Voto: 
6.8 / 10
Autore: 
Gabriele Bartolini
Etichetta: 
Merge
Anno: 
2011
Line-Up: 

 

Wesley Patrick Gonzalez - Voce, chitarra
Sam Pillay - Basso
Darkus Bishop - Batteria
Tracklist: 

 

1. In Dreams Part II
2. If I Keep On Loving You
3. In The Suburbs
4. Bad Mammaries
5. Dear John
6. For My Mother
7. I'm So Lazy
8. There's A Rockstar In My Room
9. I Forgot
10. I Am Useful
11. I Will Not Give In
12. Getting Rest
Let's Wrestle

Nursing Home

Secondo disco in studio per i Let's Wrestle, gruppo inglese con base a Londra. Li avevamo lasciati a scorrazzare per la strada. Li ritroviamo invecchiati, ma con lo stesso spirito. E, credetemi, ciò che conta alla fine è proprio questo. L' affascinante, divertente e davvero unico trio( parole di NME, non mie) da sfogo ancora una volta ai motivetti straccioni, citazioni ad altri gruppi( quella In The Suburbs che pare una presa per i fondelli ai danni di Arcade Fire...) e un songwriting ricco di ironia e coraggio. In origine( tralasciando demo e tributi vari) fù In The Court of Wrestling Let's: istrionico album composto da ben sedici tracce e strutturato in modo particolare( era infatti suddiviso in singoli, prima di essi vi era un brano di interlude). We Are The Men You'll Grow To Love ci mise poco ad entrare nella testa degli sfegatati del genere, e dietro di questa tracce sorprendenti. Le coordinate? Immaginate dei Los Campesinos! in line-up base ( voce-chitarra-basso-batteria), con meno ritmi in testa ma con la melodia giusta al posto giusto. Si suona invece essenziali in casa Let's Wrestle: le tastiere non esistono, i mixaggi non sono nemmeno immaginabili.

 
Viene eseguito essenzialmente allo stesso modo Nursing Home, anche se qualche cambiamento ci deve essere, per forza. Innanzitutto da annotare l' abolizione di tracklist particolari, che non fanno perdere imprevedibilità ai brani ma, anzi, l' attenzione non scema mai grazie alla scomparsa dei vari intro per la maggior parte strumentali che contribuivano solo a staccare tra una traccia e l' altra, proprio come in un live. L' abilità negli strumenti è migliorata, e con questa anche la qualità complessiva del disco, che scende, come loro ci hanno abituato, a compromessi tradizionalmente pop - includendo i cori che fanno parte dell' atmosfera che il gruppo evoca insieme al basso - ed a canzoni tutte sudate, cariche a loro modo di una forma di rock d' albione, fattore fondamentale che li distingue dai contadini gallesi citati prima, che di altri ascolti si cibano. Sembrano persino più adulti, e a testimoniarlo non è pronta solo l' anagrafe: lo sfoggio degli strumenti in diversi casi stupisce, esempi dove l' ovvia puerilità nel ritornello lascia spazio a riverberi ripresi dal fuzz più duro. Non mi dispiace vedere confermata inoltre è la confusione, presente in ognuna delle note suonate, sporche e scoordinate. La produzione invece sembra andare controcorrente, visto che le tracce prodotte non sono più di bassa qualità, anche se questa scelta non influenza molto il mood dell' album.
 
Si parte con In Dreams Part II, che ai punti pareggia con My Arms Don't Bend That Way, Damn It!( opener del primo album), dal tiro maggiormente classico ma più sfilacciata nel complesso dei due minuti e mezzo. Le tracce assumono un attitudine punk non riscontrabile nell' altro disco, e qui riversata in canzoni come If I Keep On Loving You e Dear John, ricche di quella verve che il trio andava cercando anche nel disco d' esordio che mai in verità era riuscita a trovare ma solo a sfiorare con i singoli We Are The Men You'll Grow To Love e Song for Old People e qui ribadite da In The Suburbs, dal tiro migliore delle altre due. Ascoltati( e recensiti) a così poca distanza mi ricordano i Telekinesis di 12 Desperate Straight Lines, che sembrano stufarsi presto dell' acustica, passando in pochi passi ad un rock spudorato: proprio quello di Bad Mammaries, I Forgot e There's A Rockstar In My Room, la più positiva delle tre. Che cosa è rimasto poi? Il pop, stonato e insistente, nervoso e sempre pulsante, qui riversato sotto forma di For My Mother e I Am Useful( dove si chiama in causa la bella Toscana), stupenda chicca da non farsi mai mancare se si è in cerca del fattore indie. Ultima ad essere incisa è Getting Rest, composta solo da una chitarra acustica più un organo e già pronta per venire scelta come sigla di O.C. e affiliati vari.
 
Gli ingredienti non sono cambiati, e quindi sembra logico che dal pentolone sia uscito lo stesso risultato. Ovvero un indie/rock febbricitante, sempre pronto a schizzare in minuti di rock n' roll sfrenato e buono per ogni palato. Il voto lievita leggermente per il modo con cui si sono ripresentati a questo atteso secondo appuntamente. Sicuri di sè, spigliati e fieri di stonare. Nursing Home, nuovo atto positivo quindi, alla faccia di quella moltitudine di suoni vintage da cui l' indie stà ripetutamente pescando.
 
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