Voto: 
7.6 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Universal/Mercury
Anno: 
1996
Line-Up: 

- Louise Rhodes - voce
- Andy Barlow - composizione, arrangiamenti, programmazione, tastiere, sintetizzatori

Guests:
- The Chainsaw Sisters - violoncello
- Graham Massey - vibrafono
- Steve Christian - chitarra
- Jon Thorne - basso
- Paddy Steer - basso
- Kevin Davy - tromba


Tracklist: 

1. Lusty
2. God Bless
3. Cotton Wool
4. Trans Fatty Acid
5. Zero
6. Merge
7. Gold
8. Closer
9. Gorecki
10. Feela

Lamb

Lamb

I Lamb sono una relativamente nota formazione di Manchester, formata dalla cantante Louise Rhodes e dal produttore e compositore Andy Barlow.

Nel primo omonimo disco, assistiti da diversi ospiti, i Lamb propongono un raffinato lavoro elettronico dove si intrecciano melodie tipicamente pop (nella sua forma più liscia e melodica) e atmosfere ora dolci e sognanti, richiamanti in alcuni punti certe tonalità sognanti dei Dead Can Dance (ma non la loro esoticità - generalmente - e decadenza) e in altri qualcosina alla lontana della malinconia urbana dei Portishead (spogliata della loro tensione e drammaticità), ora più spedite ed incalzanti, maggiormente vicine al dub, ai club e supporto ineluttabile delle ritmiche fra breakbeat, jungle e soprattutto drum'n'bass - con alle volte qualche capatina sporadica nell'hip hop - che costituiscono un po' l'ossatura del disco assieme all'elemento tastieristico/elettronico. Gli arrangiamenti si mostrano sempre dotati di una certa classe, tuttavia accusano spesso una certa ripetitività che qualche volta risulta anche monotona.

L'iniziale Lusty si incentra sulla batteria vivace e sulla piacevole voce di Louise che malinconicamente si adagia sullo sfondo della canzone, che alterna momenti più placidi con le sole percussioni ed il basso ad altri più densi, tinti di ambient ed influenze new age.
God Bless gioca sulla contrapposizione fra il breakbeat leggero ma dinamico che scandisce la canzone e l'oscurità di archi e strings che ogni tanto emergono in sottofondo, ogni tanto intervallati da diversi effetti stranianti, ai quali si aggiunge poi un'allucinante acustica semi-smorzata.
Il terzo brano Cotton Wool esalta l'energia delle percussioni, accompagnate da una chitarra country/blues ed effetti psichedelici atmosferici.
La suadente e accattivante Trans Fatty Acid inizia con delle ripetute ritmiche cadenzate prese in prestito dall'hip hop, ma forse per la canzone nella sua interezza potremo parlare quasi anche di trip hop per l'oscuro campionario effettistico, le atmosfere alienanti e la voce fascinante di Louise (leggermente sporcata di soul)
Zero invece cambia totalmente sentiero, lasciando che a sostenere la malinconica voce siano degli archi mesti, tendenzialmente folkloristici in certi momenti, alle volte suonati anche diteggiandoli.
Un ulteriore variazione di sonorità vi è con la strumentale Merge, dove in un progressivo placido crescendo si vanno a intrecciare il consueto breakbeat, lievi bassi dub, fiati jazzistici dal sapore notturno, effetti elettronici stranianti.
Il pezzo successivo è una piacevole escursione fra pop e drum'n'bass con gusto per gli arrangiamenti e atmosfere cupe che rievocano un poco il trip hop, la relativamente nota Gold si fa notare soprattutto per il melodico (seppur ripetitivo) vibrafono e per la voce densa e orientata al soul di Louise.
Closer è un noiosetto esercizio di stile fra breakbeat, spunti funkeggianti, tappeti di tastiera sognanti e delle recuperate trombe jazzate.
Per contro la famosa Gorecki è il capolavoro dell'album, un intenso ed evocativo volo verso e attraverso paesaggi lontani e affascinanti, magistralmente riecheggiati dagli strumenti (soprattutto percussioni) esotici di contorno, dalla nostalgica ma passionale ed evocativa voce femminile, dal drum'n'bass intenso che scandisce la canzone e dalle tastiere ambientali dense e avvolgenti. Una piccola perla di melodia e suggestività (curiosità: il titolo è ispirato al compositore polacco Henryk Mikołaj Górecki e alcuni movimenti della sua 3a sinfonia sono stati campionati in questa canzone).
Feela conclude questo disco con un soffuso e malinconico ambient/chillout minimale, ma viene seguita dopo non molto da una lunga ghost track che riprende le ritmiche breakbeat e drum'n'bass abbinandole a tastiere oniriche ed effetti fra l'ambient e la new age.

Questo Lamb è in definitiva un esordio orecchiabile e piacevole degli inglesi, seppur per certi aspetti limitato e senza canzoni che realmente svettino per carisma ed intensità - se non forse Gorecki. E' insomma un disco carino ma nulla più, con diversi spunti godibili che però non fanno gridare al miracolo nè insistono perché questo rimanga un album memorabile da rimanere nella hall of fame delle pietre miliari del decennio.
Nonostante il gruppo sia ancora acerbo, comunque, gli elementi per concretizzare maggiormente la propria musica una volta raggiunta una maggiore esperienza erano già ampiamente visibili in questo debutto della formazione di Manchester: ma vedremo in seguito quale percorso i Lamb avrebbero intrapreso e quali risultati avrebbero conseguito.

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