Voto: 
8.1 / 10
Autore: 
Filippo Morini
Etichetta: 
Universal
Anno: 
2003
Line-Up: 

- Cedric Bixler Zavala - voce
- Isaiah Ikey Owens - tastiere
- Omar Rodriguez Lopez - chitarra
- Michael Balzary (Flea) - basso
- Joe Philippe Theodor - batteria
- Jeremy Ward - manipolazione del suono

Tracklist: 


1. Son et Lumiere
2. Inertiatic ESP
3. Roulette Dares (The Haunt Of)
4. Tira Me a las Arañas
5. Drunkship of Lanterns
6. Eriatarka
7. Cicatriz ESP
8. This Apparatus Must Be Unearthed
9. Televators
10. Take the Veil Cerpin Taxt

Mars Volta, The

De-loused in the Comatorium

Julio Venegas si suicidò il 15 Febbraio 1996 dopo essersi risvegliato da un coma causato da, come rivelò parzialmente l’autopsia, veleno per topi che si iniettò in vena. Julio Venegas era un musicista punk-rock e proveniva da El Paso, Texas, cittadina che diede i natali anche agli At The Drive In, band post-Hardcore che dedicò una canzone all’amico scomparso intitolata Embroglio e contenuta in Acrobatic Tenement del 1996. Ma cosa c’entra tutto ciò con il disco d’esordio dei Mars Volta? Evidentemente chi rimase più sconvolto dalla morte del musicista furono proprio Cedric e Omar, rispettivamente voce e chitarra della band autrice di Acrobatic Tenement e del ben più conosciuto Relatiosnhip Of Command, gli stessi che dopo aver militato brevemente nel progetto Dub/Elettronico De Facto, si inventarono quell’ orgia sonora siderale che occupa i megabyte del disco qui recensito. Perché questo De-Loused in the Comatorium è di fatti un concept album che racconta, in prima persona, i sogni deliranti che si presume abbiano attraversato la mente immersa nel veleno di Julio Venegas, prima che si risvegliasse miracolosamente dal coma e decidesse comunque di morire.

Progetto decisamente ambizioso e minato di insidie che avrebbero rischiato di far scivolare questo esordio nel dimenticatoio considerate le enormi aspettative con cui il pubblico attese la sua pubblicazione, dovute ovviamente al fatto di poter finalmente constatare se Cedric e Omar avessero avuto un motivo più che valido per poter abbandonare una band come gli At The Drive In, che finalmente aveva raggiunto il meritato successo internazionale. Difficile dire se i due abbiano avuto completamente ragione, ma ancor più difficile sarebbe dar loro torto una volta iniziato ad ascoltare il disco. Il ronzio di Son et Lumiere ci introduce gradatamente nella jungla di note e suoni che ci attende sconfinata, la voce di Cedric ci accoglie fortunatamente immutata dalla sua ultima prova su disco e dopo una breve catena di frasi, brevi mitragliate di batteria sfondano la parete che confina la prima traccia per catapultarci all’interno di Inertatic ESP. Finalmente le intenzioni della band vengono svelate, e la chitarra filtrata da innumerevoli effetti e distorsioni differenti continua a cambiare timbro e registro, rendendo ogni pezzo che compone la canzone un episodio a sé stante, mentre le tastiere ed il sostegno irrinunciabile del basso vengono guidati da una batteria esplosiva e tecnica, ma mai ingombrante. Il cantante sembra voler parzialmente abbandonare lo stile arrabbiate ed idrofobo che lo rese celebre per attingere da un modello più “settantiano” assolutamente debitore dei Led Zeppelin, scelta azzeccata considerato il (non)genere suonato dai Mars Volta.
Roulette Dares fonde i tempi dispari del Jazz con le sonorità acide del Punk Moderno, ed il suo incedere deciso alternando parti tranquille a cavalcate selvagge spumeggia fino all’intermezzo strumentale totalmente Progressive, che mostra chiaramente quanta confidenza lega i musicisti di questa band con i propri strumenti. Il riff portante del pezzo ricorda vagamente gli At the Drive-In per la sua forza d’impatto, ma la canzone si distende fino a toccare orizzonti lontanissimi dal post-Hardcore, si scompone tra delay e interferenze rumoristiche di sottofondo sulle quali scivolano melodiche ed acute linee di voce.Ennesima particolarità di questo disco è data dalla partecipazione di John Frusciante e Flea dei Red Hot Chili Peppers, quest’ultimo in particolare ha suonato su 9 tracce delle 10 contenute ed è possibile sentire emergere la sua tecnica in Drunkship of Lanterns, pezzo tribale e latineggiante ma allo stesso tempo elettrico e spaziale, mantiene la forma di un Jazz ipervelocizzato e contaminato dalla sensibilità sudamericana dei componenti della band, ma le sperimentazioni effettistiche, la batteria immersa nell’ echo e la voce come sempre tesa come una corda di violino rendono questa canzone un esperienza psichedelica degna di nota.Uno dei pezzi più famosi e rappresentativi di De-loused in the Comatorium è la successiva Eriatarka, che riesce ad esprimersi tramite una forma-canzone più classica, con strofe, bridge e ritornello in crescendo.La chitarra sintetica e fredda che recita il fraseggio di apertura si lascia sopraffare dalla voce di Cedric, che per la prima volta sembra non dimenticare le sue origini e crea linee melodiche degne di nota, orecchiabili ma personali, mentre la batteria lentamente sembra crescere fino al ritornello veloce, carico di adrenalina e di forza trascinante, ma allo stesso tempo così lontano dal canonico quattro quarti del Rock‘n’Roll. Le sperimentazioni qui sono presenti ma molto misurate e la canzone scorre molto rapidamente nonostante la sua discreta lunghezza.

L’abilità della band sembra crescere ancora con Cicatriz ESP, pezzo che supera i 12 minuti ma che si dimostra talmente mutevole ed allo stesso tempo capace di ricucirsi con le “boe” sonore attorno alle quali gravitano schizoidi segmenti d’improvvisazione, che viene ascoltato comunque con interesse e coinvolgimento fino alla conclusine, benché l’intermezzo sperimentale che lo spezza in 2 tronconi possa essere considerato un azzardo da alcune tipologie di ascoltatori. A rientrare negli schemi ci pensa This Apparatus Must Be Unearthed che, come la già citata Eriatarka, decide di non divagare troppo e proseguire dritta a meta, evitando sbrodolate soniche e strumentali di ogni tipo e rivelandosi per quello che è, stavolta scegliendo toni d’espressione meno seriosi e freddi rispetto al solito. Qui infatti si prediligono suoni più noise, sporchi e corposi, senza delay, riverberi o chorus ad arricchire il tutto, ma solo una possente distorsione, una solida linea di voce e tempi forse più “classici” che a volte sono l’unica scelta azzeccata. Si cambia totalmente dimensione con Televators, un pezzo lento e torbido, contenute chitarre elettriche stridono in secondo piano mentre una desolante chitarra acustica accompagna la voce di Cedric, alla quale si affianca un bongo durante il ritornello, morbido ed orecchiabile. Lo scheletro della canzone è quello di una tipica canzone Pop, anche se i fruscii, i rintocchi e le sbavature che contornano la splendida melodia firmano irrevocabilmente a nome Mars Volta.Ciò che ci ricordiamo degli ultimi At The Drive-In torna con l’ultimo pezzo della tracklist, Take the Veil Cerpin Taxt, che non nasconde la sua evidente provenienza da El Paso, se non dietro alla sua durata (quasi 9 minuti). Il basso agile ed una chitarrina Indie Rock movimentano lo spettacolo per circa 3 minuti, prima che l’anima della band infetti anche questo pezzo dilatando stilisticamente e strutturalmente la canzone con un lungo intermezzo nel quale vengono shakerati innumerevoli fraseggi di chitarra e di batteria. L’impronta Prog è evidente anche in questo caso, benché sia ben amalgamata ad una canzone più “terrena” delle precedenti, che si riallaccia alle radici dei due fondatori della band. Ascoltare questo disco è come fare un giro sulle montagne russe da ubriachi, mentre attraverso occhiali 3D si osservano i fuochi artificiali che inondano il cielo notturno spaventando un gruppo di pavoni, che aprono le loro code multicolore. So che questa descrizione non significa oggettivamente nulla, ma serve solo per trasmettere il tipo di immagini psichedeliche, cangianti, dinamiche, astratte e drogate che un disco del genere può generare nella mente dell’ascoltatore.

Qui non c’è nulla di canonico, di convenzionale, ogni canzone sembra essere stata smontata, ricolorata, frullata nell’acido e rimontata dimenticandosi di proposito le istruzioni, usando come collante la semplice sensibilità di ogni singolo musicista coinvolto nel processo. Chi si avvicinerà a questo lavoro pensando di trovare una sorta di At The Drive-In “palestrati” incapperà in un errore madornale: dell’Hardcore di un tempo sono rimaste solo poche manciate di briciole, tutto ora è un oceano di trovate eclettiche ed eterogenee che creano un corpo unico, un’ esperienza a tratti delirante, che sembra perdersi in sé stessa per poi ritrovarsi canzone dopo canzone.Cedric non cerca più di stracciarsi le corde vocali, e benché abbia ovviamente mantenuto il suo acutissimo registro, ha cambiato impostazione e adesso si avvicina molto di più ai cantanti Hard Rock degli anni ’70, utilizzando in modo più maturo la sua voce. Omar, conseguentemente, non si abbandona più agli sferraglianti accordi dissonanti che deflagravano nel singolo One Armed Scissor, ma lascia affogare i suoi inediti virtuosismi dentro vasche di effetti analogici, di stratificazioni soniche, dipingendo aurore fluorescenti nello spazio con l’ausilio di una sola chitarra elettrica e di un straripante e personalissima fantasia. Ovviamente tutto questo, per quanto sia stato accuratamente elaborato e rifinito, lascia spuntare alcuni punti deboli che risultano essere più o meno evidenti a seconda dei gusti dell’ascoltatore. Talvolta le canzoni possono sembrare troppo dispersive, troppo mutevoli, imboccando percorsi illogici che vengono illuminati solo dalla capacità d’improvvisazione e dall’esperienza della band, ma che smorzano un po’ il senso di urgenza che trasmette la semplice e serrata successione di strofe e ritornelli.

Infine ad alcuni potrebbe risultare antipatica la voce del cantante, poco mascolina e priva di tonalità basse, molto somigliante a quella del leader dei Coheed And Cambria. Detto questo, un disco del genere vale sicuramente la pena di essere ascoltato, al di là dei gusti personali, delle mode dl momento e dei pregiudizi portati dal trascorso dei due fondatori: De-loused In The Comatorium è un esperienza musicale unica, talvolta fin troppo personale, ma che rappresenta un nuovo modo di interpretare il Rock moderno, slegandolo dai suoi schemi abituali e lasciando che si sviluppi senza restrizioni, inglobando generi, culture, strumenti e soluzioni totalmente originali che lo rendono oggettivamente prezioso ed imponente.

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