Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Genere: 
Etichetta: 
La Tempesta
Anno: 
2010
Line-Up: 

- Emidio Clementi - testi, voce, basso
- Egle Sommacal - chitarra
- Vittoria Burattini - batteria
- Stefano Pilia - chitarra

Tracklist: 

   1. Robert Lowell
   2. Coney Island
   3. Le nostre ore contate
   4. Litio
   5. Ttra la sabbia dell’oceano
   6. Avevi fretta di andartene
   7. La bellezza violata
   8. Invito al massacro
   9. Mi piacerebbe ogni tanto averti qui
  10. Fausto
  11. Via Vasco De Gama
  12. In un mondo dopo il mondo

Massimo Volume

Cattive Abitudini

I Massimo Volume han mantenuto la promessa di un nuovo disco.
Il sottoscritto non voleva crederci e forse c'era da sperare che non succedesse. Ritenevo infatti quell'esperienza unica ed irripetibile, una delle più significative nell'ambito del rock italiano, da custodire gelosamente così com'era, come una vecchia foto. Il timore era che rovinassero tutto perché non sempre con l'età si diventa più saggi, ma ho "avuto fede" in Mimì.

I Massimo Volume, come spesso è stato detto ed è bello ribadire, erano post-rock quando il post-rock qui in Italia ancora non si conosceva ed i testi di Emidio Clementi, con i suoi innesti di realismo, operazioni chirurgiche al cuore aperto di una tradizione letteraria più che canora.
Del resto si sa che Mimì non canta, e in questo Cattive Abitudini ritorna proprio alle sue di abitudini, per niente cattive, al talking asciutto, espressivo più di mille gorgheggi, interrompendo i tentativi dell'ormai penultimo – ed è già storia - Club Privè dove pure si abbandonava a qualche idea di 'cantato'.

I racconti, i pensieri e le confessioni di Emidio Clementi, veri o romanzati, han sempre avuto la capacità di elevarsi dal circostanziato mondo in cui si ambientavano annullando le distanze tra il Pratello ed il resto d'Italia che lo ascoltava (o leggeva), travalicando i confini fisici come solo la buona letteratura può.
Un paradosso per un uomo discreto e ripiegato su quel sè stesso 'artistico' diventare artefice di un processo di identificazione che ci ha spesso coinvolti: i ragazzi della generazione dei Tondelli, di quella dei Nick Cave e dei Wenders, possono capire; intanto, dall'altra parte del mare già cominciavano ad agitarsi gli Slint.
Costruzioni lessicali di una trasparenza iperrealistica: cinematiche. Parole che scompaiono o che si trasformano, che si diluiscono in immagini.
Una canzone dei Massimo Volume è un insieme di fotogrammi di un film che seppur non abbiamo visto, ci ricorda qualcosa.

Nel 2010 i Massimo Volume ritornano con Stefano Pilìa all'altra chitarra, già visto dal 2008 nei loro tour, ed il suono, minimalista e reiterativo, ne ha solo giovato.
Come dice Egle Sommacal, se provaste a sentire un solo canale per volta, le chitarre potrebbero essere singolarmente auto-sufficienti nella struttura dei brani.

La prima traccia prende il nome del poeta americano Robert Lowell, ritenuto un depresso maniacale che scriveva poesie per vendicarsi. La citazione finale sul "monotono sublime" è mutuata da una sua poesia del 1967, Waking Early Sunday Morning. Questo concetto è familiare anche al Leopardi, e Clementi, poeta esso stesso in primis, definisce quindi il mood del lavoro fin dall'inizio: il tempo o l'ossessione del tempo forse, ma non più vissuto in quella condizione febbrile con cui la si viveva in quelle stanze vuote del passato, ma con una sorta di serena rassegnazione e consapevolezza, ancor meglio descritta nella commovente Coney Island, in cui una chitarra descrive onomatopeica "il lamento del tempo". "L'estate non tornerà più da queste parti" dice Mimì, ma senza quella antica disperazione. L'angoscia forse è passata. Resta l'enfasi quasi epica della disfatta, questo si, ma ci pensano le chitarre a descriverla, inanellando circolarità post-rock struggenti alla maniera dei Red Sparowes più onirici o dei Mogwai.
Un altro titolo sottolinea ancora una volta questo leitmotiv, Le nostre ore contate, dove si cita il titolo dell'album, queste "nostre cattive abitudini quasi sempre appagate", scandite inesorabilmente da questo tempo.
Litio è una scossa alle atmosfere finora placide. Le chitarre singhiozzano e si attorcigliano, il basso è nervoso, ''il tempo si è accorciato'': ora sembra fare più paura.

Anche Fausto vive di quella malsana energia, di immagini allucinate, di angeli drogati e di almeno un'altra frase da pesi massimi: "consapevoli che il peso del mondo è un peso d'amore troppo puro da sopportare".
Tra la sabbia dell'oceano e La bellezza violata sono legami forti ai vecchi Massimo Volume, a quel raccontare di personaggi che sembrano sollevarsi nell'aria, stagliarsi di fronte ad un'umanità immobile, impassibile, eroici nella loro solitudine, follia, malattia. Molti sono reali, altri inventati, è il segreto del poeta.

Sicuramente non sono inventati invece il padre di Clementi cui è dedicata Mi piacerebbe ogni tanto averti qui o gli amici e musicisti Manuel Agnelli e Fausto Rossi che hanno brani a loro dedicati in questo album, ma soffermarsi su questo aspetto non aggiungerebbe nessun valore ai brani, autonomi di per sè, universali, come solo la buona poesia sa essere.
Si chiude con Un mondo dietro il mondo, e si riaffaccia Nietzsche ma anche il Wenders di mezzo.

Riaffioriamo quindi da questa immersione, da questa anestesia, piacevolmente avvinti e ringraziamo Mimì e i Massimo Volume per esser ritornati, almeno per un po'.


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