depressive che stupisce in uno scenario internazionale spesso dominato da uscite discografiche futili e inodore.


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