Voto: 
8.2 / 10
Autore: 
Goddamn Elettric
Genere: 
Etichetta: 
SubPop
Anno: 
1993
Tracklist: 

1. The River Rise
2. Borracho
3. House A Home
4. Kingdoms Of Rain
5. Carnival
6. Riding The Nightingale
7. El Sol
8. Dead On You
9. Shooting Gallery
10. Sunrise
11. Pendulum
12. Judas Touch
13. Beggar's Blues

Mark Lanegan

Whiskey for the Holy Ghost

Mark Lanegan è un personaggio singolare, veramente. È co-leader della formazione più sottovalutata degli anni ’90 (gli Screaming Trees), è leader della Mark Lanegan Band (oggetto di culto) e canta per la formazione che ha raccolto le ceneri dei Kyuss e le ha trasformate (i Queens of the Stone Age di Josh Homme, secondo chitarrista degli Screming Trees alla fine della loro carriera e chitarrista dei Kyuss stessi). Ma prima di essere onnipresente in tantissimi dei dischi di qualità che, prima o poi, capiteranno sulla vostra tavola, era solo un ragazzone americano con un serio problema di droga, dei fantasmi ingombranti da scacciare e con una voce che è un fortunato mix fra Morrison-Waits e Cave. Troppa grazia direte, ma è così.
Nel momento stesso in cui quel fenomeno del Grunge stava mietendo vittime, Lanegan ne preannuncia la fine alla sua maniera: chitarra e voce, album dalle atmosfere pacate ed estremamente ombrose, tanto Blues nel modo di pensare, tanto rock come effetto.
Sono tredici le tracce di questo bellissimo disco, probabilmente uno dei migliori usciti dalla penna di Mark (anche se lui non l’ammetterà mai), per quanto la sua bellezza si basi su una disperazione tremenda ed opprimente.

L’inizio è pacato, quasi una ninna-nanna, una canzone tutto sommato dolce, leggera, proprio come dice il titolo The River Rise. L’intro presenta un fischiettio che, pur con le dovute distanze, riprende il filone dei "fischiettatori": Lennon in Jealous Guy e Otis Redding in Sitting….
Ma è la seconda canzone che non lascia prigionieri: Borracho. Fondata esclusivamente sulla catarsi creata dalle due chitarre elettriche e da un Lanegan in perfetta forma vocale. La voce sottolinea perfettamente la canzone, bruciando le parole e agognando contro quei demoni che affliggevano Waits nei suoi primi dischi.
House a Home è una canzone leggera, forse la più leggera del lotto. Traccia che scorre molto bene, con il violino di Kreuger che interviene per sottolineare i passaggi e donargli delle sfumature emotive graditissime. Forse più Blues nello spirito che nella proposta strettamente musicale.
Se le prime canzoni avevano trasportato Cave e Waits a Seattle, adesso è il turno di Cohen. Kingdoms of Rain è struggente, giocata solo con organo e chitarra acustica. La voce di Lanegan diventa profonda e accompagna l’ascoltatore ma non trasmette bonarietà, semmai un rammarico, una tristezza plumbea. Ma non cade mai nella disperazione. Molto intimista come canzone, trasporta un certo sapore anni ’60 East Coast nel ventre della Seattle anni ’90.
Carnival presenta un incedere più spedito, gestito ottimamente dal violino di Kreuger e dall’accoppiata contrabbasso-batteria. Lanegen si presenta come bonario affabulatore, ma i temi trattati non sono mai allegri o spensierati.

La canzone più lunga del lotto è Riding the Nightingale, song malinconica e molto struggente. Forse questa è la traccia che più di tutte ha in sé i semi dello sviluppo futuro; questo incedere dolente sarà ripreso in Scraps at Midnight e sarà analizzato anche in alcune tracce di Field Songs (anche se in forma più Folk). È una canzone che ha una strana presa sull’ascoltatore, come se "andando così a fondo" (…dug too deep in the hole…") avesse toccato corde nascoste alla sensiblità incosciente dell’ascoltatore.
El Sol, nonostante sia tematicamente molto melanconica, non ne ha il piglio musicale. È una canzone tranquilla, senza grossi sussulti, che non scava profondo, non incide tantissimo nell’animo. Si permette di rimanere sulla pelle e di creare un certo leggerissimo disagio.
L’organo fa da padrone discreto nel brano Dead on you. Brano breve, con testo sempre virato all’umor nero.
La nona canzone del disco è uno spettacolare "duello" fra due chitarre acustiche che, pur non intessendo trame difficilissime, non brillando per una tecnica vicina a quella dei "guitar gods", sono estremamente funzionali. Shotting Gallery è anch’essa molto semplice come canzone, il testo è breve, ma colpisce l’intreccio chitarre acustiche in primo piano impastate con la voce rauca e profonda di Lanegan. Una voce che, col passare del tempo, avrebbe assunto caratteristiche tali da bastare a sé stessa, spesso non necessitante di un sostegno musicale per brillare (anche se il termine è errato vista le tonalità raggiunte).

Un brano molto intenso è sicuramente Sunrise, primo incrocio fra le tonalità catramose ed alcoliche di Lanegan con quelle femminili di Sally Barry (ottima come backgroud vocals, molto incisiva, soprattutto nel definire uno stato emotivo). Ogni incrocio trasmette la sensazione di bello, qualcosa di estremamente grande, tanto da "dimenticarsi di chiudere gli occhi". L’assolo di sassofono di Mike Stinette è efficacissimo e molto intenso. Difficile superare questo punto del disco.
Il disco vira su un rock-blues abbastanza reiterato, impreziosito dalla voce di Lanegan; non è una canzone complicata, anzi togliendo qualche strumento ha acquistato una semplicità sincera e questo è apprezzabile.
Rimanendo in tema di togliere strumenti, Judas Touch ne è l’esempio. Solo chitarra acustica e le "Snare" di Tad Doyle, creano un brano gelido, veloce come un sussurro del vento. Molto ipnotico.
Beggar’s Blues è un brano perfettamente bilanciato, con un bel testo, ottimamente suonato ed emotivamente impreziosito da Mark. L’armonica è un tocco di classe, leggera e "notturna" si adagia sulla canzone. Un finale di disco ottimo, che mantiene la tensione emotiva e finisce questo percorso, che percorso non è. La solitudine di Mark non consente di camminare e spostarsi, è più un rimanere e combattere contro paure e sincero sbigottimento. L’unica arma: una canzone.

Un bellissimo album, estremamente godibile nonostante la palpabile inquietudine e melanconia. Questa cappa è forse troppo pesante e non riesce a far raggiungere all’album il massimo dei voti, ma le composizioni sono stupende e perfettamente interpretate.

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