Voto: 
7.5 / 10
Autore: 
Gioele Nasi
Genere: 
Etichetta: 
Napalm Records/Audioglobe
Anno: 
2006
Line-Up: 

- Jonne Järvelä - Voce, Chitarra

- Cane - Chitarra

- Jarkko - Basso

- Matti "Matson" Johansson - Batteria

- Hittavainen - Violino, Jouhikko, Flauto

- Juho Kauppinen - Fisarmonica



Tracklist: 



1. Happy Little Boozer

2. Väkirauta

3. Midsummer Night

4. Tuli Kokko

5. Spring Dance

6. Under The Sun

7. Korpiklaani

8. Rise

9. Kirki

10. Hide Your Richess


Korpiklaani

Tales Along This Road

I Korpiklaani (in lingua finnica “clan della foresta”) sono uno dei nomi “caldi” della scena folk metal odierna: il gruppo, capitanato da una ‘vecchia volpe’ dell’ambiente (il cantante/chitarrista Jonne Järvelä), giunge con questo nuovo “Tales Along This Road” a tagliare il traguardo del terzo disco della propria carriera, iniziata nel 2003 con il modesto “Spirit of the Forest” e proseguita nel 2005 dal buonissimo “Voice of Wilderness”.
Attenzione però a non considerarli come delle “new entries”: Jonne è attivo nel panorama folk finnico fin dall’inizio degli anni ’90 con varie bands, la più famosa delle quali sono sicuramente stati gli Shaman, che dopo due buoni dischi a cavallo del millennio (“Idja”, 1999, e “Shamaniàc”, 2002) si sono trasformati negli attuali Korpiklaani.
Se gli Shaman però puntavano tutto sull’ “etnicità” della propria proposta, con forti richiami al folk tradizionale (mischiato a un rock/metal di buon pregio) e il peculiarissimo cantato in lingua Sàmi, i Korpiklaani cavalcano invece la fortunata onda del folk metal, che li sta portando ad inserirsi finalmente fra i gruppi di spicco della scena.

“Tales Along this Road” è proprio quello che ci voleva, per decollare definitivamente: il neonato platter della band finnica è un disco compatto, vario, veloce, costruito con sapienza per farsi ascoltare con piacere; è il disco della conferma, dopo i buonissimi spunti che avevano graziato il loro precedente “Voice of Wilderness”, che per chi scrive rimane l’apice della band, fino a questo momento.
Per coloro i quali invece ancora non conoscono il suono del gruppo, esso può essere descritto come l’unione tra gli incalzanti motivi folkloristici del violino di Hittavainen e della fisarmonica di Juho, con la velocità e la potenza di chitarre metal, accompagnate da una batteria con pochi fronzoli dal ritmo generalmente molto veloce. La voce ‘pulita’ di Jonne è in realtà abbastanza sporca e rauca, e dona un tono molto energetico alle strofe: durante i ritornelli la maggior parte delle volte assistiamo invece all’intervento di alcune backing vocals, che (con alterna fortuna) cercano di dare più spessore e incisività.
Il disco parte subito forte, con tre pezzi di gran presa, ma successivamente entra in una fase altalenante in cui si susseguono brani di ottimo livello ad altri che rimangono nella media senza farsi notare.

I Korpiklaani hanno una tradizione assolutamente positiva in fatto di openers: sul primo disco in prima posizione trovavamo uno dei pochi brani di spessore elevato, “Wooden Pints”, mentre sul secondo eravamo assaliti dalla spettacolare accoppiata “Cottages and Saunas” & “Journeyman”; proprio come un’unione di questi due brani può essere vista la nuova opener, la trascinante “Happy Little Boozer”. La pace iniziale, dal dolce intreccio di fisarmonica e munnharpe, è buttata gambe all’aria dopo solamente 15 secondi dalle galoppate di chitarre e batteria, e dopo 40 stiamo già cantando il ritornello, cui segue una spericolata e veloce parte solistica che ricorda molto gli intermezzi strumentali della già citata “JourneyMan”. C’è poco da fare, il meccanismo funziona, e questa song è già diventata una delle più amate nel repertorio del gruppo, nonostante (o, forse, per merito di?) un testo di facile memorizzazione ma dal livello imbarazzante.
La seconda “Väkirauta”, cantata in lingua madre da Jonne e soci, è caratterizzata da una base ritmica di chitarra, che alla lontana può ricordare del Punk/Ska impazzito e imbevuto di tradizione scandinava, che sostiene il cantato “matto” di Jonne, nella sua prestazione vocale più fuori dagli schemi di sempre, in particolar modo durante il ritornello, che definirei, nell’ordine, come corale, caotico e schizzato.
Disco che di qui in poi si assesta sulle solite coordinate stilistiche della band senza riservare all’ascoltatore particolari sorprese: alla veramente ottima “Midsummer Night” (che contiene la miglior prova di Hittavainen e Juho in tutto il cd, per la bellezza delle melodie) segue “Tuli Kokko”, che promette molto grazie ad una splendida ed atmosferica parte introduttiva, ma mantiene poco a causa di un evolversi troppo stancamente cadenzato e della mancanza di un refrain degno del nome della band – è comunque molto buono l’assolo di flauto che, a pelle, mi ha ricordato i maestri svedesi Otyg.
Si torna a sorridere grazie all’energia e alla spontaneità della strumentale “Spring Dance”, figlia devota di canzoni quali “Pine Woods” o “Ryyppäjäiset” (entrambe del disco precedente), che risulta particolarmente gradevole per le sue accelerazioni in cui violino e fisarmonica gareggiano tra loro in velocità, travolgendo l’ascoltatore in un vortice di assoli consecutivi.

In sesta posizione troviamo “Under the Sun”, molto rilassante nelle piacevoli strofe, in cui i motivi acustici di chitarra sono di pregevolissima fattura (così come l’assolo flautistico); è decisamente meno sognante il chorus, troppo ripetitivo, e con un cantato fuori luogo nel botta e risposta.
L’omonima “Korpiklaani” si propone fin dal titolo quale nuovo anthem del gruppo, ma non riesce nel proprio obiettivo perché manca dell’esplosività necessaria, e non gode di quella miscela frizzante che invece caratterizzava pezzi come “Happy Little Boozer” (ebbene sì, è già diventata metro di paragone...), “Hunting Song” o “Beer Beer”; la settima traccia rimane quindi sicuramente un buon pezzo, con degli buoni spunti che provengono quasi tutti dal violino di Hittavainen, ma con la pecca (grave, per un gruppo come i Korpiklaani che punta molto sull’incisività dei propri refrains) di un ritornello che non convince, per via della ricerca, ostinata e troppo forzata, dell’elemento corale.
“Rise”, dall’apertura quasi Power/Thrash (sembrano i Blind Guardian dei primi due dischi), è dotata di un ritornello velocissimo e divertentissimo in cui i ragazzi non smettono un secondo di cantare, come in una specie di scioglilingua: l’effetto che ne deriva è molto particolare e (trascorso qualche ascolto per abituarsi...) anche efficace. Un po’ meno convincente l’assolo, in cui la componente “humppa” della loro musica è davvero estremizzata, con risultati che possono ondeggiare fra l’azzeccato e il ridicolo secondo i gusti musicali di chi ascolta.
Continua la carica: come a sviluppare il discorso intrapreso dal ritornello del brano precedente, “Kirki” inizia “in your face” come una fucilata, con il logorroico cantato di Jonne a sovrastare le chitarre e il violino, mentre nel chorus si rallenta impercettibilmente per creare un up-tempo in cui il coro torna a fare bella figura. Si conclude con la decima ”Hide Your Richess“, sulla quale trovo ben poco da dire visto che si tratta di una canzone abbastanza anonima.

Critiche da muovere alla band? Beh, si potrebbe discutere a lungo su una staticità stilistica di fondo che farà inorridire i detrattori e soddisferà i sostenitori del gruppo, ma è un discorso alquanto fine a sé stesso e abbastanza soggettivo, quindi mi limiterò a concludere dicendo che “Tales along this Road” è il classico disco che un fan non può esimersi dall’acquistare, in quanto ci troverà esattamente quello che cerca in un disco dei Korpiklaani, ovvero Folk Metal sguaiato, adrenalinico, suonato con perizia, travolgente e divertente da cantare in coro attorno a un fuoco, assieme al clan della foresta: insomma, se vi piacciono i Korpiklaani, sarete soddisfatti al 100%.
Purtroppo vale anche il discorso inverso, cioè se la band non vi era piaciuta nelle prove precedenti, non c’è la benché minima speranza che vi interessi ora – ad ogni modo, per chi non li conoscesse, “Tales along this Road” può comunque essere un approdo facile facile (specialmente se si arriva dal Metal melodico o dal Power), dopodiché si passi subito al loro miglior lavoro, il precedente “Voice of Wilderness”, meno vario a livello strumentale ma con brani di maggior qualità e costanza.

Mi sia permesso un ultimo appunto, in materia “coreografica”: per la miseria, Jonne, mettiti alla ricerca di un disegnatore che vi realizzi la prossima copertina, questa è sinceramente orrenda...


...Now it’s time of a midnight sun
The eternal light and a breathing night
Call the gods with bones and drum
Join the shaman’s magic
Flames are dancing in the night
The shadows seem to be alive
The forest is calling my name...

[Korpiklaani, “Midsummer Night”]


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