Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Luca Pasi
Etichetta: 
Captured Tracks
Anno: 
2011
Line-Up: 

- Sean Kilfoyle (polistrumentista)
- Amalie Brunn

Tracklist: 

1. Kusmi
2. Out of Tune
3. Life at Dusk
4. Indian Ocean
5. Funeral Song
6. Our Ritual
7. Cemetary Rain
8. Bruises
9. Boys Run Wild
10. Ophelia
11. Juniper

Minks

By the Hedge

Già nel 2010 la Captured Tracks ci aveva regalato ottimi lavori quali Beach Fossils e The Soft Moon, giusto per citarne due; quest'anno torna subito sulla scena con l'esordio By The Hedge dei Minks, un progetto del duo newyorkese Sean Kilfoyle (polistrumentista) e Amalie Brunn.

E' difficile cercare di definire a pieno il genere che li caratterizza, sia perché i 12 brani non seguono una linea retta ben definita, diversificandosi far loro, sia perché le contaminazioni presenti sono differenti e svariate.
Se dovessimo comunque tracciare un filo conduttore che delinea il loro percorso musicale partiremmo certamente dalle atmosfere sognanti dei Cocteau Twins, passando per gruppi come Felt e Pastels, fino ad arrivare ai più attuali Radio Dept. e Wild Nothing.
Certi richiami, inoltre, potrebbero farci venire in mente la C86, ma non per quanto riguarda il sound (anche perchè sarebbe un'affermazione troppo generica visti gli svariati gruppi presenti nella cassetta), ma piuttosto per l'attitudine con cui quelle band si approcciavano alla scena musicale, definendo così quello che venne chiamato DIY (Do It Yourself, ndr). Ci si rese conto che era possibile registrare un singolo senza l'aiuto di professionisti dell'industria discografica, cose comunemente accettate oggi, ma al tempo era una scelta più radicale, e per questo ci fu una grossa esplosione non solo di gruppi, ma anche di fanzine ed etichette. Ed è infatti un lavoro casalingo quello dei Minks, un suono lo-fi che non ha nulla da invidiare alle migliori produzioni, grazie alla sua freschezza e alla sintonia con cui vengono costruiti i tempi.

Si tratta di una una registrazione bilanciata fra luminosità e oscurità: l'estetica del miglior pop anni 80 inquinato alla perfezione da occasionali "tocchi" oscuri alla Cure.

Nulla di meglio per focalizzare questa fusione se non mediante Kusmi, che apre il disco con una lucentezza ronzante. In Out of Tune le voci di Bruun e Kilfoyle, accompagnate da un basso-guida, si alternano in prefetti riverberi spettrali, espediente parecchio usato nel disco, ripetendo fin quasi alla nausea "out of tune, out of mind". L'intero lavoro è cosparso da una fitta nebbia di feedback che, attraverso una debole messa a fuoco, regala vere e proprie atmosfere dream-pop, parecchio evidenti sia in Life at Dusk sia in Our Ritual, ispirate forse dai loro colleghi di etichetta, i Wild Nothing. Come abbiamo detto le influenze sono svariate e molteplici ed è infatti attraverso un crescendo e un alternarsi di ritmi che si passa dal popgaze di Cemetary Rain a vere e proprie struggenti gemme pop come la conclusiva Arboretum Dogs, il tutto passando per il jungling della strumentale Indian Ocean, che parrebbe essere un omaggio ai Field Mice (almeno per quanto riguarda il titolo), a vero e proprio indie-pop di Juniper (probabilmente canzone ispirata dalla fanzine dei Pastels: Juniper beri-beri).

In anni in cui questo tipo di genere è parecchio sfruttato ed abusato, i Minks riescono a distinguersi dalla massa senza fare un banale copia e incolla, ma distruggendo, mescolando per poi ancora ricostruire in un pastiche, un suono sì cupo e oscuro, ma allo stesso tempo accogliente, invitante come un abbraccio di un triste amico.

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