Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Etichetta: 
Sub Pop
Anno: 
2011
Line-Up: 

Low:
    Alan Sparhawk: voce, chitarre, percussioni, cori
    Mimi Parker: voce, cori, percussioni
    Steve Garrington: basso, organo, pianoforte

Guests:
    Nels Cline: chitarra, lap steel guitar
    Chris Price: tastiere
    Ryland Steen: percussioni
    Caitlin Moe: violino
    David Carroll: banjo
    Cyrus Sparhawk: cori
    Hollis Sparhawk: cori

Tracklist: 

1. Try to Sleep – 4:20
2. You See Everything – 4:08
3. Witches – 4:03
4. Done – 2:55
5. Especially Me – 5:29
6. $20 – 4:12
7. Majesty/Magic – 4:14
8. Nightingale – 4:59
9. Nothing But Heart – 8:12
10. Something's Turning Over – 3:20

Low

C'mon

Esiste una band di stonegazers, i True Widow, che con il loro album di quest'anno smuovono melmosi fondali doom-sludge ma lo fanno con il passo onirico dei Low e con il medesimo senso di sospensione; esiste il cantante di una tra le più famose rock band di sempre, Robert Plant, che l'anno scorso ha deciso di rifondare la Band of Joy radunando dei fuoriclasse per intraprendere il suo percorso nell' 'Americana' ed ha finito per coverizzare ben due brani da The Great Destroyer, (Silver Ride, in cui c'è ancora qualche traccia di tradizione e Monkey, ancora più dark e spettrale dell'originale, alla faccia dell'Americana!).

 

Questa premessa è sufficiente a far comprendere quanto la band di Duluth, Minnesota, come Bob Dylan, abbia colonizzato l'inconscio musicale non solo di generazioni ad essa successive, ma anche di quelle precedenti e ciò fa sì che i Low entrino di diritto nella storia del rock, occupandone tra l'altro un capitolo importante e particolare, quello che fa da ponte tra lo slowcore - di cui potrebbero sembrare gli unici a portarne ancora alto il vessillo - e le radici. E questo di conseguenza implica ancora un'altra cosa: lo slowcore non è più rappresentativo dei Low. Non è un controsenso e non si cerchi il paradosso: i Low ormai fanno genere a sè.

 

Usciti dall'elegia della lentezza mai fine a sè stessa, oggi i Low con C'mon raggiungono uno stato di consapevolezza tale da potergli permettere visioni più pacificatrici ed un ritorno a degli 'standards' dopo che il mondo ha visto gli ultimi loro albums con occhi un pò diversi. Con questo non si vuol dire che i Low non siano più raccolti su sè stessi, anzi, forse è proprio il contrario, solo che questa volta son capaci di farlo restando leggeri anche quando vogliono esprimere un certo disincanto, un distacco o un senso di delusione; C'mon è un album meno cinico, meno amaro.

Veleggiano verso i mari aperti della tradizione classica i Low, non snaturandosi mai e preservando quella loro dimensione di serenità chiaroscurale, di eterea inquietudine, di ipnotici incantesimi, fatali quando le voci dei coniugi Sparhawk/Parker si intrecciano.

Le magie queste volta si chiamano Witches ed Especially Me, ma anche l'allegro carillon di Try To Sleep, i richiami Cocteau Twins di You See Everything, la dichiarazione d'amore dolente di $20, il fascino antico di Nightingale sono magici.

 

L'album è stato registrato a Duluth in una chiesa sconsacrata adibita a studio, la stessa in cui è stato registrato Trust, e vede la presenza tra gli altri di Nels Cline dei Wilco alle chitarre e dei due figli della coppia nel coro finale di Something's Turning Over.

A quasi diciotto anni dal primo album, sapere che in giro ci sono ancora i Low e la loro musica mi rassicura.

 

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