Voto: 
6.5 / 10
Autore: 
Alessandro Mattedi
Genere: 
Etichetta: 
Mercury
Anno: 
1999
Line-Up: 

- Louise Rhodes - voce
- Andy Barlow - composizione, arrangiamenti, programmazione, tastiere, sintetizzatori

Guests:
- The Chainsaw Sisters - violoncello
- Graham Massey - vibrafono
- Steve Christian - chitarra
- Jon Thorne - basso
- Paddy Steer - basso
- Kevin Davy - tromba


Tracklist: 


1. Soft Mistake
2. Little Things
3. B Line
4. (untitled)
5. All in Your Hands
6. Less Than Two
7. Bonfire
8. Ear Parcel
9. Softly
10. Here
11. Fly
12. Alien
13. Five
14. Lullaby

Lamb

Fear of Fours

Gli inglesi Lamb per il loro secondo album Fear of Fours si focalizzano sul lato ritmico del loro stile, a discapito di quello atmosferico-onirico, spezzando così l'anima del disco in due matrici distinte, una più incalzante, quasi ballabile, ed una più melodica ed elettronica - anche se smorzata.
Questa mossa comunque la fanno seguendo principalmente due fattori: in primis, l'esaltazione degli elementi breakbit, jungle e drum'n'bass, resi sempre più preponderanti; in secondo luogo un'accresciuta ispirazione in diverse canzoni dal mondo trip hop, divenuto ormai da tempo trend di successo e che fa capolino influenzando brani come l'esotica e psichedelica opening Soft Mistake o l'atmosferica Five che alterna tempo in 11/4 e 10/4 (il più intricato dell'album, che sperimenta molto combinazioni ritmiche complesse).
Accanto a ciò c'è anche una certa cura dal punto di vista canoro per vocalismi più versatili, esibendo monologhi malinconici, fraseggi intriganti, esperimenti bizzarri ed escursioni giocose; ma la voce di Lou Rhodes non risulta mai particolarmente carismatica anche a causa delle basi sonore meno interessanti che non la fanno risaltare a dovere.

Il problema di questo disco in ogni caso è che, diluendo le intessiture più ricercate e multisfaccettate dell'esordio, lo stile dei Lamb ne risulta generalmente impoverito, facendo diventare i pezzi più jungle/breakbit troppo monotoni e meccanici (tranne forse nella lunga Ear Parcel, con fiati jazz e suoni atonali ad arricchire l'impianto di fondo), mentre quelli più influenzati dal trip hop o tendono a sembrare esercizi di stile costruiti su una o due idee poco approfondite, o suonano come piccoli esperimenti gradevoli ma poco ambiziosi. E' quest'ultimo settore comunque a suonare più ispirato, con pezzi come Bonfire (forse la più caratterizzata, con atmosfere notturne, archi passionali e contrappunti sonori eleganti), a cui fa da contraltare All in Your Hands (trip hop leggero e brioso, con spunti vari come le trombe campionate, ma formalmente banale nel battito e ripetitiva nella struttura).
Emerge anche un contrasto fra i brani più lenti e quelli più vivaci, raramente risolto e che divide ulteriormente l'anima sonora, mentre le sperimentazioni con ritmo e metrica finiscono per sembrare solo degli esercizi di stile non accompagnati dalla dovuta consistenza sonora.

Nel corso dell'album si assiste ad una continua sequenza di brani magari con qualche spunto coinvolgente (le linee vocali su ritmo upbeat del singolo Little Things, le percussioni latino-americane di Here, i suoni allucinati e distorti di Alien) ma poco sviluppato a tutto discapito della sostanza delle canzoni, dispersa e sparsa per ben quattordici traccie.
Forse sarebbe stato meglio concretizzare tutti gli spunti in meno brani più approfonditi, perché permane una sensazione generale di incompiutezza e sono pochi i pezzi al livello di quelli dell'esordio. Softly è un esotico ed avvolgente pezzo in 6/8 che cerca di coniugare la ricerca sonora del gruppo con influenze latin/jazz e la privilegiata enfasi sulle ritmiche operate nel disco. Fly sembra invece un tributo agli One Dove con tanto di climax etereo impastato sopra ritmiche a metà fra drum'n'bass e trip hop. B Line gioca con suoni alieni, ritmi frenetici, linee vocali giocose e infantili.
La conclusiva Lullaby è una soporifera ballata per strings, archi, contrabbasso e voce, che però suona come una versione più melensa, meno sperimentale e senza downtempo degli Archive del primo disco.
Less Than Two è una breve parentesi ambient/spaziale con stratificazioni vocali quasi gospel.

Il disco sembra così molto più carente di idee e meno espressivo del precedente, poco a fuoco come composizione di fondo nonostante la cura certosina per gli arrangiamenti finali e la produzione; più che un album vero e proprio, pare essere una raccolta anonima di canzoni senza lode nè infamia tranne in qualche caso, che avrebbe di certo giovato di un maggiore amalgama degli ingredienti usati dai Lamb in fase di composizione.

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