Voto: 
7.4 / 10
Autore: 
Salvo Sciumè
Genere: 
Etichetta: 
DR2 Records/Frontiers
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Andy Pyke - voce
- Dave Martin - chitarra
- Dave Rothan - chitarra
- Tom Dwyer - basso
- Steve Hauxwell - batteria

Tracklist: 

1. The Summoning
2. Razorhead
3. Premonition
4. Headtrap
5. Gods Of Deception
6. Night Terror
7. The Chamber
8. Divides Us
9. Nothing Lasts Forever
10. Devil's Anvil
11. Blood And Pain
12. Another Bullet
13. Bloodlines
14. Hell On Earth
15. Necromancer

Marshall Law

Razorhead

Formatisi nel 1988 a Birmingham su iniziativa del singer Andy Pyke, ricordato per la sua militanza nella cult band della NWOBHM Detroit, i Marshall Law non sono mai riusciti del tutto ad emergere ed imporsi nel panorama musicale, neanche tra gli stessi più accaniti sostenitori del classico heavy metal, genere nel quale da sempre essi si muovono.
Un paio di uscite discografiche di buon livello tra la fine degli '80 e l'inizio dei ‘90, passate quasi del tutto inosservate in un periodo in cui l'interesse per l'heavy di stampo classic e british era fortemente scemato, avevano portato allo split del 1992, subito dopo il loro secondo full-length Power Game. Riformatisi poi verso la metà del precedente decennio avevano visto passare tra le loro fila gente del calibro di Jack Frost, chitarrista tra i tanti di Seven Witches, Savatage e Metalium, o di Lee Morris, batterista di Paradise Lost e Ten, ma tutto ciò non servì loro a farli definitivamente uscire da quel limbo di mezzo che separa la gloria dall'anonimato, ed in cui vivacchiano migliaia e migliaia di più o meno valide band.

Tornano adesso a distanza di nove anni dal precedente Warning From History, con un nuovo lavoro che non rinnega affatto le loro radici fortemente ancorate al classico british metal, ma in cui traspare in maniera evidente un tocco di attualità dato dagli innesti dark e teatrali, unica concessione al lato melodico, che talvolta hanno un taglio quasi industrial, e da quelle venature power riscontrabili oggi giorno in band quali Seven Witches o Morgana Lefay, oltre che in ritmiche all'insegna di un possente e monolitico power/thrash.
Non è un caso infatti che in maniera più o meno velata si rincorrono un po' su tutto il platter le oscure influenze di Judas Priest, Queensryche, Runnin Wild, Crimson Glory, Savatage, Rammstein e Metallica.

Aperto dalla rocciosa e possente title-track, introdotta dal breve preludio strumentale, oscuro e sinfonico The Summoning, Razorhead, questo il titolo dell'ultimo parto discografico dei Marshall Law, contiene ben quindici brani che non intendono distanziarsi troppo dallo stile codificato da quella NWOBHM che è stata la prima passione musicale dei membri fondatori Andy Pyke e Dave Martin, e questo lo si nota benissimo dall'ascolto delle varie The Chamber, in cui traspare l'influenza dei Judas Priest più oscuri, o Devide Us, ma non mancano tuttavia elementi di novità in grado di dare maggior spessore ad una proposta che altrimenti rischierebbe di diventare fin troppo monolitica e pesante. Chiara dimostrazione ne è l'ottima Gods Of Deception, dal taglio decisamente più attuale ed impreziosita (è proprio il caso di dire) dalle suggestive tinte "etereo-dark" dei bridge  e quelle più preistiane dei refrain. Da segnalare poi anche il più epico mid-tempo Night Terror.
Vero anche che l'intero ascolto del disco, peraltro della durata di quasi settanta minuti, rischia di risultare pesante, proprio perché nel complesso rimane, benché puntellato qua e là da spunti interessanti ed azzeccati, un lavoro compatto e monolitico (ancor di più nella parte finale dove si susseguono pezzi potenti e rocciosi come Blood And Pain, Hell On Hearth, Necromancer), ma bisogna anche riconoscere alla band di sapere ben ricreare un'atmosfera di fondo particolarmente intensa, tesa ed ostile che immerge l'ascoltatore nel clima del disco. Buona inoltre la prova della band, ed in particolar modo del veterano singer Andy Pyke, versatile e capace di alternare urla ed acuti ad un approccio vocale ora più teatrale ora quasi futuristico e meccanico.

Razorhead rappresenta una bella prova di carattere per una band che da ben nove anni era lontana dagli studi di registrazione, un disco che, pur presentandosi un po' ostico ed a tratti poco scorrevole, potrà sicuramente piacere a molti amanti dell'heavy metal in senso lato, ma che tuttavia dubitiamo fortemente possa cambiare in maniera consistente le sorti di questa band.

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