Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Matthias Stepancich
Genere: 
Etichetta: 
13th Planet Records/Audioglobe
Anno: 
2007
Line-Up: 

- Al Jourgensen - voce, chitarra, basso, armonica, programming
- Tommy Victor - chitarra, basso, background vocals
- Paul Raven - basso, chitarra, background vocals
- Sin Quirin - chitarra, basso
- John Bechdel - tastiere

Guests:
- Casey Chaos - voce su Roadhouse Blues
- Burton C. Bell - voce su Die in a Crash, End of Days (Part One), End of Days (Part Two)
 

Tracklist: 

1. Let's Go (04:52)
2. Watch Yourself (05:28)
3. Life Is Good (04:15)
4. The Dick Song (05:50)
5. The Last Sucker (05:59)
6. No Glory (03:41)
7. Death and Destruction (03:31)
8. Roadhouse Blues (04:26)
9. Die in a Crash (04:05)
10. End of Days Part One (03:22)
11. End of Days Part Two (10:26)

Ministry

The Last Sucker

Al Jourgensen non ha certo bisogno di presentazioni, è semplicemente la singola figura che maggiormente ha contribuito alla nascita dell'Industrial Metal. E i Ministry sono rimasti negli anni il suo progetto principale (a fronte dei vari Revolting Cocks, Lard Pailhead, Acid Horse, etc.) sia dal punto di vista musicale (pubblicando due dei pilastri dell'Industrial Rock, ovvero il capolavoro The Land of Rape and Honey nel 1988 e il suo degno successore The Mind is a Terrible Thing to Taste l'anno dopo) che come veicolo per esprimere la sua visione del mondo.

The Last Sucker (13th Planet Records, 2007) è il terzo e ultimo capitolo della cosiddetta trilogia "Ministry VS. George W. Bush" iniziata con Houses of the Molé e proseguita con Rio Grande Blood; non solo, The Last Sucker entra già da subito nella storia per essere l'ultimo disco di materiale inedito a nome Ministry ("I have other things to do", parole dello stesso Jourgensen) e, purtroppo, anche l'ultimo disco registrato da Paul Raven (già storico bassista di Killing Joke e Prong, scomparso pochi giorni dopo la release di The Last Sucker).
Il disco è sensibilmente superiore al precedente Rio Grande Blood, che suonava insabbiato in una ripetitività eccessiva, e raggiunge quasi il livello del devastante Houses of the Molé, con una serie di pezzi "pugno nello stomaco", sporchi e tesissimi, dalla temperatura politica estremamente elevata (sin dalla cover stessa dell'album).

L'opener Let's Go è un classico assalto speed-metal tipico della maggior parte dei lavori dei Ministry (sullo stile soprattutto di No W, l'opener di Houses of the Molé), dopodiché il lavoro prosegue con la medesima ferocia sulla più cadenzata, e soprattutto industriale, Watch Yourself (che sembra uscita dritta da The Mind Is a Terrible Thing to Taste) e sui rimbombi di Life Is Good (con un assolo chitarristico eccellente verso i due terzi).
L'album si arena, purtroppo, con le successive The Dick Song e title-track, che ripetono gli stessi stilemi delle tre tracce d'apertura, senza variarli di una virgola e anzi perdendo molta freschezza dal punto di vista chitarristico.
Ci pensa il micidiale dittico di No Glory e Death & Destruction (entrambe con grancassa a mitraglia e riffing speed-thrash efferato) a dare una forte scossa all'ascoltatore, che successivamente viene stupito con un'assurda cover di Roadhouse Blues dei The Doors, trasformata in un devastante pezzo speed-thrash dalle influenze blues-southern (ma Jourgensen non è nuovo a questo genere di sorprese, basti ripensare a Lay Lady Lay, la cover di Bob Dylan registrata nel 1996 per l'album Filth Pig) e cantata da Casey Chaos degli Amen.
Chiudono il lavoro i tre brani scritti in collaborazione con Burton C. Bell (vocalist dei Fear Factory) e cantati proprio da quest'ultimo: Die in a Crash, forse il capolavoro dell'album, oltre che probabilmente il pezzo con l'assolo di chitarra più esaltante, la cadenzata End of Days (pt. 1), e l'esteso incubo conclusivo di End of Days (pt. 2), uno dei classici voli psichedelico-metallici lunghi 10 minuti di Jourgensen (basti pensare alla Leper di Animositisomina, o alla Worm di Houses of the Molé).

L'ultimo album di inediti dei Ministry è pregno di tutti i pregi (ferocia, rabbia ben incanalata, maturità espressiva, speed-thrash dalle tinte industriali) e tutti i difetti (dilatazioni eccessive, ripetitività stilistiche, eccessiva ridondanza dei soggetti degli attacchi lirici) delle ultime release a nome Ministry (che, negli ultimi dieci anni, hanno in realtà pubblicato un solo disco davvero rilevante, ovvero Animositisomina), ma è sicuramente un capitolo più riuscito rispetto al suo predecessore Rio Grande Blood, e suona come un addio cruento e senza compromessi, dedicato con passione a tutti i fan "hardcore" della band.
 

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