Voto: 
9.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Genere: 
Etichetta: 
Projekt
Anno: 
1993
Line-Up: 

- Michael Van Portfleet - Voce, Chitarra, Tastiere, Programmazione
- David Galas - Tastiere, Programmazione

Tracklist: 

1. And Through the Smoke and Nails
2. Pygmallion
3. The Body Electric
4. Wide Open Space
5. The Morning Breaks So Cold and Gray
6. The Remnants and the Ruins
7. Goddess of the Green Fields
8. Everything Is Cold
9. Sorrow Is Her Name
10. Daphne

Lycia

A Day in the Stark Corner

Le parole e i suoni sono fantasmi che si dissolvono nella nebbia. Poi un soffio di vento a trasportare quel fumo onirico sempre più vicino al cielo, sempre più vicino alle tenebre. Dall'alto, finalmente, la pioggia comincia a scendere lenta, come se avesse paura di farsi male, e l'incanto comincia.

"Looked straight from afar then stared at the ground
The blood in the veins trips the heart and the days
Not long ago it seemed promising, but it's changed
Now it's all passed but the ghosts and the laughs
and the remnants of this all
Dismissed by the lack of an honest reply
the truth rips it bare and exposes, denies
What little there was became faded and bound
The rains from the heavens never reached"


E' il 1993. Mikael Van Portfleet, dopo due anni - periodo di tempo successivo alla pubblicazione di Ionia (1991) - passati a raccogliere e immortalare i propri incubi e i propri deliri emotivi, riabbraccia chitarra e sintetizzatori e si mette a lavoro per una nuova creatura targata Lycia. Una creatura che finirà per diventare la più grande confessione esistenziale e musicale di Van Portfleet e una delle più affascinanti incarnazioni del dark degli anni '90: A Day in the Stark Corner.
E' la prima vera opera "matura" di van Portfleet, la prima perfetta espressione di quel suo linguaggio che nei precedenti Wake e Ionia ancora si dimostrava troppo legato alle soluzioni stilistiche e all'atmosfera della wave ottantiana; da quei punti di riferimento (Joy Division, Cocteau Twins e Dead Can Dance in primis) il linguaggio Lycia è lentamente venuto fuori, per poi evolversi in uno stile unico, ricercato e dannatamente suggestivo.

Dark wave, dream pop, gothic, kosmische: A Day in the Stark Corner perfeziona splendidamente la grande alchimia stilistica di Van Portfleet, spingendola verso territori prima d'allora impensabili per un genere come il dark che aveva - pochi anni prima - visto tristemente concludersi il proprio periodo d'oro. Con l'entrata in pianta stabile del tastierista David Galas il progetto Lycia matura a vista d'occhio, rendendo quasi imbarazzante il distacco concettuale e compositivo tra i primi album e A Day in the Stark Corner: tutto l'insieme strumentale viene qui smussato e trasformato in un'alienante danza atmosferica, sempre più agghiacciante, sempre più commovente. A perfezionarsi infatti non è solo l'aspetto stilistico del progetto ma soprattutto la sua sconvolgente forza melodica ed evocativa che, ad ogni canzone, si tramuta in una lisergica danza di chitarre ultra-riverberate e fumose cornici elettroniche di sottofondo su cui si impone, in tutta la sua angosciante essenza spettrale, la voce d'oltretomba di Van Portfleet.

Provenienti da un mondo sotterraneo e nascosto (nient'altro che l'animo, contorto e inquieto, dello stesso compositore statunitense) le atmosfere di A Day in the Stark Corner si dissolvono in catarsi gotiche dai poteri emotivi sovrannaturali, in grado terrorizzare e al contempo di toccare l'ascoltatore nel più profondo del cuore, anenestetizzando la percezione sotto i colpi di un'inquietante pioggia sonora. And Through the Smoke and Nails è il primo, fragile sussurro di questo tenebroso viaggio nella desolazione e nello sgomento: come il titolo del brano suggerisce, a verificarsi è il vero e proprio "aprirsi" del fumo di cui A Day in the Stark Corner è interamente costituito, è il mite diradarsi di quella nebbia in cui si nascondono lente litanie e melodie evanescenti cariche di spleen e inquietudine. Elegante e meno sgraziato dei suoi predecessori nelle costruzioni strumentali (che qui raggiungo livelli di raffinatezza che solo il successivo The Burning Circle and then Dust sarà in grado di perfezionare ulteriormente), A Day in the Stark Corner è un'interminabile susseguirsi di gioielli e suggestioni ultraterrene; ne sono esempio Pygmallion e le sue inaspettate aperture ariose, il capolavoro The Body Electric che scivola via in uno straziante dramma atmosferico, o ancora Goddess of the Green Fields, tra gli episodi più inquietanti dell'intero disco, e Sorrow Is Her Name, agghiacciante ballata mascherata da canzone d'amore.
Morente e dilaniato, Van Portfleet proietta la sua creatura in uno slancio onirico in cui ogni forma perde consistenza, in cui i suoni sembrano provenire da una dimensione sconosciuta e remota pervasa dalla più penetrante delle malinconie, dalla più profonda delle tragedie umane: The Remnants and the Ruins, nel suo ipnotico intreccio di voce e arpeggi riverberati, si erge ad assoluto emblema dello smarrimento interiore di Van Portfleet, esasperandone l'inquietudine in una musica agghiacciante e misteriosa, molto più tetra di quella che invece costituisce l'ossatura di The Morning Breaks So Cold and Gray e Wide Open Space, episodi maggiormente dilatati e sognanti, o ancora di Everything Is Cold, altrettanto ipnotica ma priva del suo criptico fascino.

E infine, mentre la realtà continua a dissolversi in immagini frammentate e sbiadite, ecco sorgere dalle ceneri l'ultimo capolavoro Daphne, che in un trascinante flusso onirico di chitarra e tastiere ambientali chiude A Day in the Stark Corner raccogliendone per l'ultima volta lo struggente potere evocativo e amplificandone atmosfere e stati d'animo in una sognante perla di malinconia, perfetta conclusione di un'esperienza altrettanto tragica e toccante.
Indiscusso capolavoro nella discografia di Van Portfleet e insostituibile pietra miliare del nuovo corso dark wave degli anni '90, A Day in the Stark Corner è uno dei dischi più intensi, profondi e mesmerizzanti che la musica contemporanea abbia mai conosciuto nella sua interminabile storia, proprio perchè frutto delle tenebre più nascoste dell'essere umano, perchè confessione della sua anima dilaniata. E si sa, quando l'uomo vuole realmente mettere in musica la propria sofferenza, quella più radicata, quella più tristemente sincera, quasi sempre a venire fuori sono capolavori. A Day in the Stark Corner lo è, e per sempre lo sarà.


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