Voto: 
5.0 / 10
Autore: 
Damiano Cembali
Etichetta: 
Century Media Records
Anno: 
2009
Line-Up: 

:
Cristina Scabbia – Voce femminile
Andrea Ferro – Voce maschile
Marco Coti Zelati – Basso
Marco Emanuele Biazzi – Chitarra
Cristiano Migliore – Chitarra
Cristiano Mozzati – Batteria

Tracklist: 

:
1. Survive
2. I Won’t Tell You
3. Not Enough
4. I’m Not Afraid
5. I Like It
6. Underdog
7. The Pain
8. Spellbound
9. Wide Awake
10. The Maze
11. Shallow Life
12. Unchained

Lacuna Coil

Shallow Life

Tra le note dell’ultimo lavoro firmato Lacuna Coil riecheggiano gli interrogativi esistenziali proposti, due secoli or sono, da un grande pittore transalpino trapiantato in Polinesia: chi sono i Lacuna Coil? Da dove vengono i Lacuna Coil? E, soprattutto, dove stanno andando i Lacuna Coil? In tutta sincerità, credo che Paul Gauguin non avrebbe avuto alcun dubbio a proposito di questo specifico caso: con Shallow Life, infatti, la formazione milanese capitanata dall’avvenente Cristina Scabbia prosegue imperterrita il cammino banalizzante già inaugurato col precedente Karmacode, che abbandonava pressoché definitivamente i genealogici confini gotico-metallici per volgersi ad un nu rock dalle stuzzicanti atmosfere dark e arabeggianti, e insiste sulla via della semplificazione strumentale e vocale in nome di una proposta musicale ammiccante ed estremamente easy-listening. In massima sintesi, potremmo già delineare i possibili fronti d’ascolto semplicemente prendendo Karmacode come spartiacque ideologico della discografia della band lombarda: chi ha apprezzato quest’ultimo, forse saprà trovare qualche elemento positivo in Shallow Life; chi, al contrario, l’ha mal digerito, dall’ascolto di Shallow Life non trarrà alcuna buona ragione per ricredersi.

Le domande che ci poniamo sono esattamente quelle che, in fin dei conti, molti si attendevano: per quale ragione una band affermata sotto i tutti i punti di vista, che emerge come realtà metal (l’appartenenza al filone goth passa relativamente in secondo piano), proprio all’apice della propria popolarità e del proprio successo economico decide di votarsi a produzioni a dir poco elementari (lo scrupoloso lavoro di Don Gilmore, già all’opera con Pearl Jam, Avril Lavigne, Good Charlotte e Linkin Park, introduce in più d’un’occasione imbarazzanti somiglianze con le sonorità di Meteora) proponendo una tipologia musicale che snatura completamente le proprie origini, deludendo contemporaneamente i fans di lunga data e gli appassionati del metal in generale? Ad una formazione che ha raggiunto il culmine della propria carriera musicale sarebbe ipoteticamente consentito il massimo della libertà artistica, la più totale indipendenza compositiva, l’onere e l’onore di cambiare e sperimentare nuovi orizzonti musicali, ed è certamente coraggiosa (questo straordinario carattere va comunque riconosciuto) l’operazione di restyling integrale del proprio sound compiuta dai Lacuna Coil con Shallow Life. Il nocciolo essenziale del problema, però, non è il cambiamento in sé e per sé, che sarebbe scelta interessante e certamente apprezzabile soprattutto in virtù della continua auto-derivazione nella quale certi gruppi affogano le proprie capacità di songwriting, bensì il modo in cui questo cambiamento è stato realizzato, ovvero con eccessiva banalità, con uno spiacevole retrogusto di appagamento professionale, con un’assai evidente (soprattutto per chi li conosce dai loro esordi) sufficienza, il tutto in nome di un easy-listening che sarebbe indubbiamente buona nuova qualora non si rivelasse piuttosto piatto e persino poco coinvolgente, di fatto una pura e semplice esca per la Mtv generation soprattutto nordamericana.

Venendo ai brani proposti, potremmo benissimo chiudere i battenti indicando in Spellbound, primo singolo estratto di cui sono stati realizzati ben 2 video (francamente, senza alcun motivo apparente), la traccia meglio riuscita dell’album, soprattutto grazie ad un chorus dannatamente orecchiabile in cui riesce ad emergere la voce carismatica e magicamente femminile della (ex?) metal goddess tricolore (secondo la definizione della rivista musicale britannica Kerrang!, che nella sola presenza di Cristina Scabbia ritrae i Lacuna Coil ancora una volta in copertina). Il resto della tracklist è un marasma confuso di tanti momenti sconfortanti e pochi episodi coinvolgenti, laddove è soprattutto una brillante orecchiabilità a guidarci ad una valutazione non del tutto negativa e non certo scelte tecniche particolarmente apprezzabili: la traccia d’apertura Survive, nonostante capziose ritmiche rock, presenta tratti arabeggianti già ampiamente consunti ai tempi di Karmacode, cui fanno da sostegno poche schitarrate del tutto velleitarie; la stessa spiacevole sensazione di obsolescenza la ritroviamo in Not Enough, traccia scaricabile in download gratuito e certo non un buon veicolo di promozione dell’album. Una disarmante banalità distrugge anche brani quali I Won’t Tell You, che affossa in un chorus francamente indegno del brand Lacuna Coil, o Underdog, pezzi fintamente minaccioso dal chorus scarsamente dinamico. Al contrario, i momenti positivi sopraggiungono in posto 4 e in posto 5, con I’m Not Afraid, estremamente catchy e dal gradevole tappeto tastieristico, e I Like It, la cui malizia decisamente poco metal e molto pop esplode in un chorus piuttosto compiaciuto e trascinante. Questi stessi alti e bassi si rinnovano nelle tracce successive, dove alla romantica ballad semiacustica Wide Awake (la voce femminile di Cristina Scabbia, in questa specifica circostanza, si rivela di disarmante efficacia) fa da contraltare l’irritante monotonia di The Pain, i cui stuzzicanti campionamenti elettronici e le inattese sfumature ritmiche di matrice funk vengono letteralmente mortificati dall’ennesimo chorus per nulla azzeccato. Il finale dell’album non cambia di molto le carte in tavola: The Maze ripercorre i (ne)fasti di I Won’t Tell You, con l’ennesimo chorus scadente a seppellire una struttura ritmica a malapena discreta; Shallow Life propone una presunta ballad dalle sfumature ammalianti ed eteree, ma non si discosta molto da una mediocre insignificanza; Unchained, almeno, chiude il percorso accidentato di questo album con un po’ di brio, di sano coinvolgimento, di ritmo finalmente brillante e gradevole.

Insomma, chi vi scrive si era innamorato dei Lacuna Coil ai tempi di Unleashed Memories, capolavoro mai più eguagliato nemmeno dal celeberrimo Comalies, che pure riusciva a fondere in maniera attenta e molto ben calibrata un’eccellente facilità d’ascolto e una buona perizia compositiva e tecnica. L’esplosivo avvento di Karmacode, che abbandonava gli stilemi più rigidi del gothic metal per avvicinarsi a sonorità più graffianti e ritmicamente accattivanti ma ancora non snaturava l’essenza fondamentalmente metallica di una band italiana tra le poche a sapersi imporre, con meriti ingiustamente messi in dubbio, sulle scene internazionali, era un’evoluzione francamente rischiosa, il cui equilibrio risultava palesemente precario ma che, tuttavia, sapeva farsi ancora apprezzare in virtù di alcune trovate musicalmente molto interessanti e, soprattutto, di hit potenzialmente devastanti, come poi si sarebbero effettivamente rivelate tracce quali Our Truth, Fragile e la meravigliosa Within Me. Shallow Life, invece, supera il confine della benevola accettabilità e precipita nell’affollato baratro dell’insipienza: le hit scarseggiano in maniera davvero deficitaria (di fatto, scampano al naufragio solo Spellbound, I’m Not Afraid, I Like It e la conclusiva Unchained), le invenzioni sonore sono del tutto assenti, persino l’appartenenza al mondo metal più e più volte sembra non trovar più ragion d’essere. Ai Lacuna Coil non si chiedevano evoluzioni stilistiche di chissà quale importanza storica, né tanto meno un improbabile ritorno alle origini, più semplicemente ci saremmo aspettati una conferma definitiva di un’innovazione stilistica naturale e ancora pienamente accettabile, che sapesse riproporli come una band moderna e al passo coi tempi senza con questo uccidere la loro essenza originariamente metallica e dark: così non è stato. “Il disco rappresenta appieno i Lacuna Coil, ma stavolta l’energia che lo pervade è completamente differente e il tutto suona più rock”, ha dichiarato Cristina Scabbia: di fatto niente di nuovo, giacché una frase parecchio somigliante venne utilizzata per promuovere Karmacode circa 3 anni or sono; prosegue la singer: “Per me è il miglior mix tra il nostro vecchio sound e qualcosa di più moderno ed heavy”, esattamente quanto una bozza d’incrocio fra Linkin Park e Avril Lavigne.

Giudizio finale, 5 : album mediocre e soprattutto noioso da parte di una band che ha sempre fatto dell'immediatezza e della facilità d'ascolto il proprio marchio di fabbrica; la nuova via intrapresa è certamente stuzzicante ma meritava ben altro sviluppo con ben altri risultati. Un appello: basta con le solite squallide patetiche polemiche sul dio denaro, tutte ipocrisie ed invidie gettate in faccia ad una band che ha ben più meriti che colpe.   

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