Voto: 
8.0 / 10
Autore: 
Paolo Bellipanni
Etichetta: 
God Mountain
Anno: 
1994
Line-Up: 

- Ryuichi Masuda - Voce, Chitarra
- Tatsuya Yoshida - Voce, Batteria
- Aki Kubota - Voce, Tastiera
- Shigekazu Kuwahara - Voce, Basso


Tracklist: 

"高円寺百景 "
1. Ioss
2. Doi Doi
3. Molavena
4. Gepek
5. Yagonahh
6. Ozone Fall
7. Zhess
8. Zoltan (dedicated to Zoltan)
10. Sunna Zarioki

Koenji Hyakkei

Hundred Sights Of Koenji

Chi pensa ancora che il Giappone sia una "terra morta" in ambito musicale, deve obbligatoriamente ricredersi: è una questione di principio. Se c'è infatti un paese su tutta la superficie del nostro pianeta che rinnova e continua a rinnovarsi in un'eterna spirale, è proprio l'isola dello Zen e della tecnologia moderna, una fucina di idee e piccole rivoluzioni che in Europa ha trovato difficilmente approdo, non tanto per la distanza ma più che altro per una sottile questione di mentalità e di caratteristiche culturali.
Non mi riferisco alla sperimentazione in sè, ma al modo in cui essa viene concepita ed espressa, e la differenza che c'è in quest'ambito tra Giappone ed Europa è a dir poco abissale, basti prendere un qualsiasi gruppo d'avanguardia tedesco (o finlandese, inglese, francese) e metterlo a rapporto con band del tipo di Koenji Hyakkei, Boredoms o Ghost.
Ma il discorso non è questo, bensì quello che riguarda la tutt'altro che trascurabile importanza della musica del Sol Levante in ambito avantgardistico, perchè è proprio da quella terra, poco osservata dai più, che sono venute fuori le migliori creazioni in ambito sperimentale, senza naturalmente nulla togliere alle band di stampo europeo che hanno dato il loro grande contributo al rinforzo della scena "avant".
L'aver tirato fuori come primo nome quello dei Koenji Hyakkei non è stato per niente un caso. Il gruppo, nato agli inizi dei '90 dalla poliedrica mente di Tatsuya Yoshida, batterista ma soprattutto compositore del gruppo, personalità bizarra e contorta che assieme a quella di Yamatsuka Eye si pone come una delle più brillanti dell'intero Giappone. Questo suo stravagante progetto di cui Hundred Sights Of Koenji ("高円寺百景") è la prima sconvolgente opera, segue alle prime sperimentazioni messe in atto dalla sua precedente band, quei Ruins che tanto dovevano al 'sì chiamato "Zeuhl" dei francesi Magma ma capaci di autorinnovarsi con le peculiarità stilistiche tipiche della propria terra.
Quando poi i Ruins raggiungono lo scioglimento, Yoshida si rimette immediatamente in moto, organizzando con l'estro del genio le cascate di idee e di invenzioni che fluttuavano libere nella sua testa, ordinandole e registrandole sotto il nuovo monicker di Koenji Hyakkei grazie al supporto di Ryuichi Masuda alla chitarra, Aki Kubota alle tastiere e Shigekazu Kuwahara al basso.

Hundred Sights Of Koenji è una disorientante epopea all'interno di questo mondo sconvolgente, folkloristico, a tratti fiabesco e circondato da aloni leggendari, ma sempre pazzo, ossessivo, stranamente velocissimo e incapace di permettersi soste di nessun tipo: il disco si distingue infatti per ritmi quasi psicotici e contorti su cui si intrecciano fraseggi strumentali di livello straordinario, tipicamente progressive nelle strutture portanti ma abbastanza sperimentale per lasciare in secondo piano anche la definizione di "prog".
Nemmeno le prime forme di Zeuhl avevano tali aspetti così contorti e tirati fino all'ossessione sonora, nemmeno le prime sperimentazioni anni '70 riuscivano a scavalcare limiti d'esperimento così ampi: i Koenji Hyakkei rivoluzionano in parte il mondo della musica progressive di nicchia, assorbendo le lezioni di King Crimson, Frank Zappa, Yes, Genesis e perchè no di Can e Faust (gruppi di cui Yoshida è un dichiarato fan) ed elevandole alla potenza per quanto riguarda forza d'impatto e varietà di spunti e sfumature.
Ioss ci introduce al disco in maniera distinta e quasi cordiale: nessuna eccessiva forma di sperimentazione sonora, assenza di virtuosismi di alcun tipo, semplicemente una presentazione intensa dell'atmosfera in cui ci immergeremo durante l'ascolto, piena di voci e di cori che, eccellenti, si sovrappongono e si accavallano creando un forte senso di potenza interiore.
Doi Doi è misteriosa nel suo incedere ricco di crescendo e di incrementi ritmici notevoli per tecnica e gusto, mentre Molavena, perla assoluta del disco, è un flusso emotivo senza fine, un fiume di passione in piena, slegato, fluido, trascinante e tremante di vita: la prestazione che ogni membro della band da in questo brano è di assoluto spessore iniziando con l'indiavolata batteria di Yoshida (immenso), passando per gli ottimi fraseggi chitarra/tastiera sorretti in modo impeccabile dal basso di Kuwahara.
I picchi emotivi raggiunti da Molavena difficilmente vengono riacciuffati durante il percorso del disco, se non per quanto riguarda la meravigliosa Avedumma, dinamica e instabile, molto free nel suo impatto di matrice nettamente prog, ma sempre capace di discostarsi da qualsiasi forma di catalogazione con le sue improvvise creazioni strumentali e le esplosive invenzioni stilistiche.

C'è poi Gepek, comandata da un'ensamble vocale eccellente, la labirintica Zhess, tecnicamente superba e trascinante come poche nella miriade di particolari che la compongono, caratteristica che si rupercuote anche in Ozone Fall e Yagonnah, due esperimenti dalla forte carica folcloristica e fiabesca, quasi teatrale per come venga perfettamente recitata dal supergruppo nipponico che supera ancora ogni aspettativa quando come nona traccia dell'album ci posiziona Zoltan, un'emozionante messa che (stranamente) riesce a trattenersi e a non esplodere, accogliendo col suo silenzioso organetto un, come al solito, eccellente insieme di voci a cui tutti i membri del gruppo partecipano, come nel caso della conclusiva Sunna Zarioki, movimentata e anch'essa ricca di sfumature tipicamente tradizionali e culturali nipponioche, che chiude Hundred Sights Of Koenji in modo impeccabile.
L'intensità, la passione interiore, per finire con l'incredibile bagaglio tecnico che il gruppo ha messo in mostra, rendono questo disco un'opera unica e non ascoltare, ma da vivere, giusto per capire come le sperimentazioni e le rivoluzioni vengono portate avanti, prendendo spunto dal passato ma solo al fine di distruggere il presente e andare oltre, spingersi aldilà di qualsiasi confine stilistico, musicale, spirituale e chi più ne ha più ne metta. Addirittura un fenomeno come John Zorn (ha registrato lavori dei Ruins e suonato con Yoshida) è rimasto impressionato dalle immense doti compositive di questo gruppetto di misconosciuti genietti che sono in quattro e suonano per mille, per questo, c'è da fidarsi.

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