Voto: 
6.0 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
GSL/Strummer/Universal
Anno: 
2008
Line-Up: 

- Cedric Bixler Zavala - voce
- Isaiah Ikey Owens - tastiere
- Omar Rodriguez Lopez - chitarra
- Juan Alderete De La Pena - basso
- Thomas Pridgen - batteria
- Pablo Hinojos Gonzalez - manipolazione del suono, chitarra
- Marcel Rodriguez Lopez - percussioni
- Adrian Terrazas Gonzalez - fiati, percussioni


Tracklist: 


1. Aberinkula
2. Metatron
3. Ilyena
4. Wax Simulcra
5. Goliath
6. Tourniquet Man
7. Cavalettas
8. Agadez
9. Askepios
10. Ourobouros
11. Soothsayer
12. Conjugal Burns

Mars Volta, The

The Bedlam in Goliath

Prima di scrivere questa recensione ho riascoltato, dopo diversi mesi in cui l’avevo volutamente snobbato , Deloused in The Comatorium, debutto degli amati/odiati Mars Volta, così da rendermi effettivamente conto di come ed in cosa sono cambiati nel corso dei dischi, delle canzoni e degli anni successivi, per arrivare a questo atteso ma temuto Bedlam In Goliath.

Ho deciso per questo fugace tuffo nel più remoto passato della band perché il loro ultimo lavoro sembra cercare di riallacciarsi ai suoni di un tempo, più diretti, definiti e riconoscibili, ma allo stesso tempo allontanandosene definitivamente, dimenticando il talento di saper circoscrivere belle melodie all’interno di canzoni di 9 minuti e debitrici delle più disparate influenze.

Bedlam In Goliath
parte abbastanza bene, Aberinkula colpisce subito l’ascoltatore in pieno volto con una pugno che stringe tutti gli elementi che hanno contribuito, nel bene e nel male, alla fama di questa band: voce che si impenna verso tonalità femminili, chitarre calde, svelte, sporche ed accattivanti al punto giusto, batteria in piena eruzione che letteralmente scalpita nelle retrovie.
Ma quel pezzo di At The Drive-In che i due fondatori si erano portati con sé per seminarlo nella loro nuova band, è ormai stato consumato e dimenticato, sommerso dalle mitragliate di note che hanno allontanato sempre più Omar e Cedric dal loro glorioso passato.
Le melodie già deboli poco incisive della prima traccia caratterizzano anche la successiva, rendendole ridondanti, enormemente vaporose e dispersive, incapaci di assumere una personalità solida e convincente.
Con il Funky movimentato e nervoso di Ilyena sembra che la band riesca a rimettere a fuoco i propri obbiettivi e meglio organizzare il lavoro di ogni strumento, alleggerendosi di molte divagazioni inutili e noiose. Anche Wax Simulcra prosegue per la medesima strada aggiungendo aggressività ed ulteriore velocità alla formula, riuscendo a stringersi in appena 2 minuti e mezzo di canzone.
Con Goliath, purtroppo, i Nostri tornano a perdersi tra i labirintici ed infiniti boschi della psichedelica progressive, perdendo lucidità ed ispirazione, a favore di un risultato che somiglia più ad una jam session ottimamente suonata cha ad un brano vero e proprio.
Ma ciò che più repelle di questa quinta canzone è la disturbante e spaventosa somiglianza con un pezzo dei Maroon 5 (forse Harder To Breathe) durante i versi, benché in seguito si perda completamente le tracce di questo debole ma fastidiosissimo sospetto.

Tourniquet Man
, primo ed unico lento dell’album, risulta svogliata e dimenticabilissima.

Cavalettas
si accartoccia su sé stessa esibendo sezioni totalmente scollegate le une dalle altre ed avvolgendosi nell’effettistica da studio, ignora completamente ogni struttura per circa 9 minuti e non riesce a rendersi ricordabile o personale neanche per un secondo, perdendosi in una nube di vaghezza e ripetitività.

Arrivati all’ottava traccia, Agadez, sinceramente il tutto inizia a diventare veramente pesante e noioso. L’intero album appare sempre più come un grande calderone all’interno del quale si fatica a distinguere le singole canzoni, tutte espresse attraverso il medesimo prog rock jazzato e funkeggiante, acido, schizoide ed informe, che si mantiene costante per quasi l’intera durata dell’album, senza mai concedere un attimo di respiro all’ascoltatore e permettergli così di assimilare e godere delle molteplici sezioni in cui sono segmentati i brani.

Bedlam In Goliath
prosegue intanto come era cominciato, trascinato da un tornado di note che piovono a vortice colpendo ogni cosa ma non riuscendo a bagnare nulla, fallendo in ogni tentativo di appassionare o stupire, come se i musicisti suonassero solo per sé stessi, dimenticandosi di mettere le proprie capacità al servizio della canzone e stravolgendosi senza coerenza alcuna, saturando ogni spiraglio di silenzio con rumori, suoni, vibrazioni ed addossando strati su strati, risultando tranquillamente inconcludenti e, talvolta, insopportabili.

Una volta conclusosi l’ultimo brano viene voglia di riporre il cd nella custodia per abbandonarlo fino ad (almeno) il giorno successivo, per metabolizzare i mille ingredienti di ogni canzone, ingredienti che, fondamentalmente, danno lo stesso sapore a tutto il disco.
Spuntano qua e là alcune brillanti trovate, ma sono veramente troppo, troppo poche considerata la lunghezza di questo album ed il passato di questa band.

Dimenticate quindi ogni speranza di ritrovare l’eleganza di Eriatarka o la dolcezza di Televators, qui ogni elemento si mimetizza talmente bene con tutto il resto, suonando talmente sopra le righe, talmente fuori i margini, che tutto sembra schiacciato verso l’alto, in un furioso voler dimostrare qualcosa di cui si è persa la vista ancor prima di cominciare.
Purtroppo per i Mars Volta, il metro di paragone rimane ancora una volta Deloused In The Comatorium, questo Bedlam In Goliath si riavvicina alle origini ma la tendenza a strafare è veramente troppo ingombrante.

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