Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Nuclear Blast/Audioglobe
Anno: 
2002
Line-Up: 

- Martin Karlsson - voce, chitarra ritmica
- Kristoffer Sundberg - chitarra
- Lida Emanuelsson - tastiere, pianoforte
- Lucas Gren - basso
- Marcus Bergman - batteria


Tracklist: 

1. Same Face
2. Languish
3. Taint of Shame
4. Mind in Disguise
5. In Debris
6. Ashen Eye
7. Enticed
8. Moulded Pain

Madrigal

I Die, You Soar

La scena metal di Gothenburg si sta negli anni riempendo di gruppi dalle sonorità più disparate. Molti hanno qualcosa da dire, altri riciclano quanto già detto da altri. In quest'ultima eventualità, c'è chi riesce comunque a farlo con classe, riuscendo a trovare lo spunto giusto per personalizzare la propria proposta in maniera tale da non farla sembrare la solita minestra riscaldata... e chi finisce per ripetere i soliti clichè del genere, offrendo una musica ormai stantia e sbiadita. E' il caso dei Madrigal. Formatisi nel 1998, dopo una breve gavetta in cui hanno espresso buone potenzialità arrivano al debutto già l'anno successivo sotto l'egida di Anders Fridén (frontman degli In Flames, nonché ex-Dark Tranquillity: insomma, una raccomandazione non da poco) che mette a loro disposizione i rinomati studio Frèdman per la registrazione e propone il demo alla Nuclear Blast per un contratto. Ma come accade per la stra-grande maggioranza dei gruppi emergenti promettenti, alla fine l'esordio reale non soddisfa le aspettative.
In I Die, You Soar i Madrigal rielaborano, o meglio, cercano di rielaborare il goth nella sua vena più orecchiabile ed easy-listening, ma finiscono per inciampare sui propri passi: quest'esordio non è altro che una manieristica riproposizione di stilemi fin troppo abusati, e che iniziano ormai ad essere strafritti. Un'esecuzione ridondante e stantia che poco ha da aggiungere ad un genere inflazionato e che ha visto esponenti ben più creativi e brillanti, molto poco. Ciò nonostante rimane una produzione curata e ascoltabile, ma non basta: le melodie seppur anche gradevoli in diversi punti, danno spesso l'impressione di essere laccate, e il vocalist Karlsson cerca in tutti i modi di sembrare tragico e depresso a tutti i costi da sortire quasi l'effetto contrario, tanto appare ordinario e prevedibile. Un approccio del genere si potrebbe perdonare per un album d'esordio, priviligiando gli aspetti positivi (come certe melodie piacevoli ed alcuni pezzi piuttosto godibili) e stimando il potenziale mostrato. In fondo si parla di un gruppo ancora giovane, che deve maturare. Ma i Madrigal falliscono nel reggere alla durata di un intero full-lenght, addirittura tenendo conto della sua breve durata, soli 34 minuti. Come primo album è molto ripetitivo, e la ridondanza di sonorità trite e ritrite prende spesso il sopravvento, tramutando il disco in una prova piatta, opaca, in cui i Madrigal iniziano precocemente a denotare una determinante carenza di idee.

Subito Same Face mette in mostra quali sono le coordinate dell'album: melodia, malinconicità, atmosfera... ma manca l'originalità. Alcuni filtri vocali promettono una prestazione interessante per la parte canora, ma il loro uso sembra alquanto fine a sè stesso, tradendo un intento di cercare a tutti i costi determinate sonorità pre-confezionate. Languish è un brano maggiormente interessante grazie ad un'interessante introduzione fatta di cupi giri di chitarra clean e una serie di riff accattivanti. Ma quelle note di tastiera messe qua e là sono fin troppo scontate. Mind in Disguise fa capire come i Madrigal abbiano un buon gusto per le melodie, ma mal sfruttato e sommerso dagli stereotipi del goth. Ormai però quel poco che i Madrigal avevano da dire l'hanno già detto, perché con In Debris il gruppo svedese inizia a riciclare anche sè stesso, finendo per stancare e annoiare. Ed a questo il disco procede per inerzia: già con la successiva Ashen Eyes non si aggiunge nulla al disco (non che gli altri brani avessero aggiunto qualcosa), mentre Enticed scorre anonima, ricalcando i medesimi riff e giri di note delle altre canzoni. Prova a variare un po' gli schemi la conclusiva Moulded Pain, con un inserto di string simil-classicheggiante e alcune growl vocals, ma sono elementi che in senso assoluto sono stati già detti e ridetti plurime volte da molti altri gruppi, e che i Madrigal non fanno che ripetere in maniera pomposa. Apprezzabile l'aggiunta di questi spunti rispetto agli altri brani dal disco (inoltre la canzone si lascia ascoltare volentieri), ma nulla per cui gridare al miracolo.

Insomma, ci saranno dischi migliori di questo, e il fatto che dopo questo esordio il gruppo è praticamente sparito è indicativo, ma non ci sentiamo di bocciare pesantemente I Die, You Soar, anche per l'attenuante dell'inesperienza del gruppo. Come disco d'esordio è complessivamente quasi sufficiente, seppur diverrebbe anche totalmente mediocre se fosse inserito nella discografia di complessi gothic metal ben più rilevanti e significativi. Consigliamo l'ascolto di questo disco solamente agli appassionati del goth melodico che cercano un disco orecchiabile e sentimentale senza troppe pretese per il resto, ai quali è molto probabile che i Madrigal, con il loro debutto emozionale e godibile, piaceranno. Chi cerca qualcosa di più creativo e originale non troverà molte soddisfazioni.

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