Voto: 
8.5 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Projekt
Anno: 
1995
Line-Up: 

- Michael Van Portfleet - Chitarra, Voce
- David Galas - Tastiere, Sampling

Tracklist: 


Disc 1:
1. A Presence in the Woods
2. Wandering Soul
3. The Dust Settles (Part 1)
4. Sleepless
5. The Dust Settles (Part 2)
6. The Return of Nothing
7. The Dust Settles (Part 3)
8. Pray
9. The Better Things to Come
10. On the Horizon
11. Where Has All the Time Gone
12. Silence and Distance
13. Anywhere But Home
14. In The Fire and Flames
15. Slip Away
16. The Last Day

Disc 2:
1. August (Part 1)
2. Nine Hours Later
3. Nimble
4. August (Part 2)
5. The Facade Fades
6. Resigned
7. Surrender
8. These Memories Pass
9. The Burning Circle
10. The New Day

Lycia

The Burning Circle and then Dust

Inquietudine è essere coscienti del mondo e del fatto che ogni singola strada, seppur retta, è un labirinto interminabile.
Se riuscissimo a tradurre a parole le chitarre di Michael Van Portfleet, il risultato sarebbe questo, nient'altro che questo. Limbo di nostalgie e di onirici tormenti, la musica dei Lycia è forse quella che maggiormente esprime tale stadio interiore dell'essere umano moderno. La perdizione, il distacco e il vuoto non sono più effimere comparse della vita quotidiana, ma i suoi reali interpreti, le sue tautologiche espressioni. Van Portfleet ha immaginato tutto questo come un interminabile cerchio arso dalle fiamme, al cui termine, quando i venti e le tempeste si sono tristemente esaurite, tutto viene avvolto dalla polvere, simbolo del fuoco spento nonchè della vita ammutolita e di tutto ciò che muore, non perdendo comunque il suo senso intrinseco.

The Burning Circle and then Dust. Un disegno immaginario che, come tutte le creazioni dell'artista statuintense, ha molto del filosofico e del visionario, proseguendo sulle quelle coordinate già saldamente tracciate dal precedente e insuperabile capolavoro A Day in the Stark Corner (1993). Una continua discesa nelle stanze più buie e profonde dell'animo umano che Van Portfleet dipingerà con estro e particolarità sempre crescente: se infatti nelle prime due opere Wake e Ionia (1991) il linguaggio espressivo di Lycia risentiva ancora troppo di certa dark wave tormentata e magnetica (Joy Division, Bauhaus, The Cure, The Sisters of Mercy), a partire dalla già citata perla del '93, l'atmosfera e l'intero approccio compositivo cominciano a dissolversi e a svanire sotto forma di echi e riverberi interminabili e strazianti, dando vita ad uno dei linguaggi musicali più affascinanti e commoventi di sempre.

Ed è appunto con The Burning Circle and then Dust che l'insondabile segreto interiore e la magia creativa di Lycia raggiungono il loro apice espressivo, principalmente per due motivi: da una parte le influenze del dark ottantiano si alleviano per far posto a dilatazioni cosmiche e a sapori sempre più onirici, placando in qualche modo i tormenti e i dolori preesistenti per trasformarli in un'inquietudine alienata e ipnotica, dall'altra il raffinamento e la pulizia stlistica rendono la massa sonora un'atmosfera autosufficiente capace di brillare anche senza il supporto di arrangiamenti troppo "pieni".
Tutto è più ordinato, come se trattenuto, ma quell'irrefrenabile senso di inquietudine perdura senza sosta, dispiegandosi col tempo (quasi due ore di musica suddivise in due dischi) in tutto il suo splendore evocativo.
Le melodie che Van Portfleet disegna sembrano scavate nel vento, così che ogni singolo spostamento d'aria possa mutare il volto di questa inafferabile creatura: gelosamente The Burning Circle and then Dust conserva al suo interno misteri reconditi che lentamente vengono svelati, canzone dopo canzone, in una danza metafisica, quasi rituale.
Dagli inquietanti arrangiamenti di A Presence in the Wood e The Dust Settles (divise in tre parti separate) che a tratti sembrano rievocare la cupezza e lo smarrimento di A Day in the Stark Corner, fino a quelli più ipnotici di Wandering Soul, Sleepless, e della commovente The Return of Nothing, il primo disco si slega in continue evoluzioni sonore ed atmosferiche ricordando ora la wave più distorta e nichilista (il malessere di Joy Division e Bauhaus) ora quella più sognante e mistica di Cocteau Twins (On the Horizon) e di gran parte del dreampop/shoegaze di fine anni '80.

Ciò che però realmente colpisce di questo disco è il suo inaspettato proiettarsi verso melodie più aperte e solari: Pray, nel suo scorrevole andamento, ci mostra così un Van Portfleet completamente diverso, travestito in un alter-ego emotivo "religiosamente" abbagliante. Ma questa pantomima illuminata dalla fede e dalla speranza, seppur prolungata dalle morbide sonorità di The Better Thongs to Come e Where Has All the Time Gone, non ha la forza di resistere a ciò che l'animo di Van Portfleet realmente nasconde, ovvero la perdita del contatto col mondo e lo smarrimento personale, discorso che nel secondo disco trova conferma con le stupende note di August (sia la Part 1 che la Part 2 sono due gioielli) e Nine Hours Later, più veloce e contratta delle altre canzoni, caratterizzate per di più da un andamento disteso e riverberato (la meravigliosa Nimble) a volte quasi angelico (Surrender), che prolunga l'alienazione emotiva (il piano e le tastiere della psichedelica Resigned) ed esaspera l'assenza di qualsiasi costrizione, legge o canone compositivo.
Malinconico e struggente è invece il finale del disco, dapprima con l'ambient soffuso e avvolgente di These Memories Pass, poi con le dilatazioni melodiche della stupenda The Burning Circle e infine con The New Day che si discosta dall'astrattismo precedentemente messo in mostra da Van Portfleet per esprimersi attraverso un riffing limpido e misterioso che implode in un diminuendo conclusivo da brivido.

Sarà per la sua mastodontica imponenza, sarà per il suo incorregibile senso di organicità compositiva e cromatica che manca nei precedenti album, The Burning Circle and then Dust viene considerato, un pò a torto e un pò a ragione, l'emblema nonchè il capolavoro ultimo di Lycia. Classifiche e ordini di preferenza saranno tralasciate d'istinito, perchè di fronte a creazioni del genere, davanti a opere così grandiose e splendenti, non si può far altro che rinchiudersi in un silenzio mistico e meditativo. Perchè quando la musica diventa puro rapimento emotivo, non esiste antidoto per fermarla.
Perchè quando la valle vuole continuare ad ascoltare l'eco, allora quell'eco continuerà a riprodursi per sempre.


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