Voto: 
5.8 / 10
Autore: 
A. Giulio Magliulo
Etichetta: 
Nostril Records
Anno: 
2013
Tracklist: 

1. Mithridate

2. They Didn't Seem Miserable

3. As If I Had My Tongue Into The Gutter

4. Nebula In Sagittarius

5. A Legion Following A Sheperd With No Eyes

6. The Crown Of Solomon John

7. Nails

8. Spiral Of Destruction

9. Hämara

Locust of the Dead Earth

Mithridate

Dopo il debutto acustico dello scorso anno con il monicker Mandrax Icon ritorna il portoghese Márcio da Cunha con il progetto Locust Of The Dead Earth.

Completamente diverso dal precedente, essendo  composto da tracce che risalgono ai suoi antichi amori per una sperimentazione decisamente più radicale rispetto all’alt-folk con cui ci ha deliziato lo scorso anno, Mithridate rappresenta una possibile soundtrack per amanti delle atmosfere oscure e siderali ma psichedeliche.

La traccia omonima che apre l’opera con un arpeggio è contrappuntata da lenti accordi doom distesi su un tappeto di bave cosmiche di natura analogica ma l’assolo di elettrica che squarcia l’atmosfera immobile poi svela le intenzioni del nostro: costruire una ambient music con materiali di risulta.

La seconda traccia They Didn't Seem Miserable procede fiera secondo i canoni del post-core positivo alla Pelican, ma a differenza di quella scuola di pensiero, comunque tendente alla saturazione, qui si vuole mantenere uno scenario scarno, lo-fi in un certo senso, e al di là delle voci celestiali o dell’assolo acido alla Ben Chasny, è la reiterazione minimalista degli Earth a prendere il sopravvento.

Con As If I Had Thrown  My Tongue Into The Gutter ci si trova ancora in uno spazio vuoto, riempito solo dalla chitarra elettrica solista riverberata e tremolante, come se i Calexico o i Sacri Cuori si ritrovassero di colpo senza i loro abituali punti di riferimento e perfino il beat che detta il tempo viene completamente sovrastato fino a scomparire, per poi ritornare in evidenza sul finale in glitch mode.

Le onde analogiche di Nebula In Sagittarius sono riconducibiliad un kraut/psych spaziale tanto Tangerine Dream nei suoni quanto Pink Floyd – quelli più cosmici - per isolazionismo e drammaticità; il peccato è che  per mantenere il suo asset minimalista a tutti i costi il brano sembra incompiuto lasciando così a metà delle buone intuizioni che se sviluppate avrebbero potuto raggiungere livelli di epicità ben più interessanti.

L’ oscuro drone presente in A Legion Following a Shepherd With No Eyes viene mitigato da screziature di chitarra e disturbi di elettronica vintage che non aggiungono nulla di avventuroso all’album che ormai sembra assestarsi su coordinate ben stabilite e la chitarra lamentosa e slideggiante di The Crown Of Solomon John, nonostante confermi la bontà armonica di Márcio da Cunha come chitarrista, sembra darci ragione: questo soliloquio elettrico, se immaginato in acustico, potrebbe essere parte del suo repertorio sotto nome Mandrax Icon.

Poiché il materiale che compone quest’album risale a diversi periodi e non è stato rimaneggiato più di tanto, si può notare forse una mancanza di omogeneità che se da un lato può dar l’idea di un assemblaggio raffazzonato dei materiali, dall’altro rivela una spontaneità fuori dal comune ed in più evita momenti di vera noia. Questa considerazione è legata ad episodi quali Nails in cui l’eccessivo minimalismo della traccia è più agevolmente ricollocabile in un’estetica glitch che comunque non sembra essere per il nostro una priorità rispetto all’economia dell’intero album.

Spiral Of Self Destruction è cosmic jazz nell’era del drone, ma questo è ammettere di non avere una vera direzione da seguire e l’idea di forzatura sembra purtroppo irrobustirsi sul finale che è affidato ad Hämara, ultima rifrazione di indecisioni tra il vuoto cosmico ed il pieno elettrico di un artista decisamente complesso che ha forse bisogno di qualcuno dall’esterno – un produttore, una band? - che lo aiuti a dare un senso compiuto al suo lavoro. Non si può insomma fare un album bello come Mary Climbed the Ladder for the Sune poi giocare a fare il Robert Fripp degli anni ’10.

Più che occasione mancata quindi, vogliamo vedere quest’album come una possibile esperienza che potrebbe dare in seguito frutti ben più succosi a condizione di ‘lavorarci sopra’ a questi bozzetti d’artista.

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