Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Fredrik Thordendal - Chitarra
- Jens Kidman - Voce
- Martin Hangstrom - Basso, Chitarra
- Thomas Haake - Batteria

Tracklist: 

1. Combustion
2. Electric Red
3. Bleed
4. Lethargica
5. obZen
6. This Spiteful Snake
7. Pineal Gland Optics
8. Pravus
9. Dancers To A Discordant System

Meshuggah

obZen

Dopo Catch 33 sono dovuti passare ben tre anni prima di rivedere i Meshuggah tornare con un altro dei loro massacranti, claustrofobici, distruttivi lavori. Una pausa lunga (comunque negli standard della band scandinava) che però ha portato i suoi frutti, come al solito riempiti, fino all'esplosione, di violenza e acide atmosfere, perchè i Mesh a questo ci hanno abituati e continueranno a farlo, senza rimorsi nè pentimenti. obZen, ovviamente uscito per la Nuclear Blast che da ormai diversi anni cura gli interessi di Thordendal e compagni, si figura così come l'ultimo tratto del tortuoso sentiero intrapreso più di dieci anni fa dai Meshuggah, una strada tutt'altro che rettilinea, bensì avvolta nei vorticosi labirinti di un processo evolutivo in continua trasformazione e che soprattutto non conosce ciò chesignifica la parola "fermarsi": da Contraddiction Collapse e None, dischi basati su un Thrash ancora poco "tecnologico" ma già abbastanza contorto, passando per il capolavoro assoluto Destroy, Erase, Improve del 1995, fino ai più massacranti esperimenti sonori partiti da Chasophere e resi ancora più aspri dalla pesantezza di Nothing e lo sperimentalismo estremo di Catch 33, i Meshuggah si sono contraddistinti nella scena estrema non soltanto per una proposta assolutamente nuova e d'avanguardia, ma soprattutto per la ricerca e la varietà intrinseca di cui ogni episodio della loro discografia è riempito. D'altronde risulterebbe nocivo o perlomeno riduttivo approcciarsi agli ultimi Meshuggah senza avere una chiara idea di come la loro musica si sia evoluta e arricchita in maniera vertiginosa; questo perchè, nonostante tra gli album della prima fase e quelli della seconda scorra un bel mare, il linguaggio compositivo di Fredrik Thordendal (mi riferisco principalmente a lui in quanto mente del gruppo) non hai mai subito sterzate improvvise o radicali cambiamenti, bensì ha proseguito il suo cammino per vie verticali, andandosi ad identificare con un'ascesa stilistica mirata semplicemente ad una vigorosa rielaborazione in chiave tecnologico-futurista del linguaggio primordiale che la band aveva costruito anni addietro.

obZen, a livello puramente concettuale, è una violenta riflessione sulla società moderna, tematica che non viene trattata con la solta retorica da pseudo-ribellione, bensì viene approfondita in maniera fredda e assolutamente lucida: un'allucinata religione dell'osceno (come ben suggerisce il titolo dell'opera) in cui la civiltà occidentale si è calata consciamente, ritrovando la propria essenza in un insano e allo stesso tempo pacato miasma di sangue e oscenità. Un'approccio nervoso e violento al mondo contemporaneo che si ripercuote con altrettanta rabbia sotto forma sonora: obZen si presenta quasi come un proseguimento del precedente Catch 33 di cui vengono riprese la rigidità delle atmosfere, il rigore strumentale e la pesantezza sonora, anche se nella struttura del songwriting si possono notare leggere virate, o meglio, allegerimenti compositivi, per non parlare del modo di disporre il vastissimo riffing all'interno di una forma-concept che in obZen scompare completamente, in quanto il disco segue un andamento normalissimo, ovvero di nove canzoni tra i 4 e i 5 minuti escluse la conclusiva Dancers To A Discordant System e il primo singolo estratto Bleed, rispettivamente di nove e sette minuti, che tra l'altro si inquadrano come i pezzi più riusciti dell'intero lavoro grazie alle opprimenti cavalcate e all'atmosfera chiusa e distorta su cui si basano. Prima sorpresa del disco è il ritorno del grandioso Thomas Haake alla batteria (come tutti già sanno, in Catch 33 l'ossatura ritmica era basata sul fenomenale software digitale Drumkit From Hell da egli stesso gestito), mentre per il resto della line up nessuna foglia si è mossa: Thordendal è sempre lì a gestire il macigno chitarristico supportato dall'onnipresente basso di Martin Hangstrom e dalla voce di Jens Kidman, come al solito instancabile e più rabbioso che mai.
Non aspettatevi da obZen nessun tipo di apertura minimamente melodica nè di pausa strumentale perchè non troverete nulla di questo, nè nelle catastrofiche cavalcate della opener Combustion, nè all'interno delle possenti cadenze della titletrack che raggiunge inauditi picchi di violenza sonora. Le chitarre di Thordendal e il basso di Hangstrom (ovviamente scordati di qualche ottava, come se si trattasse di una normalità) rendono la dimensione del disco terribilmente soffocante e incapace di distogliersi da questa futuristica danza mortuaria in cui, tra plettrate al napalm e martellanti scaricate di doppio pedale, l'ascoltatore perde qualsiasi tipo di orientamento, ritrovandosi immobilizzato in uno stato tra l'ipnosi, la paralisi e il più distorto degli incubi. Electric Red si pone poi come uno studiato connubio della monolitica pesantezza atmosferica di Nothing e i vorticosi intrecci strumentali di Catch 33, qui orchestrati secondo una violenta logica del dolore che rende il brano assolutamente irripetibile, come del resto Pineal Gland Optics, altalena funebre mossa da ritmi sincopati e refrain schizofrenici, l'ipnotica Lethargica e la devastante Pravus i cui innumerevoli spostamenti di accento si combinano ad un riffing ancora più claustrofobico e martellante.

Non una canzone fuori posto, non un passaggio banale, nessun aspetto compositivo prevedibile. Unica caratteristica che manca a obZen è il riff indimenticabile, il fraseggio geniale, la trovata superba che, venendo a mancare, costringe i Meshuggah a rendere ancora più violento e rigoglioso l'arrangiamento strumentale, dirottando lo stile verso inasprimenti melodico/sonori ai limiti dell'inverosimile, figli di un sanguinario e recondito desiderio di radere al suolo qualsiasi tipo di barriera musicale, di rendere cenere tutto ciò che l'uomo ha creato coi secoli. Duole ammetterlo ma obZen è paradossalmente il disco meno riuscito dei Meshuggah nonostante ne abbia parlato così bene per tutta la recensione: si tratta infatti di un lavoro che sotto il profilo strumentale, d'impatto e d'arrangiamento non teme confronti con nessuna opera di metal estremo, ma che a livello di memorizzazione musicale soffre proprio per questa labirintesca complessità formale che ne è alla base e che spesso rischia di diventare dispersiva. Pensate a Catch 33, alle sue impennate ritmiche e ai suoi sconvolgimenti strutturali che comunque riuscivano ad aprire una propria dimensione "melodica" netta e ben definita e che quindi rendeva più spazioso e vasto il raggio d'azione dei quattro musicisti. Nell'album questo aspetto scompare delimitando il disco in un recinto circolare in cui i riff ciclicamente ritornano e si stringono sempre di più, fino a riunirsi in un'inarrestabile corsa verso la più violenta esplosione sonora: è per questo che obZen, al contrario di tutti gli altri dischi (e anche dell'Ep I) non aggiunge e non toglie niente alla dimensione stilistica dei Meshuggah, inquadrandosi così come il loro lavoro, diciamo, più fermo e meno sperimentale, ma innalzandosi allo stesso tempo come araldo ed ultima terrificante esplosione della musica estrema europea. Devastante.

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